Sul fronte interno russo accadono cose di un certo interesse. Per esempio in tv spopola uno show pensato da un noto blogger, Amiran Sardarov, dal titolo I’m not gay (Vk Channel). Otto concorrenti si sfidano in giochi di seduzione per stanare chi tra loro sia omosessuale. Se riescono nell’impresa vincono molti soldi, altrimenti il premio va al malcapitato e alla sua interpretazione. Il programma è, malgrado l’intento marcatamente omofobo, un trionfo di pettorali lubrificati e ammiccamenti, ragione forse del grande seguito in rete. A condurlo, insieme all’ideatore, è Vitalij Milonov, membro della duma e generatore automatico di perle come “i gay andrebbero sterilizzati come i gatti”, da anni alfiere di leggi discriminatorie e sacerdote di un immaginario maschile che trova in Putin (soprattutto quello a pettorali nudi in groppa a un alce) la matrice etero che secondo lui distingue la grande Russia dal lascivo occidente. Lo show arriva in un momento di grave ostilità nei confronti della comunità gay. Il mese scorso, un tribunale di San Pietroburgo ha sciolto la più importante organizzazione per i diritti civili del paese, il Russian Lgbt Network. In Italia, di I’m not gay si è parlato poco e con sarcasmo. L’unico ad avere mostrato un sussulto riflessivo è stato Mario Adinolfi. Si è offerto di acquistarne i diritti e condurne una versione locale ricca di corpi scolpiti. “Farebbe ascolti pazzeschi”, promette. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1462 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati