A lle porte della città di Cromwell, al lato della strada, c’è una di quelle strane sculture tipiche della Nuova Zelanda, le cosiddette big things (cose grandi). In questo caso una pesca, una mela, una pera e una pesca noce di dimensioni gigantesche. Insomma, un messaggio di benvenuto nella terra della frutta!
La maggior parte dei viaggiatori si limita ad ammirare la variopinta scultura attraverso il finestrino dell’auto perché qui, nel distretto di Central Otago, nel bel mezzo dell’Isola del Sud, non ci sono né ghiacciai né foreste pluviali o fiordi, ma solo colline brulle. Dal maggio 2021, però, capita sempre più spesso che i turisti, i neozelandesi almeno, parcheggino l’auto a Cromwell o si facciano portare in città con la loro mountainbike a noleggio. Perché da quel maggio, dal lungolago di Cromwell parte una pista ciclabile che secondo i mezzi d’informazione neozelandesi è la più spettacolare del paese, e si può fare in giornata. I 55 chilometri del Lake Dunstan trail, che comprendono passerelle di legno addossate alle pareti rocciose e un ponte sospeso di 85 metri chiamato Hugo, si snodano lungo le rive dell’omonimo lago artificiale fino alla cittadina di Clyde.
La pista incrocia un’altra delle cosiddette Great rides, l’Otago central rail trail, che per oltre 152 chilometri segue il tracciato di una linea ferroviaria in disuso. Fu inaugurata nel 2000, quando il cicloturismo in Nuova Zelanda era praticamente inesistente. A molti il progetto sembrava uno spreco di denaro. Ma quella prima pista ciclabile a lunga percorrenza è stata un successo e ha fatto da modello per le ventitré Great rides attuali, più di 2.800 chilometri di piste con molti percorsi fuoristrada
Da fare in giornata
Il nome Great rides dato alle nuove super-ciclabili era una scelta obbligata, visto che da decenni i famosi percorsi escursionistici del paese venivano efficacemente pubblicizzati come Great walks.
Le Great rides hanno dato una grande spinta al cicloturismo: nel 2022 più di due milioni di persone avevano usato i nuovi percorsi. Per completare la maggior parte delle piste ci vogliono almeno due giorni: come il Queen Charlotte track, un percorso in cresta che attraversa le insenature turchesi dei Marlborough Sounds (una serie di valli fluviali), nella parte settentrionale dell’Isola del Sud, mentre il West coast wilderness trail in quattro giorni passa per la foresta pluviale, in valli solcate da fiumi, su spiagge selvagge e a Hokitika, città della giada.
Molti, però, apprezzano il Lake Dunstan trail proprio perché è facile completarlo in giornata, anche per un gruppo come il mio, composto da neozelandesi ben oltre la cinquantina. Ci sono due coppie che hanno già percorso l’Alps2Ocean: 315 chilometri dalle Alpi meridionali al Pacifico, attualmente la ciclabile più lunga del paese. Per qualcun altro questa è già la terza Great ride. Quanto a me, nei prossimi giorni proverò anche altre due piste. Chi non ha una bici, può noleggiarla sul posto.
Il punto di partenza è il Cromwell heritage precinct: diciannove case di legno, lamiera e mattoni con una storia molto particolare. Quando nella vicina Clyde fu costruita la diga che oggi argina il fiume Clutha, dando vita al lago Dunstan, gli abitanti di Cromwell non si rassegnarono a veder sprofondare il centro storico della loro città, e per salvarlo fondarono il Cromwell heritage precinct trust.
Per il Seed & Grain Store, che oggi è un caffè, fecero un lavoro come quello dell’Unesco con il tempio di Abu Simbel (il tempio egiziano smontato e ricostruito per far posto alla diga di Assuan). Smontarono, numerarono e rimontarono tutto. “C’è voluto molto tempo”, spiega Helen Scoles, 72 anni, la presidente del trust. “Lo abbiamo fatto solo in questo caso, mentre le case e i negozi sono copie costruite sulla base di progetti e fotografie degli edifici originali”.
Impieghiamo poco tempo a visitare il piccolo museo, una breve passeggiata tra quelli che erano stati il panificio, la fucina del fabbro, il negozio di liquori e la carrozza col cavallo di cartapesta. Poi in bici avanziamo sulla ghiaia lungo la riva del fiume. A bordo pista fioriscono rose selvatiche, lupini rosa e viola, ginestroni di un giallo brillante e papaveri della California arancioni, tutte piante importate dagli europei, belle ma decisamente infestanti.
Questa zona è stata profondamente trasformata dai coloni bianchi. Arginarono il fiume Clutha, che i maori chiamavano Mata-Au, cioè corrente, e che, con i suoi 338 chilometri di lunghezza, è il secondo fiume della Nuova Zelanda: oggi le sue acque sono calme come quelle di un lago. Alla foce del fiume Kawarau, invece, dove un tempo (prima della costruzione della diga) si sentiva il suono delle rapide del Cromwell Gap, ora c’è un lago: i bambini imparano a pagaiare sui kajak colorati mentre una donna sugli sci d’acqua disegna eleganti curve sulla superficie turchese. Perfino le scogliere sono opera dell’uomo: grandi pietre che i cercatori d’oro fecero rotolare in mare direzionando un potente getto d’acqua contro le colline, diventate dolci pendii coperti di vigne e filari di pioppi. Sembra quasi di stare in Italia.
Il panorama dopo ogni curva o la vista di una piccola isola sull’acqua turchese ci costringono a scendere dalla bici e a scattare qualche foto
A mano a mano che il sentiero s’inoltra nella piana, il paesaggio si fa più brullo. Ben presto sotto le rocce frastagliate ci troviamo a percorrere stretti tornanti che evocano il paesaggio del Sinai. Si vedono strati di micascisto, rocce formate nel corso di duecento milioni di anni dalla compressione dei depositi di sabbia e fango che si trovavano sul fondo del mare. Nei punti troppo ripidi per le biciclette i progettisti della pista hanno trovato una soluzione complicata: gli operai, assicurati a delle funi, hanno perforato la roccia e saldato delle travi di acciaio su cui poi hanno posato delle passerelle di legno sopraelevate.
Nessun’altra ciclabile neozelandese ha richiesto un lavoro di questo tipo, ma ne è valsa la pena. Percorriamo lentamente le passerelle con vista sul lago luccicante: continuiamo a incrociare altri ciclisti che vanno in direzione opposta e per non scontrarci, nelle curve molto strette preferiamo scendere dalla bici e spingerle a mano.
Dopo tutta questa adrenalina una pausa caffè sarebbe l’ideale. La stessa cosa che hanno pensato Jolanda e Richard Foale quando hanno percorso la ciclabile prima che fosse aperta al pubblico, facendo da modelli per le foto che avrebbero pubblicizzato il percorso. “Abbiamo colto subito la bellezza di questo posto”, racconta Jolanda, nata in Svizzera. “E ci siamo detti scherzando: ‘Chi ce lo porta il caffè per accompagnare il pranzo al sacco?’”. La soluzione: un bar galleggiante.
I Foale hanno comprato una barca e ci hanno installato la macchina del caffè. Nove mesi dopo è arrivata anche la barca-cucina, dove ora sfrigolano hamburger di cervo con timo, cipolle marinate nel Pinot nero e formaggio svizzero. Chi ha progettato le Great rides aveva in mente quello che poi è successo: le nuove ciclabili avrebbero dovuto attirare i turisti nelle zone più remote e incoraggiare la gente del luogo a investire e creare nuovi posti di lavoro. Tutto questo nel rispetto dell’ambiente.
I Foale hanno scelto una baia tra le rocce – il posto giusto per fare il pieno di caffeina – subito prima della ripidissima salita della Cairnmuir Ladder: una cima impietosa a giudicare dal profilo altimetrico sulla cartina, che però, grazie all’opera di benevoli progettisti, si rivela decisamente più clemente del previsto. I tornanti regolari risultano agevoli e la frequenza cardiaca, anche senza pedalata assistita, non raggiunge mai valori allarmanti. A segnalare il punto più alto, 130 metri sopra le acque del lago, c’è una piccola piramide. Curva dopo curva affrontiamo la discesa ammirando il panorama, immersi nel profumo del timo. Sembra che a coltivarlo per primo sia stato un francese, che ha piantato i primi vitigni della regione di Otago.
La nostra pedalata termina a Clyde, una piccola città alle spalle della colossale diga. Qui c’è ancora un numero sorprendente di edifici dell’ottocento. Calpestando le assi scricchiolanti di Dunstan House, edificata nel 1898, accediamo a un salone in cui ci sono sedie intagliate e sopra al camino uno specchio con una cornice dorata. “Per noi il Lake Dunstan trail è un gran cambiamento”, racconta Ian Kerrisk, proprietario dell’hotel-ristorante, “prima tutti sostenevano che fosse una perdita di tempo”. Uno studio stimava una media di 7.500 visitatori e invece già il primo anno sono arrivati più di ottantamila ciclisti. Oggi in paese ci sono quattro negozi di bici e molti degli abitanti affittano le camere su Airbnb. Inoltre un ex albergo sta per essere ristrutturato.
La seconda escursione tra quelle da completare in giornata è il Roxburgh gorge trail, che comincia sette chilometri appena a sudest di Clyde. Si snoda attraverso una magnifica gola, profonda cinquecento metri, immersa nella natura. Anche qui il fiume Clutha è stato arginato ed è difficile dire quale dei due laghi artificiali sia più bello.
Di tanto in tanto, il panorama che ci troviamo di fronte dopo ogni curva o la vista di una piccola isola sull’acqua turchese ci costringono a scendere dalla bici e a scattare qualche foto. Dopo queste brevi soste bisogna tornare a pedalare: ci sta aspettando il motoscafo per superare un tratto di strada che non ha la pista ciclabile. È dal 2013 che Laurence van der Eb fissa mountainbike sul suo motoscafo giallo per traghettare turisti attraverso la parte più scoscesa della gola, che per il momento non è possibile attraversare via terra. Ogni tanto fa una deviazione e si ferma per mostrare le grotte dei cercatori d’oro e il cottage della signora Heron.
“Qui era una vera e propria leggenda”, racconta van der Eb. “Piccola, ma rispettata da tutti”. Immigrata nel 1858 dall’Inghilterra, la signora Heron risalì questo fiume sulle cui sponde ogni trenta metri incontravi un cercatore d’oro che si era accaparrato un lotto di terreno. Molti di loro erano reduci dalla caccia all’oro californiana o da quella australiana. “Era la prima ondata d’immigrazione di massa degli europei in Nuova Zelanda”, dice van der Eb.
Provati dal rigidissimo inverno o dalla torrida estate, molti resistevano solo qualche mese, ma qualcuno fece fortuna. Proprio come la tenace signora Heron, che nel ruscello vicino a casa sua – poi rinominato Jewellery creek – trovò un ricco filone d’oro. Prima o poi anche su queste ripidissime scarpate riusciranno a costruire una comoda ciclabile, ma ci vorranno anni.
Abeti rossi
Finito il Roxburgh gorge trail, chi avesse intenzione di continuare deve solo superare la diga, dopo la quale comincia il Clutha gold trail, una pista ciclabile prolungata di recente, lunga 135 chilometri, che arriva fino al villaggio di Waihola, nei pressi della città portuale di Dunedin, sulla costa orientale. Questa ciclabile, meno spettacolare delle altre due, attraversa un paesaggio dall’aspetto più europeo, con le mucche nei pascoli e le colline coperte di abeti rossi. Eppure le ultime rapide rimaste ci fanno intuire quanto scorresse potente il Mata-Au quando i maori sulle sue sponde davano la caccia ai moas, enormi uccelli corridori che potevano raggiungere i quattro metri d’altezza.
Nel frattempo, nella Kawarau gorge, lungo un affluente del fiume Clutha, sono cominciati i lavori per i 32 chilometri di pista che congiungeranno il Lake Dunstan trail alle piste ciclabili che vanno da Queenstown a Gibbston. Il risultato finale sarà la fusione delle cinque super-ciclabili di Otago in un’unica rete lunga più di cinquecento chilometri: il massimo del cicloturismo. ◆ sk
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Questo articolo è uscito sul numero 1550 di Internazionale, a pagina 68. Compra questo numero | Abbonati