Erano le 11 di mattina e la trasmissione _Les grandes gueules _(Le lingue lunghe) era cominciata già da un po’ quando Mohamed Mara ha ricevuto un messaggio sul telefono dal portiere. “Sono arrivati dei funzionari dell’autorità per le telecomunicazioni e uomini in uniforme. Vogliono salire allo studio”. “Digli che non è possibile”, ha risposto il giornalista. “Siamo in diretta”. Mezz’ora dopo le trasmissioni erano saltate.
“Quei tizi sono andati sulla collina dove si trovano i trasmettitori, hanno rinchiuso il custode, smontato tutta l’apparecchiatura e se la sono portata via”, racconta Mara.
Era la fine dello scorso maggio. Da allora sulla frequenza di Espace, la radio privata più ascoltata in Guinea, si sente solo un brusio. Lo stesso succede sulle frequenze di Fim e Djoma, due emittenti altrettanto popolari, che quel mattino hanno ricevuto la visita dei funzionari e dei militari. Non si sono fermati alle stazioni radio: anche le reti televisive di Espace e Djoma, come pure una radio affiliata a Espace, sono venute a sapere che le loro licenze erano state revocate con effetto immediato. “Senza nessun avvertimento o spiegazione”, spiega Mara, che di Espace è anche direttore, dall’ormai desolata redazione in un quartiere periferico della capitale Conakry.
I giornalisti in Guinea sono abituati a tutto. Negli ultimi decenni in questo paese dell’Africa occidentale che, nonostante la ricchezza di materie prime, è ancora poverissimo sono andati al potere vari dittatori. Eppure, quando i militari hanno preso il potere nel 2021 con l’ennesimo golpe, molti erano convinti che le cose sarebbero andate diversamente. Dicevano le cose giuste, spiega Mara. “E c’era una soif, una sete, di cambiamento”.
Invece la transizione promessa dal leader della giunta Mamadi Doumbouya sembra non avere fine. Le elezioni che dovevano svolgersi quest’anno sono state rimandate a data indefinita.
Nel frattempo crescono le voci su una sua candidatura, mentre lui aveva sempre negato questa possibilità. La nuova costituzione presentata di recente dal suo governo lascia Doumbouya libero di fare quello che vuole.
Manifestazioni vietate
“Siamo arrivati a un punto in cui il governo non è più in grado di spiegare perché le cose vanno come vanno”, afferma Kalil Oularé, direttore di Djoma Media.”Così impone il silenzio a quelli che fanno domande al riguardo”. Anche altri mezzi d’informazione sono stati temporaneamente sospesi, e diversi attivisti e politici dell’opposizione sono stati arrestati. “Nessuno è più al sicuro”, dice Alseny Sall dell’Organizzazione guineana per i diritti umani.
Poco tempo dopo il golpe sono state vietate le manifestazioni. Da allora, secondo Amnesty international, almeno 47 persone sono morte durante le proteste. Nel 2023 sono stati arrestati anche dei giornalisti che si erano lamentati delle continue limitazioni al loro lavoro, come la prolungata disconnessione da internet.
E ora sono state ritirate le licenze. I direttori hanno ricevuto una dichiarazione ufficiale in proposito solo a cose fatte. Secondo un comunicato, le emittenti, seguite da guineani di tutto il paese e della diaspora per gli accesi dibattiti politici e le inchieste giornalistiche, avrebbero violato le norme professionali: “In questo delicato periodo di transizione, è fondamentale il contributo dei mezzi d’informazione per rafforzare l’unità nazionale. Non tutti si assumono questa responsabilità”.
Fa male, dice Mara, il direttore di Espace. Anche lui era ottimista quando Doumbouya era comparso in televisione con la bandiera della Guinea sull’uniforme, dichiarando di voler mettere ordine. Il malcontento verso l’allora presidente Alpha Condé era enorme. Condé era stato democraticamente eletto nel 2010 ma, dopo due mandati, aveva modificato la costituzione per ottenerne un terzo.
Come i suoi predecessori, Condé aveva avuto la mano pesante con gli avversari. E anche con la stampa che, dopo la liberalizzazione del 2005, era considerata una delle più libere della regione. Ma la chiusura forzata dei mezzi di comunicazione? Nemmeno lui si era spinto tanto in là, dicono adesso.
Nella redazione di Espace, distribuita su cinque piani angusti, questi mesi di chiusura hanno lasciato dei segni. “Mi dispiace”, si scusa Mara, che indossa gli occhiali e un impeccabile completo scuro. quando entriamo nel suo ufficio. Sta togliendo la muffa dalla sedia della sua scrivania con un pezzo di carta assorbente. Ormai non viene qui spesso, spiega. I quattrocento dipendenti sono rimasti disoccupati. Lo stesso Mara non esce quasi più di casa, tranne la domenica per andare in chiesa. Non si sente al sicuro, afferma. Il giornalista, la cui voce acuta è nota praticamente a tutti i guineani, dice di ricevere regolarmente telefonate da gente che lo mette in guardia. Lascia la Guinea, gli dicono, prima di scomparire anche tu.
Com’è successo all’inizio di luglio a Oumar Sylla (chiamato anche Foniké Menguè) e a Mamadou Billo Bah, due noti attivisti a favore della democrazia. Con il loro Fronte per la difesa della costituzione (Fndc) avevano contestato prima Condé e poi, poco dopo il colpo di stato, anche il regime di Doumbouya. Quest’ultimo aveva sciolto l’organizzazione nel 2022 e li aveva fatti arrestare, ma dopo sei mesi entrambi erano tornati in libertà.
Questa volta no. Da quando, la sera del 9 luglio, alcuni militari delle forze speciali e della gendarmeria hanno prelevato Sylla e Bah a bordo di suv blindati dalla casa di Sylla a Conakry, nessuno sa più niente di loro. L’unico a darne notizia è stato un militante dell’Fndc che era stato arrestato insieme a loro, ma liberato poco dopo. Secondo lui i due sono stati portati in un carcere dismesso in una delle isole davanti a Conakry.
In alcuni video su YouTube che hanno già decine di migliaia di visualizzazioni, da una località segreta il ragazzo racconta come sono stati ripetutamente picchiati e minacciati di morte. Lui se l’è cavata con qualche costola rotta.
Introvabili
Parlando ai mezzi d’informazione locali, il portavoce del governo e ministro dei trasporti Ousmane Gaoual Diallo ha definito i video “propaganda mirata a infangare l’immagine della Guinea e delle sue autorità”. Diallo ha negato che lo stato abbia qualcosa a che vedere con la sparizione di Sylla e Bah, proprio come ha fatto anche il procuratore generale della corte di appello di Conakry, Fallou Doumbouya: “Nessun penitenziario del paese tiene rinchiuse queste persone”.
Il procuratore aveva comunque annunciato un’inchiesta ed esortato chi avesse delle informazioni a condividerle. Non è chiaro a che punto siano le indagini.
Le parole del procuratore hanno messo i brividi a Ibrahim Diallo, che con Sylla è uno dei fondatori dell’Fndc. “Non credo a una parola di quello che dice”. Soprattutto dopo la morte misteriosa dell’ex numero due della giunta, avvenuta a giugno. Due settimane prima il generale Sadiba Koulibaly era stato arrestato e condannato per “diserzione” e “detenzione illegale di armi”. La sua sarebbe stata una morte naturale, stando all’autopsia. L’avvocato di Koulibaly però non ci crede. “Il generale era in ottima salute”.
Anche Diallo una volta è stato incarcerato per mesi dalla giunta, insieme a Sylla, dopo che nel 2022 a migliaia avevano seguito il loro appello a manifestare per chiedere il ritorno alla democrazia. “Sanno che se noi guineani chiediamo di scendere in piazza, la gente lo fa”, dice Diallo. Prima di sparire nel nulla, Sylla e Bah avevano annunciato una nuova manifestazione che, tra le altre cose, contestava la chiusura delle emittenti radio e tv.
Così timore e paranoia s’insinuano tra le strade di Conakry, dove il generale Doumbouya fissa i passanti dai manifesti posizionati lungo le grandi arterie di traffico e le forze speciali sono armate fino ai denti, accanto ai carri armati, soprattutto vicino al centro e al palazzo presidenziale. Anche all’interno dell’esercito si fanno epurazioni. Diversi avvocati ci raccontano di militari di cui non si sa più nulla.
“Ça ne va pas”, sospira un uomo seduto davanti a una bancarella di legno con camicie e pantaloni appesi ad attaccapanni. Così non va. Il venditore, che non vuole dire il suo nome (“non sai quello che succede qui?”), si mette a parlare dell’elettricità che salta di continuo, della disoccupazione in aumento.
In questa canzone dal ritmo allegro si esorta a “crocifiggere il nemico”, dice Mara con un nodo alla gola. “Siamo noi il nemico?”
E adesso hanno chiuso radio, tv e giornali. “Alla radio ormai si sente solo musica”, si lamenta.
Anche lui ascoltava ogni mattina il programma Les grandes gueules _su Espace e al pomeriggio _Mirador, una trasmissione simile di Fim. Non parlavano solo della politica guineana, ma anche dei burocrati disonesti.
Doumbouya aveva promesso di fermare la corruzione, e ha dovuto licenziare il ministro dei trasporti dopo che Espace era entrata in possesso di alcune compromettenti registrazioni che lo riguardavano. Quell’inchiesta aveva portato a degli scontri. A fine novembre tre emittenti radio e tv tra cui Espace e Djoma erano state eliminate dai servizi via cavo di Canal+ e Star Time dietro richiesta delle autorità, che avevano tirato in ballo “la sicurezza nazionale”. Più o meno contemporaneamente si erano tirati indietro anche gli inserzionisti, e Mara e i suoi colleghi di Djoma e Fim si erano accorti che c’erano delle interferenze nelle trasmissioni.
“Di colpo, quando la gente si sintonizzava sulla nostra frequenza, sentiva della musica”, racconta Mara. In particolare un brano, Armée guinéenne (esercito guineano), uscito nel 1970, all’indomani di un colpo di stato fallito. In questa canzone dal ritmo allegro si esorta a “crocifiggere il nemico”, dice Mara con un nodo alla gola. “Siamo noi il nemico?”.
Mantenere i legami
Le aziende che gestiscono i mezzi d’informazione hanno firmato insieme un appello contro le chiusure, ma per il momento tutto tace. Nessuno sa quanto in là sono disposti a spingersi i militari, ammette Diallo. In Guinea pochi osano ancora dire la loro, e anche il silenzio degli altri governi è preoccupante. Mentre altrove in Africa occidentale le giunte di Mali, Burkina Faso e Niger – tutti paesi dove negli ultimi anni ci sono stati dei colpi di stato – hanno avuto scontri con i paesi vicini e i partner occidentali, Doumbouya ha mantenuto buoni rapporti con tutti.
Una strategia che dà i suoi frutti. Infatti nessuno sembra intenzionato a imporre nuove sanzioni alla giunta, neanche dopo che la promessa di nuove elezioni non è stata mantenuta. Gli interessi in ballo sono troppo grandi.
Anche per la Francia, l’ex colonizzatore che controlla gran parte del settore guineano della bauxite e che è già stato messo alla porta dalle giunte di Mali, Burkina e Niger. Questi paesi sono ai ferri corti anche con il blocco regionale della Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale.
Intanto, molti dei compagni di Diallo sono scappati dal paese. Lui era già fuggito in precedenza, sotto Alpha Condé. Un nuovo tentativo di fuga dipende dalla situazione, dice Diallo, che ora vive in una località segreta. “Voglio prima sapere se i miei amici respirano ancora”. ◆ oa
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Questo articolo è uscito sul numero 1579 di Internazionale, a pagina 60. Compra questo numero | Abbonati