Mentre in tutto il mondo il commercio di armi è in calo, in Europa succede esattamente il contrario.
Secondo il rapporto annuale dell’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma (Sipri) tra il 2018 e il 2022 il volume globale dei trasferimenti di armi è calato del 5 per cento rispetto ai cinque anni precedenti.
Nel frattempo le esportazioni statunitensi sono aumentate del 14 per cento, mentre le importazioni europee sono cresciute del 47 per cento. Il motivo, com’è ovvio, è l’invasione russa dell’Ucraina: nel 2021 gli ucraini erano quattordicesimi nella lista dei paesi importatori di armamenti e l’anno scorso sono diventati terzi, dietro a Qatar e India.
A livello internazionale i principali esportatori sono, nell’ordine: Stati Uniti, Russia, Francia, Cina e Germania.
L’Italia è sesta, e negli ultimi cinque anni le sue esportazioni sono aumentate del 45 per cento, poco più di quelle della Francia, che sono cresciute del 44 per cento (verso Medio Oriente e Asia, in particolare l’India).
Gli Stati Uniti hanno fornito armamenti a 103 paesi e oggi controllano il 40 per cento del mercato mondiale.
Altri fatti degni di nota sono il calo del 23 per cento delle esportazioni cinesi e la scarsa rilevanza di Pechino in questo settore rispetto al suo peso nell’economia globale: “La Cina non è riuscita a penetrare in alcuni dei principali mercati di armi, a volte per motivi politici”, ha spiegato Pieter Wezeman del Sipri.
Oppure il calo del 40 per cento delle importazioni nei paesi africani (che però non è dovuto a una riduzione dei conflitti, ha spiegato sempre Wezeman, bensì a una scarsa capacità di investimento).
Infine, l’Italia esporta gran parte delle armi che produce (il 62 per cento) in Medio Oriente: è il terzo fornitore del Qatar, il secondo dell’Egitto e del Kuwait, il primo della Turchia. Un prodotto italiano di cui non c’è troppo da andar fieri. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1503 di Internazionale, a pagina 5. Compra questo numero | Abbonati