Mi dispiace che l’editore Condé Nast abbia trasferito la rivista musicale online Pitchfork all’interno del sito del mensile maschile Gq. Non farò l’ennesimo elogio funebre del sito. Ma ancora oggi, se guardate la schermata iniziale del mio telefono, tra l’app del New York Times e quella di Note, c’è la pagina delle recensioni di Pitchfork. È uno dei pochi angoli di internet che amo, anche se spesso non sono d’accordo con quello che scrivono. Ma il disaccordo è parte del piacere! Gli articoli sono buoni, i recensori enciclopedici, i punti di vista stimolanti.
La rivista Sports Illustrated ha appena licenziato la maggior parte dei suoi dipendenti. BuzzFeed News non esiste più. L’Huffington Post si è ridimensionato. Vice è tenuto in vita artificialmente. Il vecchio sito di gossip Gawker è scomparso e così anche il nuovo Gawker. Il blog politico FiveThirtyEight, fondato da Nate Silver, è stato venduto alla Abc News e poi ha subìto una riduzione del personale. Vox Media, che un tempo era casa mia, negli ultimi anni ha tagliato il personale.
È questo il punto in cui si trova chi fa informazione: si può prosperare se si è molto piccoli o molto grandi, ma è difficile sopravvivere nello spazio tra questi due estremi
Non soffre solo il giornalismo digitale. Nei primi anni della pandemia sono falliti più di 350 giornali cartacei. È lo stesso ritmo con cui fallivano prima della pandemia: due chiusure alla settimana. I tre maggiori quotidiani dell’Alabama hanno smesso di andare in stampa. Giornali storici come il Los Angeles Times, il Baltimore Sun e il Dallas Morning News sono diventati l’ombra di se stessi. Non sta fallendo una particolare strategia editoriale. A crollare, nel giornalismo, è proprio tutto quello che sta nel mezzo.
Ai vertici, invece, ci sono ancora delle opportunità. Prendiamo il New York Times. Sta affrontando molte difficoltà: i ricavi degli abbonamenti alla versione cartacea sono in calo come altrove, ma l’accesso a un pubblico globale ha aperto nuovi orizzonti. Il Times può essere competitivo in California come a New York, e anche al livello internazionale. Ma nel mercato globale chi vince tende a prendere sempre di più. La maggior parte delle persone si abbona, a dir tanto, a un solo mezzo d’informazione, perciò sceglierà quello che offre il valore più alto. Più saranno numerosi gli abbonamenti a un leader del mercato, più soldi avrà questo per attirare i collaboratori migliori e ampliare l’offerta. Più prodotti offre (cucina, giochi, recensioni, sport locali), più l’offerta è vantaggiosa, capace di rendere il pacchetto ancora più interessante.
D’altro canto, per i giornalisti indipendenti mantenersi è più facile che mai. Sono entrato nel mondo del giornalismo come blogger. All’epoca per farsi pagare bisognava trasferire il proprio blog su una testata affermata. Ora i blog sono diventati newsletter e le newsletter hanno degli abbonati. L’innovazione principale della piattaforma Substack è stata quella di rendersi conto che per un abbonamento alla newsletter di un singolo autore si può chiedere molto più di quanto molti di noi immaginavano. Non mi sarebbe mai venuto in mente di vendere abbonamenti al mio blog a 80 dollari all’anno. Vendendoli a questa cifra, è possibile guadagnarsi da vivere con cinquemila abbonati. Un piccolo pubblico, se è disposto a pagare, genera un ottimo flusso di entrate. Questo flusso di entrate, però, non basta a finanziare il lavoro di più giornalisti, redattori, copy editor, photo editor e così via. C’è un motivo se su Substack prosperano le opinioni e non il giornalismo investigativo. Alcune pubblicazioni, come Politico, hanno costruito delle redazioni a partire dalle newsletter, ma per farle funzionare serve un pubblico ricco.
È questo il punto in cui si trovano i mezzi d’informazione: si può prosperare se si è molto piccoli o molto grandi, ma è difficile sopravvivere nello spazio tra questi due estremi. È un disastro per il giornalismo e per i lettori. Quello che sta in mezzo può essere più specializzato e sperimentale rispetto alle pubblicazioni di massa, e può essere più ambizioso rispetto a quelle di nicchia. È nel mezzo che si formano i grandi giornalisti. È nel mezzo che si trova il giornalismo locale, ed è nel mezzo che la cultura si fa e non si rincorre.
Qualche settimana fa ho ospitato nel mio podcast Kyle Chayka, autore del libro Filterworld (Roi edizioni 2024). La conversazione ruotava intorno a quello che si è perso con il passaggio da un’internet costruita sul concetto di cura e selezione dei contenuti a un’internet costruita sulle raccomandazioni degli algoritmi. Il valore della cura dei contenuti, ha spiegato Chayka, “non consiste solo nel dirvi cosa consumare. Significa offrire una visione di come funzionano le cose. È un lavoro enorme che richiede tempo per presentare idee, canzoni o qualsiasi altra cosa nel contesto che merita. E nell’internet di oggi è andato perso”. Pitchfork faceva proprio questo, e ora non c’è più. Ci mancherà. E temo che non sarà sostituito. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1547 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati