Quando Elon Musk nel 2022 ha comprato Twitter per 44 miliardi di dollari si è fatto dare una parte dei soldi (13 miliardi) da un gruppo di banche, tra cui la Morgan Stanley, la Bank of America, la Bnp Paribas e l’italiana Unipol.
Di solito le banche che prestano i soldi per finanziare acquisizioni o fusioni vendono rapidamente il debito ad altri investitori, guadagnando sulle commissioni. Ma questa volta non è andata così e il debito è rimasto bloccato.
Steven Kaplan, professore di finanza all’università di Chicago, ha detto che nella storia delle operazioni finanziate dalle banche, non ci sono mai stati debiti bloccati (o sospesi, come si dice in gergo) di questa entità.
E la vendita di Twitter, hanno scritto Alexander Saeedy e Dana Mattioli sul Wall Street Journal, si è trasformata nella peggiore acquisizione finanziata dalle banche dai tempi della crisi economica del 2008.
La colpa è anche degli scarsi risultati dell’azienda. A quasi due anni dall’ingresso di Musk, Twitter, anzi X come si chiama ora, è in piena crisi e il suo valore si è ridotto di più della metà, scendendo a 19 miliardi di dollari.
Pur consapevoli dei rischi, le banche avevano deciso di prestare i soldi a Musk “soprattutto perché il fascino di fare da banca alla persona più ricca del mondo era troppo attraente per rinunciarvi”.
Oggi però si trovano in una situazione paradossale. Da una parte vogliono continuare a mantenere buoni rapporti con l’imprenditore perché sperano di poter lavorare con le sue aziende, tra cui la Tesla, la SpaceX e la Starlink. Dall’altra le loro prospettive di recuperare il prestito si allontanano.
È giusto ricordare però che i protagonisti della storia non sono solo un miliardario capriccioso che compra un’azienda e la distrugge, e delle banche che lo assecondano prestandogli sconsideratamente i soldi per farlo, ma anche chi ha deciso di vendere l’azienda mettendo i profitti davanti a tutto. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1580 di Internazionale, a pagina 5. Compra questo numero | Abbonati