Oltre dieci anni dopo la sua ultima graphic novel, Cronache dalla palude, ecco il grande ritorno di Francesca Ghermandi. Autrice tra le più talentuose a livello internazionale, è probabilmente l’unica figura del fumetto mondiale che abbia la forza plastica e le qualità tecniche di quei grandi statunitensi degli anni quaranta, cinquanta e sessanta che potremmo definire di “gomma” e insieme diabolicamente espressivi, dal movimento folle ed energico: disegnatori dallo spirito anarchico e diversissimi come Al Capp, Jack Cole, Harvey Kurtzman. L’attesa comunque non è stata vana: il nuovo lavoro si avvicina alle quattrocento pagine, è molto denso e realmente folle. La disegnatrice bolognese ha ripreso il racconto picaresco della tradizione ottocentesca in una sorta di narrazione di fantascienza da universo parallelo in chiave umoristica e surreale, come sua abitudine. Ma la consueta rilettura del postmoderno va ormai oltre: è un mondo risibile di rottami celati dalla fuliggine. Per rappresentarlo ha scelto il piccolo formato tascabile del fumetto popolare, in bianco e nero e con un disegno minimalista. Eppure Ghermandi incanta con questo minuscolo mondo di microscopici e nervosi grumi di materia, esserini che si agitano per ritrovare il senso delle cose, o che credono di farlo. Insomma parla di noi. E lo fa soprattutto con il segno grafico, che qui trionfa. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1515 di Internazionale, a pagina 93. Compra questo numero | Abbonati