Il nuovo governo pachistano dovrà affrontare grandi sfide economiche sia sul fronte interno sia su quello esterno. Secondo gli esperti l’esecutivo di Imran Khan, sfiduciato dal parlamento il 9 aprile, ha combinato disastri sul piano economico, e non è riuscito a rispettare il suo programma: creare dieci milioni di posti di lavoro, rendere disponibili cinque milioni di case, assicurare una buona amministrazione, la crescita economica e le riforme fiscali. Oltre a questo, Khan è accusato di non aver eliminato la corruzione e il clientelismo, una delle promesse della sua campagna elettorale nel 2018.
Shahbaz Sharif, il nuovo primo ministro, arriva al governo in un momento in cui l’economia è in allarme e le riserve stanno toccando il fondo, tra inflazione record dei prezzi dei generi alimentari, debito crescente, disoccupazione, importazioni in aumento e un deficit commerciale di 35 miliardi di dollari.
Di male in peggio
Khan è il primo capo del governo pachistano sfiduciato dal parlamento. Atif R. Mian, un economista pachistano-statunitense e docente di economia delle politiche pubbliche e delle finanze all’università di Princeton, negli Stati Uniti, sostiene che Khan – costretto a dimettersi dopo tre anni e mezzo di governo – abbia ereditato un’economia in cattivo stato, lasciandola però in condizioni ancora peggiori. Dal punto di vista delle politiche economiche, spiega Mian, c’è stato un aumento del reddito medio pari a zero, perché il Pakistan non si è mai scrollato di dosso la crisi della bilancia dei pagamenti (che si verifica quando un paese non è in grado di pagare l’importazione di beni essenziali o di ripagare il debito estero). “Il covid-19 ha dato una tregua temporanea a questa crisi, perché le importazioni di petrolio e la domanda interna sono calate, ma con la diminuzione dei casi positivi il Pakistan è tornato in guai seri”, osserva Mian aggiungendo che il più grande fallimento del governo uscente è stato l’incapacità di capire le grandi sfide del paese: non ha fatto piani a lungo termine, e ha sprecato risorse preziose in programmi inconsistenti. “Ha scelto le solite scorciatoie, come aprire agli investimenti speculativi, incoraggiare gli investimenti immobiliari improduttivi, sovvenzionare un’economia di rendita che favorisce le élite e fare viaggi all’estero per chiedere l’elemosina”, scrive Mian.
Aiuto esterno
L’instabilità politica e la crisi costituzionale durata un mese, e alimentata dalle spinte dell’opposizione, hanno fatto precipitare il Pakistan in una situazione che potrebbe essere senza precedenti. Il Fondo monetario internazionale (Fmi) sta trattenendo un pacchetto di salvataggio da sei miliardi di dollari in attesa di confrontarsi con il nuovo governo. I dati della banca centrale rivelano che un pesante flusso verso l’estero sta pesando sulle riserve di valuta straniera, che hanno già perso 2,9 miliardi di dollari alla fine di marzo. Altri novecento milioni di dollari serviranno a pagare l’anglocilena Antofagasta, una delle aziende coinvolte nella disputa sulla miniera d’oro di Reko Diq, per la quale un tribunale d’arbitrato internazionale ha inflitto al paese una multa di quasi sei miliardi di dollari. Anche i pagamenti del debito estero, compreso il rimborso di importanti prestiti cinesi, hanno pesato molto sulle riserve di valuta straniera. “La rupia ha perso il cinquanta per cento del suo valore negli ultimi tre anni”, dice Farrukh Saleem, uno scienziato politico, economista e analista finanziario che vive a Islamabad. “La banca centrale ha 11 miliardi di dollari, che non coprono neanche due mesi d’importazioni, e deve pagare 14 miliardi di dollari nei prossimi nove mesi”.
◆ Quando nel 2018 Imran Khan è stato eletto primo ministro, tutto sembrava volgere in suo favore, scrive la Bbc. Eroe nazionale dai tempi in cui giocava a cricket, si era trasformato in un politico carismatico e, dopo anni di lotta, era riuscito a imporsi sulle due dinastie politiche che avevano dominato il Pakistan per decenni. Era emerso come una forza nuova, promettendo il “cambiamento”. Sembrava destinato a essere il primo capo del governo a rimanere in carica per l’intero mandato di cinque anni. Oltre al consenso popolare, Khan aveva l’appoggio fondamentale dell’esercito e dei servizi segreti. Tuttavia, con il peggiorare della crisi economica e dopo alcune nomine sbagliate, i militari hanno avuto paura di essere ritenuti responsabili della sua ascesa e l’hanno abbandonato. L’opposizione ha presentato una mozione di sfiducia contro Khan, accusandolo di malgoverno e cattiva gestione dell’economia. Il primo ministro ha provato a bloccare il voto con una mossa giudicata incostituzionale dalla corte suprema. Il 10 aprile il parlamento ha votato la sfiducia e destituito Khan e il giorno dopo ha eletto primo ministro il capo dell’opposizione, Shahbaz Sharif, fratello dell’ex premier Nawaz Sharif, che dovrà guidare un governo di coalizione.
In piena emergenza, la Cina e gli Emirati Arabi hanno salvato il paese dal rischio di non poter ripagare il debito rinnovando i loro prestiti per sei miliardi di dollari. Abu Dhabi ha prorogato un prestito da due miliardi di dollari per un altro anno, anche se Islamabad deve rimborsare già un prestito da 450 milioni di dollari, scaduto poche settimane fa. Dubai ha preteso di riavere i suoi soldi, ma il Pakistan vuole che il prestito sia prorogato. L’ex ministro degli esteri pachistano Shah Mehmood Qureshi, che è andato in visita a Pechino a marzo, ha rivelato che la Cina avrebbe rinunciato a un enorme rimborso del debito (4,2 miliardi di dollari) per aiutare l’alleato in difficoltà. La rinuncia era tra le richieste fatte a Pechino per ottenere un aiuto di circa 21 miliardi di dollari: metà come rinuncia ai crediti esistenti e altri dieci miliardi di dollari come fondo di deposito per affrontare le pressioni esterne e le future richieste finanziarie.
“Il Pakistan sta spendendo troppo per le importazioni. Il disavanzo sta per raggiungere la soglia dei venti miliardi di dollari, pari al sei per cento del pil”, spiega Saleem. “Il rischio di una crisi a pieno titolo della bilancia dei pagamenti è alta, ma il Pakistan è in stato di ‘negazione volontaria della realtà’. Questa crisi è una recessione inventata e deliberata. I servizi pubblici sono crollati e il peso di tutto questo è ricaduto soprattutto sulle spalle delle classi medie e povere. La situazione è una minaccia alla stabilità e alla pace sociale del paese”. ◆ ff
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1456 di Internazionale, a pagina 35. Compra questo numero | Abbonati