Quando i suoi amici hanno cominciato a parlare di legge marziale, Kirill Šamiev ha capito che era arrivato il momento di lasciare la Russia. Una settimana dopo l’invasione dell’Ucraina, Šamiev – un dottorando di San Pietroburgo di 26 anni che lavora come consulente politico per alcune aziende europee – ha avuto paura di essere arruolato nell’esercito o semplicemente di rimanere bloccato in Russia. “Ho sentito da alcuni amici con contatti nel governo che sarebbe stata introdotta la legge marziale, e che avrebbero chiuso i confini”, dice.

I biglietti aerei per la Turchia, l’Armenia e il golfo Perisco sono andati esauriti in poco tempo, così Šamiev ha dovuto fare un lungo giro per lasciare il suo paese: prima un volo per Ekaterinburg, città russa nella regione degli Urali; poi un altro per Biškek, la capitale del Kirghizistan, in Asia Centrale. “Lì la vita non è cara, e la gente è amichevole con i russi”, racconta Šamiev, che intanto si è trasferito in un paese dell’Unione europea.

Migliaia di russi contrari alla guerra hanno lasciato il loro paese, dove le autorità hanno imposto nuove e severissime leggi contro il dissenso e inasprito la repressione. Ma ora che lo spazio aereo dei paesi europei è chiuso ai voli provenienti dalla Russia, molti di questi nuovi emigranti si stanno dirigendo in paesi dell’ex spazio sovietico.

Le voci sulla legge marziale e sulla chiusura delle frontiere hanno cominciato a circolare all’inizio di marzo. Il sito d’informazione indipendente Mediazona, ormai inaccessibile in Russia, ha riferito che alle frontiere gli uomini in età da militare sono stati sottoposti ad approfonditi interrogatori da parte dell’Fsb (il servizio di sicurezza della Federazione Russa), con gli agenti che esaminavano i messaggi sui telefoni.

Sola andata

Allo spazio aereo europeo chiuso si aggiungono le compagnie aeree russe che hanno interrotto i collegamenti internazionali, perché a causa delle sanzioni dovevano restituire gli apparecchi presi in affitto. L’aumento della domanda di viaggi per uscire dalla Russia si è scontrata quindi con un’offerta sempre più scarsa. I biglietti di sola andata per Dubai hanno toccato i quattromila dollari, mentre quelli per Erevan, in Armenia, erano in vendita a 1.840 dollari. Il governo georgiano ha dichiarato che quasi 25mila russi sono entrati nel paese negli ultimi giorni. Sui social network alcuni hanno ribattezzato la capitale armena Erevan la “nuova Costantinopoli”, riferendosi al nome ottomano di Istanbul, dove molti espatriati russi si rifugiarono dopo la rivoluzione d’ottobre e la guerra civile negli anni venti del novecento.

I biglietti per Biškek, una città costruita in epoca sovietica e sconosciuta alla maggior parte dei russi, erano molto più economici, intorno ai trecento dollari, e sono andati a ruba. Quando un giornalista del Moscow Times ha prenotato un volo per il 10 marzo, l’aereo – un Boeing 777 da quattrocento posti – era quasi pieno, per lo più di cittadini russi. L’aeroporto della capitale kirghisa, un vecchio edificio sovietico mai ristrutturato, era affollato da famiglie della classe media russa e da giovani anticonformisti, alcuni con la chitarra in mano. Tutti raccontavano di essere contenti di aver lasciato il loro paese e di voler cominciare al più presto una nuova vita da migranti politici.

Gli alberghi e i ristoranti di Biškek, una città in stile sovietico con circa un milione d’abitanti, circondata da montagne innevate, erano pieni di russi appena arrivati. Tra loro c’era Ilja Jarošenko, un uomo di 26 anni che investe in criptovalute, fuggito da San Pietroburgo via Mosca. “La guerra è un’oscenità”, dice Jarošenko, che è un oppositore di Vladimir Putin ed è finito in carcere nel 2021 per aver partecipato alle proteste a sostegno di Alexej Navalnyj, il nemico giurato del presidente, attualmente in carcere. “Ho deciso di andarmene dopo aver parlato con i miei genitori al telefono”, racconta Jarošenko, originario di Kaliningrad, exclave russa sul Baltico. “Dicevano che Putin aveva ragione, e che si tratta solo di un’operazione rapida per eliminare i fascisti ucraini. In quel momento ho capito quanto la situazione fosse complicata”.

Le autorità kirghise sembravano quasi divertite vedendo la marea di russi che si dirigevano al controllo passaporti dell’aeroporto. Quando hanno chiesto a una donna russa sui vent’anni il motivo del suo viaggio, lei ha mormorato con imbarazzo: “Turismo… per ora”. Il funzionario kirghiso è scoppiato in una sonora risata. Ma il Kirghizistan non è un paese del tutto sicuro per i russi contrari all’invasione dell’Ucraina. Il governo di Biškek dipende molto da Mosca. Dei sei milioni di kirghisi, un milione vive e lavora in Russia. Il governo ha fatto grandi sforzi per non offendere il Cremlino, anche se la valuta locale ha registrato grandi perdite rispetto al dollaro. Tradizionalmente il Kirghizistan è considerato il paese più democratico dell’Asia centrale – dal 2005 ci sono state tre rivoluzioni – ma due mezzi d’informazione sono stati chiusi per il modo in cui avevano parlato della guerra.

Secondo quanto riferito dal Cremlino dopo un colloquio con il presidente kirghiso Sadyr Japarov – un populista salito al potere durante la rivoluzione dell’ottobre 2020 – Biškek sostiene le operazioni di Mosca contro Kiev. Questo spiega perché l’ambasciatore ucraino in Kirghizistan è stato richiamato dal presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj.

L’opinione
Responsabilità condivise

“Man mano che le sanzioni hanno effetto, molti si chiedono: ‘Perché i russi devono soffrire a causa di Putin, se non hanno voluto la guerra?’. Ma l’argomento secondo cui ‘i russi sono gente pacifica e non devono essere ritenuti responsabili’ non sta in piedi. Per vari motivi”, scrive Aleksandr Sudarkyn sul settimanale ucraino Novoe Vremja. “Primo: ufficialmente la Russia non è né un impero né una monarchia assoluta, ma un paese democratico in cui si vota. E la guerra è stata decisa dal presidente, eletto dal popolo. Se i russi non sono d’accordo con le sue azioni possono cercare di ostacolarlo con gli strumenti della democrazia. Secondo: nel ventunesimo secolo nessun paese ha il diritto di attaccarne un altro. E i dubbi sulle guerre in Jugoslavia e in Iraq non possono giustificare l’aggressione all’Ucraina. Se i russi hanno un problema con gli Stati Uniti, possono rivolgersi all’Onu e ad altre istituzioni internazionali o dichiarare guerra a Wash­ington”.

Un terzo motivo, sostiene Sudarkyn, riguarda le tasse: “Ad alimentare il settore militare della Russia sono i soldi del gas e del petrolio. Ma anche quelli dei cittadini. Questi soldi dovrebbero essere usati in modo diverso, ma i russi non possono controllarli. Perché – quarto punto – il bilancio dello stato russo non è trasparente. Nel 2019 le spese segrete sono cresciute del 7,6 per cento. In tutte le economie ci sono voci di spesa riservate, monitorate dal parlamento. In Russia, però, queste spese sono in aumento, senza nessun controllo. E la cosa non interessa a nessuno. Quinto: l’umore dei cittadini. Nessun governo comincerebbe una guerra sapendo che i suoi cittadini sono contrari. Certo, si può dire che in Russia l’informazione è schierata e controllata dallo stato. Ma nel 2022 le fonti d’informazione affidabili esistono, è possibile controllare, fare domande, leggere. Oggi il mondo è diventato in bianco e nero. I russi possono combattere il regime, emigrare o diventare complici di Putin. Non hanno altre opzioni. Perché le hanno bruciate quando non si sono opposti al regime nelle sue prime fasi”. ◆


Carte bloccate

Nelle strade di Biškek, dove l’opinione pubblica è generalmente filorussa, ci sono state alcune manifestazioni contro la guerra. Dopo l’inizio delle operazioni un piccolo gruppo di manifestanti schierati con il governo di Kiev ha organizzato dei picchetti davanti all’ambasciata russa, un grigio edificio sovietico in una strada centrale della capitale.

Il 5 marzo la mobilitazione è stata interrotta dai poliziotti in divisa e da agenti in borghese che filmavano il piccolo gruppo di persone. “Siamo contro questa guerra imperialista”, ha dichiarato uno dei manifestanti, un pensionato che ha detto di chiamarsi Marat e di avere un fratello a Kiev. “Putin dev’essere fermato a ogni costo”.

E non si può dire che la vita lontana da casa sia facile per i russi appena emigrati. Nel fine settimana le aziende statunitensi che gestiscono carte di credito hanno annunciato che quelle emesse in Russia non avrebbero più funzionato all’estero. Questa decisione impedirà ai russi fuggiti di accedere ai loro conti bancari.

Tuttavia, con l’inasprirsi della repressione politica, molti preferiscono l’emigrazione ai rischi in Russia.

L’investitore di criptovalute Jarošenko dice che pensa di rimanere in Kirghizistan nel prossimo futuro, per poi spostarsi ad Almaty, la città più popolosa del Kazakistan. “Mi piacerebbe tornare in Russia, se ci fosse un cambiamento straordinario”, dice. “Ma non credo sia una prospettiva particolarmente probabile al momento”. ◆ ff

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Questo articolo è uscito sul numero 1452 di Internazionale, a pagina 34. Compra questo numero | Abbonati