Aude Picault, un’artista della nuova leva francese venuta fuori nel corso degli anni duemila, è capace di creare prossimità, consapevolmente o meno, con i grandi momenti della storia del disegno. Qui si pensa soprattutto ai disegnatori, ormai considerati autori fondamentali, del cosiddetto fumetto delle origini, come il raffinato Caran d’Ache, maestro di un calligrafismo del segno grafico, talvolta minimale, che sconfinava nel pittorico. Il tratto morbido di Picault, sinuoso e aereo, ma al contempo pulito ed essenziale, è al servizio di un’indagine visiva, spiritosa ma tutt’altro che priva di profondità, della perversione sessuale come strumento gioioso di liberazione della donna. A lei, e alla contessa del settecento di cui narra le gesta impertinenti, anzi osé, spetta quindi il compito d’inaugurare la collana Fumetti zozzi delle edizioni Comicon, che porta in Italia una serie di libretti erotici, anarchici e insieme problematici, dove autrici e autori francesi coabitano in modo paritario. Flirtando con la pantomima, Picault lavora su sequenze, situate tra realtà e fantasma sessuale, dove abbondano allusive metafore grafiche che equivalgono ad altrettanti minuetti o danze del piacere espresse dal segno grafico nella sua purezza. Purezza al servizio della gioia della perversione erotica, che si fa un baffo del controllo maschile grazie alla complicità della servitù. Morale della parabola “zozza”: il sesso al femminile è interclassista.
Francesco Boille
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Questo articolo è uscito sul numero 1458 di Internazionale, a pagina 98. Compra questo numero | Abbonati