Nell’inevitabile erosione della tv tradizionale, è la volta del late show, genere nato negli anni quaranta con Bob Hope e nutrito da personaggi come Johnny Carson, David Letterman, Jimmy Fallon e Stephen Colbert. Talk notturni zeppi di ironia, attualità e musica, disegnati intorno al conduttore con lo skyline di New York sullo sfondo. Questi programmi, che per anni hanno sintetizzato con leggerezza la giornata politica, sbottonato gli ospiti più autorevoli e ispirato autori di mezzo mondo, rischiano una battuta d’arresto. Colpa dello streaming, dicono i produttori, che sottrae pubblico, lasciando a James Corden e soci budget sempre più ridotti. Alcune piattaforme hanno tentato di produrre i loro show, con scarso successo. La forza del format è aderire all’attualità del giorno, materiale che si brucia in fretta e mal si adegua alla tv on demand e ai contenuti di lunga durata. Gli editori s’interrogano su nuove collocazioni in palinsesto. E una timida soluzione arriva dalla Rai, che propone l’anchor man più forte, Fiorello, in apertura di giornata, con una striscia alle 7 del mattino tra satira e rassegna stampa. Il sindacato dei giornalisti insorge, rivendica quello spazio, sostenendo che mischiare news e intrattenimento confonderebbe lo spettatore. Sorridere tra tante sciagure confonde? Non ne sarei così sicuro. Ma intanto Fiorello ha fatto un passo indietro, rimandando a data da destinarsi la nascita dell’early show. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1483 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati