I libri italiani letti da un corrispondente straniero. Questa settimana la freelance norvegese Eva-Kristin Urestad Pedersen.
La prima parola che mi viene in mente se penso a Tutta la vita che resta di Roberta Recchia è commovente. Commovente al punto di farmi venire le lacrime agli occhi leggendo certi passaggi. Bisogna precisare che quello di Recchia è un romanzo classico, come un dipinto figurativo che non sfida nessun dogma, anzi, li rafforza. Non so dire se questo è un bene o un male. Di sicuro so che Tutta la vita che resta è più “intrattenimento” che “arte”. Detto questo, stiamo parlando di un intrattenimento letterario eccezionale. L’autrice ti trascina dentro la trama senza fartene accorgere, come se si fosse sempre vissuti circondati dai suoi personaggi, immersi nella loro quotidianità. È un libro difficile da chiudere, un romanzo che può riuscire a tenerti sveglia tutta la notte, tanta è la curiosità di conoscere la sorte dei personaggi, ormai quasi nostri amici. Un po’ come quando ti aggancia una serie tv, pensi di vedere solo una puntata in più e poi smetti alle quattro del mattino, alla fine dell’ultima stagione. Sono belli i romanzi così. Sono piccoli rifugi letterari, irresistibili soprattutto nel periodo invernale, che invita a mettersi comodi sotto una coperta sul divano e leggere, facendosi commuovere da fatti inventati anziché disperarsi per il mondo reale. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1591 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati