In un racconto per bambini dello scrittore statunitense Dr. Seuss, Il Grinch, una creatura dal pelo verde ruba il Natale. All’interno delle filiere globali potrebbe essere all’opera una sorta di Grinch? Sembra proprio di sì. Da mesi ormai in tutto il mondo i produttori di computer, frigoriferi, mobili e automobili devono fare i conti con la scarsità di materiali e gli intoppi nella logistica. Gli effetti sono i tagli alla produzione e il maggior ricorso alla cassa integrazione per i lavoratori, soprattutto nel settore automobilistico.
La situazione è tesa negli oceani, nei porti di trasbordo dei container, negli aeroporti e sul mercato del lavoro, con possibili conseguenze sul giro d’affari previsto per le festività di fine anno.
In genere le merci destinate al Natale approdano sugli scaffali al massimo a novembre. Per questo dovrebbero già essere in viaggio per i mari del mondo, visto che circa l’80 per cento del commercio globale si svolge via mare. Secondo Vincent Stamer, esperto di commercio dell’Istituto di economia internazionale di Kiel, in Germania, gli ingorghi di navi portacontainer davanti ai porti cinesi e il basso volume di merci trasportate nel mar Rosso ad agosto aumenteranno le probabilità d’intoppi nelle attività di vendita legate al Natale.
Per il mar Rosso passa la rotta commerciale più importante tra l’Asia e l’Europa. “Le feste di fine anno non saranno rovinate, ma è possibile che il regalo che abbiamo ordinato non arrivi prima dell’anno nuovo. Per di più, potrebbe verificarsi un rincaro dei prezzi”, osserva Stamer.
E forse l’incubo non si concluderà neppure con l’inizio dell’anno nuovo. Nel settore della logistica tutti sono convinti che le difficoltà nel traffico via mare potrebbero durare fino alla metà del 2022, quando la situazione dovrebbe alleggerirsi con l’arrivo delle navi cargo commissionate prima della pandemia. Di recente ha preso il mare la Ever Ace, della compagnia di navigazione taiwanese Evergreen, la nave portacontainer più grande del mondo.
Un ulteriore collo di bottiglia si è formato per la scarsità dei container, che oggi si trovano nei posti in cui non ce n’è bisogno. Anche in questo caso però la soluzione potrebbe essere vicina: la Triton International, azienda che controlla il 40 per cento del mercato mondiale del noleggio di container, si propone di ampliare la sua disponibilità di unità di trasporto del 14 per cento.
Colli di bottiglia
Il problema maggiore al momento sono gli ingorghi nei terminal dei container. Il 10 settembre nei porti di Los Angeles e Long Beach, sulla costa ovest degli Stati Uniti, si sono formate file di cinquanta navi in attesa, un record. A livello globale, le capacità limitate dei porti e le restrizioni dovute al covid-19 impediscono alle navi di fare le operazioni di carico e scarico al solito ritmo. In alcuni paesi, per esempio, non è consentita una sovrapposizione dei turni di lavoro dei portuali.
Anche gli aeroporti e il trasporto aereo delle merci subiscono l’inasprimento delle misure per contenere il covid-19. Il volume del trasporto aereo già soffre la riduzione dei voli intercontinentali di linea, che si attesta ben al di sotto del livello precedente alla pandemia. Tra gli operatori della logistica c’è chi ritiene addirittura che una normalizzazione del settore aereo si avrà solo nel 2024.
È evidente che gli sviluppi futuri dipenderanno dall’andamento della pandemia. Per ora il commercio mondiale si è ripreso dal crollo subìto l’anno scorso, riassestandosi sui livelli precedenti alla crisi. È soprattutto durante l’autunno del 2020 che si sono moltiplicati i problemi di approvvigionamento, a causa dei picchi imprevisti della domanda di beni di consumo. Nei paesi che hanno introdotto misure di contrasto alla pandemia il comportamento dei consumatori è cambiato drasticamente: in Europa e negli Stati Uniti, invece di spendere in ristoranti, cinema e viaggi, le persone hanno comprato dispositivi elettronici e prodotti destinati al consumo domestico, spesso provenienti dall’Asia. Ora la scarsità di materiali e i problemi logistici potrebbero rallentare la ripresa economica e alimentare l’inflazione.
Le difficoltà della distribuzione diminuiranno quando i consumi si saranno normalizzati e i magazzini aziendali saranno di nuovo pieni. Questo tuttavia implica un rallentamento, anche parziale, dell’attività economica. Alla luce delle condizioni in cui versano attualmente le filiere nella distribuzione, per ora la situazione sembra piuttosto destinata a peggiorare, perché singoli eventi, come la chiusura di un porto, continuano a produrre effetti notevoli.
Effetto frusta
Alcuni segnali, però, suggeriscono che un punto di svolta non è lontano: il 10 settembre la Cma Cgm, una grande compagnia di navigazione francese, ha deciso di congelare le tariffe di noleggio fino a febbraio del 2022. La concorrente tedesca Hapag-Lloyd lo ha già fatto. Anche se i prezzi restano piuttosto alti, può essere il segnale di un allentamento della situazione. Gli economisti della società di ricerche Capital Economics osservano anche che alcuni dati, come quelli relativi alle esportazioni asiatiche di dispositivi elettronici e di mobili, sono in fase di stagnazione, un’ulteriore prova dei problemi nelle filiere. Allo stesso tempo, però, in Asia calano anche alcuni prezzi, per esempio quelli delle materie prime, mentre diminuiscono i tempi di consegna di alcuni prodotti.
Nella speranza di risolvere la grave carenza di carburante nel Regno Unito, il 27 settembre il governo britannico ha deciso di concedere dei visti temporanei – fino alla fine dell’anno – a cinquemila autisti di camion stranieri, scrive il Guardian. Le lunghe file alle stazioni di rifornimento hanno messo in difficoltà anche il sistema sanitario: molti medici, infermieri e autoambulanze, non sono più in grado di circolare. Secondo la Petrol retailers association, sono a corto di benzina due terzi delle quasi 5.500 stazioni di rifornimento che aderiscono all’associazione (nel Regno Unito ci sono in tutto più di ottomila distributori), mentre gli altri punti vendita stanno per finirla. Il motivo principale della crisi è che non ci sono abbastanza autisti per trasportare i rifornimenti, spiega il quotidiano. Molti lavoratori del settore hanno lasciato il Regno Unito dopo l’entrata in vigore della Brexit, il 1 gennaio 2021. Negli ultimi due anni il
paese ha perso circa 72mila autisti. Oltre a concedere i visti, Londra ha deciso di inviare quasi un milione di lettere ad autisti di camion per incoraggiarli a tornare nel settore, e prevede di pagare a quattromila persone dei corsi di formazione per guidare i tir. La misure del governo non sono sufficienti, sia perché i visti proposti sono pochi sia perché la loro validità è talmente ridotta che quasi nessun lavoratore è disposto ad accettare di trasferirsi nel Regno Unito per un periodo così breve. Come ha spiegato Marco Di Gioia, segretario generale dell’European road haulers association, che raggruppa più di 200mila ditte di trasporti, la mancanza di autisti riguarda l’intera Europa. Anche se, ha sottolineato Di Gioia, oggi l’Unione europea offre condizioni di lavoro e di salario migliori rispetto al Regno Unito. I paesi dell’Unione, inoltre, hanno stanziato miliardi di euro in forme di sostegno alle ditte di trasporto.
Il governo britannico, infine, ha offerto altri 5.500 visti a immigrati disposti a lavorare nel settore della lavorazione della carne. Le difficoltà nei trasporti, infatti, stanno rallentando le forniture in tutti i settori, soprattutto quelle destinate ai supermercati. ◆
Le gravi difficoltà delle forniture possono essere ricondotte anche al cosiddetto effetto frusta, che si verifica quando minime variazioni nelle ordinazioni di un bene di consumo producono effetti notevoli sulla produzione, lo stoccaggio e l’impiego di materie prime.
Secondo Erik Hofmann, direttore dell’istituto di supply chain management dell’università di San Gallo, in Svizzera, il fenomeno è stato osservato e analizzato per la prima volta negli anni novanta dalla Procter & Gamble, in particolare nel mercato dei pannolini. All’epoca la multinazionale statunitense notò con stupore notevoli oscillazioni nella filiera di questo prodotto, per il quale di solito è abbastanza facile prevedere la domanda. Un aumento della domanda, dovuto per esempio a una campagna di sconti promozionali, provocava un aumento della produzione e di conseguenza ordini sempre maggiori di cellulosa. L’effetto si verificava anche se c’erano timori di difficoltà nell’approvvigionamento, che scatenavano una corsa all’acquisto e quindi ordinazioni eccessive.
Durante la pandemia l’effetto frusta non ha riguardato un singolo prodotto, ma si è verificato praticamente in tutti i settori, che oltretutto s’influenzano a vicenda. Hofmann paragona questa dinamica al lancio di un sasso in un recipiente pieno d’acqua: dal sasso partono onde circolari che dal bordo del recipiente si rifrangono appianandosi o prendendo forza al punto di straripare. Insomma, non si può escludere che l’effetto frusta si trasmetta da un settore industriale all’altro.
Secondo un sondaggio del Credit Suisse, la metà delle aziende svizzere ha adeguato le filiere, rifornendosi con più frequenza nella stessa Svizzera o comunque in Europa. E la Commerzbank sostiene che nei paesi occidentali il 30 per cento delle aziende sta pensando di ritrasferire la produzione in un paese vicino ai mercati di riferimento.
Questi, tuttavia, sono progetti di medio e lungo periodo, e per ora la maggior parte delle aziende è ancora alle prese con un problema complicato. ◆ sk
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Questo articolo è uscito sul numero 1429 di Internazionale, a pagina 46. Compra questo numero | Abbonati