Più il tempo passa e più l’opera di Dino Battaglia, scomparso precocemente nell’ottobre del 1983, appare immensa. Aveva come modello il cinema di Luchino Visconti ma era innamorato della “mediocrità”, del grigiore del passato, della compassione per la povera gente. L’uomo era introverso, inquieto, casalingo, così come la sua opera era malinconica, spirituale ma calata nell’introspezione della modernità (Svevo era tra i suoi autori di riferimento), alla ricerca del segno perfetto nella minuzia e della dialettica tra illustrazione, riferimenti stratificati alla pittura e raffinato movimento interno della tavola, quasi d’avanguardia. Tutto questo lo ritroviamo negli adattamenti dei racconti antimilitaristi di Maupassant, ambientati durante l’occupazione prussiana della Francia, in una riedizione di Bonelli realizzata in collaborazione con la libreria d’arte torinese Lo Scarabeo, perfetta anche grazie a una prefazione (su Maupassant) e una postfazione (su Battaglia) di prim’ordine. Con il suo pennino, Battaglia incideva la carta come un bisturi, un segno acuito dall’uso delle lamette – un’intuizione che ha influito sull’arte di tanti autori – e delle spugnette con cui graduava all’infinito i suoi celebri grigi. L’oscurità qui si fa grigia come la mestizia e la malinconia dell’animo umano e si scontra con il biancore suscitato dalla sottrazione grafica generando, paradossalmente, un balsamo per lo spirito. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1554 di Internazionale, a pagina 85. Compra questo numero | Abbonati