Lo scrittore israeliano Abraham B. Yehoshua era il sognatore dello stato unificato. Non è un caso che questo punto fondamentale del suo pensiero sia stato rimosso dai molti elogi funebri pronunciati dopo la sua morte, avvenuta il 14 giugno all’età di 85 anni. Yehoshua era l’unico della sua generazione e della sua statura che osò varcare il Rubicone. Non ha finito la sua traversata, e forse non l’avrebbe mai fatto, perché la strada era ancora molto lunga, ma ha osato cominciarla. Al contrario del suo caro amico Amos Oz, e della sinistra sionista in generale, ha avuto il coraggio di ammettere il fallimento della soluzione dei due stati e di riconoscerne pubblicamente l’inconsistenza.
Il resto dei suoi amici di sinistra ha continuato e continua a essere impantanato in questa soluzione per calmare la propria coscienza. Come se ci fosse una soluzione e l’unica cosa da fare fosse prenderla da uno scaffale. Ma quello scaffale non c’è, la soluzione non c’è e probabilmente non c’è mai stata. Sprofondando nel loro falso sogno, queste persone non fanno altro che allontanarsi da qualsiasi soluzione e rafforzare l’occupazione israeliana. Molti mentono anche a se stessi, perché nel profondo del loro cuore sanno, ovviamente, che non ci saranno mai due veri stati tra il fiume Giordano e il Mediterraneo. Yehoshua è stato quasi l’unico a riconoscerlo. È stata questa la sua grandezza.
Molti mentono, ma nel profondo del loro cuore sanno che non ci saranno mai due veri stati tra il fiume Giordano e il Mediterraneo. Yehoshua è stato quasi l’unico a riconoscerlo
All’inizio era molto diverso. Leggendo la prima intervista che gli ho fatto trentacinque anni fa nella sua casa di Haifa (pubblicata su Haaretz il 15 maggio 1987), nel periodo in cui fu pubblicato il suo romanzo _Cinque stagioni _(Einaudi 2007), sembra un’altra persona, un portavoce della sinistra sionista al suo peggio. Yehoshua paragonava l’ascesa al governo del partito di destra Likud alla notte in cui scoppiò la guerra dello Yom kippur: “Un odore di sangue, qualcuno è ferito, qualcuno è straziato. Come se i paracadutisti egiziani fossero atterrati sul colle di Mitla. Come se i piloti egiziani stessero bombardando i campi dell’aviazione israeliana. Il mondo è crollato”. Secondo lo Yehoshua di allora un cambio di governo avvenuto nel corso di elezioni legittime e democratiche era la fine del mondo, la fine del suo mondo.
Li detestava davvero e non esitava a dirlo: “Ero al culmine del mio odio per i sostenitori del Likud. Quando li vedevo, mi venivano le convulsioni”. Già allora Yehoshua era uno dei leader spirituali dello schieramento illuminato, quello che ancora oggi si definisce “ebreo e democratico”. Ancora oggi queste persone sono sicure che esista un enorme abisso tra la loro grandezza e l’inferiorità degli elettori del Likud, e che il ritorno di quest’ultimo al governo significhi la fine della civiltà. Yehoshua era maturato anche da questo punto di vista. Il 15 giugno Benny Ziffer ha scritto su Haaretz che Yehoshua voleva incontrare Benjamin Netanyahu prima di morire.
Nel 1987 lo scrittore parlava ancora di “separazione dai palestinesi” e di “visione dei due stati”, come facevano tutte le persone come lui a quei tempi. È stato affascinante osservare il passo successivo. Nel dicembre 2016 Yehoshua aveva proposto di dare la cittadinanza israeliana a centomila palestinesi che vivevano nell’area C, una zona che comprende più del 60 per cento della Cisgiordania occupata e in cui Israele ha il pieno controllo. Pur parlando ancora di due stati, voleva “ridurre il livello di male”. Due anni dopo arrivò il momento decisivo: in due articoli pubblicati su Haaretz (il 12 e il 16 aprile 2018) dichiarò il suo divorzio. Serviva un piano per fermare l’apartheid: era giunto il momento di dire addio all’idea dei due stati.
Yehoshua ha lasciato le inevitabili conclusioni a chi verrà dopo di lui. Non era più abbastanza forte per passare alla fase successiva, l’inevitabile distacco dal sionismo. Se era arrivato il momento dell’allontanamento dall’idea dei due stati, ci sarebbe dovuto essere anche quello dallo stato ebraico oppure dallo stato democratico. Era impossibile avere entrambi.
Cos’aveva scelto Abraham B. Yehoshua? Alla fine dei suoi articoli del 2018 scrisse: “Ora non è in pericolo l’identità ebraica e sionista di Israele, ma la sua umanità. E l’umanità dei palestinesi che sono sotto il nostro dominio”.
L’uomo che aveva dedicato il suo pensiero alla questione dell’identità ebraica, che ricordava a tutti che il suo popolo non aveva mai immaginato di emigrare in quella zona durante tutti i secoli in cui avrebbe potuto, preferendo la nostalgia e le lamentele, aveva trovato qualcosa di più importante dell’identità ebraica e sionista: l’umanità. Addio, caro amico, e grazie per tutte le belle conversazioni che abbiamo avuto . ◆ ff
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Questo articolo è uscito sul numero 1466 di Internazionale, a pagina 44. Compra questo numero | Abbonati