Arundhati Roy a Londra, 2018. (Suki Dhanda, Observer/Eyevine/Contrasto)

Grande successo, in India e non solo, del video postato da Giorgia Meloni durante il G7 pugliese in cui scherzando con il premier indiano Narendra Modi fonde i due cognomi e dice: “Hello from the Melodi team”.

Lo stesso giorno, il 15 giugno, Vinai Kumar Saxena, governatore di New Delhi, ha autorizzato la polizia a perseguire, e se necessario ad arrestare, la scrittrice Arundhati Roy e Showkat Hussain, ex professore dell’università centrale del Kashmir.

Da sempre impegnata politicamente, Roy è una delle più note e importanti scrittrici indiane, autrice del romanzo Il dio delle piccole cose, con cui nel 1997 ha vinto il Booker prize.

Chi legge Internazionale la conosce bene e chi è venuto al festival di Ferrara ha anche potuto ascoltarla dal vivo.

Il motivo per cui rischia l’arresto è un discorso che ha tenuto a New Delhi quattordici anni fa, il 21 ottobre 2010, durante un incontro pubblico sul Jammu e Kashmir, lo stato indiano a maggioranza musulmana.

C’erano appena stati violenti scontri dopo che la polizia indiana aveva ucciso più di cento persone che protestavano per la morte di un ragazzo musulmano di 17 anni, colpito da un lacrimogeno. Nel suo discorso Roy disse che il Kashmir non era mai stato parte integrante dell’India. Un attivista della destra indù denunciò lei e altri quattro per dichiarazioni “provocatorie” e “anti-indiane”.

Roy può essere perseguita in base a tre articoli del codice penale e soprattutto in base all’Uapa, l’Unlawful activities prevention act, una legge antiterrorismo in vigore dal 1967 e rafforzata nel 2019 proprio dal governo di Modi, che consente l’incarcerazione per anni, anche senza processo.

Negli ultimi tempi questa legge è stata usata sempre più spesso contro attivisti, giornalisti, intellettuali e avversarsi politici del premier indiano.

Qualche anno fa Roy aveva scritto: “Mentre ci stiamo ancora chiedendo se ci sia vita dopo la morte, possiamo mettere sul piatto un’altra domanda: c’è vita dopo la democrazia? E che tipo di vita sarà?”. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1568 di Internazionale, a pagina 5. Compra questo numero | Abbonati