Racconta Massimiliano Pani che ogni volta che la madre Mina si rivede in tv cambia canale commentando “ussignùr”, esclamazione ripetuta più volte al giorno, immagino, vista la frequenza con cui la Rai si affida alle teche per ricordare quando era giovane e bella, la Rai, non Mina, il cui non esserci le garantisce eterna giovinezza e bellezza, come le opere d’arte ben riuscite e sempre contemporanee. Certo, se per noi spettatori è ogni volta occasione per godere dei suoi molti talenti, è facile pensare che per lei lo schermo abbia assunto le fattezze di un ritratto inverso di Dorian Gray, difficile da digerire. Ora con l’approssimarsi della nuova edizione di Sanremo gira la notizia, la balla, che Mina potrà apparire sul palco dell’Ariston con Carlo Conti. Il suo nome, solo a citarlo, il suo corpo, solo ad annunciarlo, risveglia l’attenzione del paese. Mina sta al servizio pubblico come Berlinguer sta alla sinistra. Come il partito alla vigilia elettorale regala biglietti per assistere al film di Segre sul segretario, qualcuno usa il nome della signora Mazzini tra i corridoi dell’omonimo viale per rilanciare qualche sussulto di vita. L’assenza fisica di entrambi suggerisce un avvento, una resurrezione per chi come noi persevera nel peccato, anche solo apparendo. E così come sembra accadere per Mina, è facile pensare che anche a Enrico all’uso e all’abuso della sua immagine venga naturale esclamare: ussignùr! ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1590 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati