Una mattina di novembre del 2021 Gianpaolo Romano ha trovato una lettera non firmata sotto la porta a vetri della sua concessionaria di auto in provincia di Foggia, una terra famosa per le spiagge, i grandi campi di pomodori e oggi anche per la spietata mafia locale. Nella lettera c’era scritto che se voleva restare al sicuro avrebbe dovuto pagare 250mila euro, ma non era specificato a chi. Nel messaggio dicevano di conoscere le sue abitudini e l’indirizzo di casa sua. Era la prima volta che riceveva una richiesta di questo tipo. Romano e i suoi due fratelli, proprietari dell’attività fondata nel 1964, hanno deciso di rivolgersi alla polizia.

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All’alba del 4 gennaio 2022 un ordigno composto da polvere da sparo, chiodi e bulloni ha distrutto tutte le vetrine della concessionaria, danneggiando tre auto e lasciando profondi fori nelle saracinesche di un negozio sul lato opposto della strada. “Non ci siamo pentiti di aver sporto denuncia, ma non ci sentiamo al sicuro”, spiega Romano.

L’attentato all’autosalone è stato il primo di una serie senza precedenti nella provincia di Foggia. Secondo l’associazione antiracket della città, dall’inizio del 2022 quattordici negozi e attività commerciali sono stati colpiti da esplosioni e incendi. I magistrati e i proprietari dei negozi spiegano che l’ondata di violenza è il tentativo della mafia foggiana di riaffermare il suo potere dopo l’offensiva delle autorità italiane, culminata con l’arresto di centinaia di criminali locali.

La mafia foggiana, attiva da trent’anni, è spesso chiamata quarta mafia, perché è meno potente e famosa di cosa nostra, della ’ndrangheta e della camorra.

I processi pendenti a Foggia sono più di dodicimila, contro i 9.700 di quattro anni fa. L’aumento è dovuto soprattutto all’azione delle forze dell’ordine, spiega il procuratore capo di Foggia Ludovico Vaccaro. La Puglia è una delle regioni più ricche del meridione, ma la provincia di Foggia, con i suoi problemi di mafia, è una delle più povere della Puglia. Il tasso di disoccupazione è al 25 per cento, tra i più alti d’Italia e quasi il doppio rispetto al resto della regione. Molti abitanti svolgono solo lavori stagionali nel turismo o nei campi di pomodori. I giovani sono spesso costretti a emigrare al nord o all’estero. Nel corso degli ultimi vent’anni la popolazione della provincia si è ridotta del 13 per cento e oggi supera a malapena i seicentomila abitanti.

L’estorsione è la principale fonte di guadagno per la criminalità foggiana. Tanto che si ritiene che fino a qualche tempo fa l’80 per cento delle attività imprenditoriali pagasse il pizzo, spiega Antonio Laronga, magistrato foggiano e autore di un libro sulla mafia locale. Raramente le vittime denunciano le estorsioni. “Alcuni imprenditori hanno addirittura contattato di loro iniziativa i mafiosi offrendosi di pagare il pizzo”, dice Laronga.

La quarta mafia si occupa anche di contrabbandare dall’Albania la maggior parte della marijuana che entra in Italia, racconta Laronga, e spesso assalta i furgoni portavalori sulle autostrade armata di kalashnikov. A partire dal 2017 ha subìto delle battute d’arresto. Ad agosto di quell’anno due mafiosi locali, tra cui il boss Mario Luciano Romito, sono stati uccisi nelle campagne tra San Severo e San Marco in Lamis da criminali appartenenti a un altro clan. L’auto su cui viaggiavano i due è stata bersagliata dai colpi di kalashnikov. Secondo Laronga quello è stato l’ultimo di una serie di omicidi nel contesto di una faida tra il clan Romito e la famiglia rivale dei Li Bergolis. Due agricoltori che hanno assistito all’attentato e hanno cercato di fuggire sono stati rincorsi e uccisi dai killer.

Incoraggiati a denunciare

L’omicidio dei due testimoni ha sconvolto la provincia e ha innescato la reazione delle autorità. Alcuni mafiosi hanno scelto di collaborare aiutando i magistrati a costruire l’impianto accusatorio. Negli anni successivi ci sono stati centinaia di arresti, 32 solo a dicembre del 2021. Le accuse: traffico di droga e armi, estorsione, associazione mafiosa. Gli arresti hanno incoraggiato gli imprenditori a denunciare i tentativi di estorsione.

Da sapere
Il rapporto dell’antimafia

◆ A settembre del 2021 la Direzione investigativa antimafia (Dia) ha presentato in parlamento il rapporto semestrale. La mafia foggiana viene considerata un’emergenza nazionale. Il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho l’ha definita “il primo nemico dello stato”. La cosiddetta quarta mafia è composta da tre organizzazioni: la società foggiana, la mafia garganica e la malavita cerignolana. “La prima ha compiuto un salto di qualità”, afferma il rapporto, “e tra affari criminali e politico-amministrativi appare sempre più come una mafia ‘camaleontica’ capace di essere insieme rozza e feroce, ma anche affaristicamente moderna con una vocazione imprenditoriale”.


I magistrati affermano che nel 2021 le denunce sono aumentate, ma la quarta mafia sta reagendo. Gli ultimi attacchi, di una ferocia mai vista, dimostrano che la criminalità organizzata sta cercando di ripristinare il clima di terrore che le ha permesso di dominare sulla provincia per anni, spiegano magistrati e imprenditori. “Penso sia un segno della loro vitalità”, dice Vaccaro, “abbiamo esercitato una forte pressione su di loro, ma sono ancora molto attivi. Sono preoccupato”.

Nella provincia di Foggia le forze dell’ordine devono affrontare una cronica carenza di personale rispetto al numero di crimini commessi, sottolinea Vaccaro. La sua squadra, composta da 25 magistrati, ha bisogno di altre persone, ma è difficile convincerle a lavorare in questa zona.

A metà gennaio, mentre gli attentati si moltiplicavano, la ministra dell’interno Luciana Lamorgese ha convocato una riunione di emergenza a Foggia con i vertici della polizia locale, i magistrati e gli imprenditori. “Lo stato non può che far sentire la propria presenza con forza, anche mettendo risorse aggiuntive”, ha dichiarato, promettendo di inviare cinquanta nuovi agenti di polizia.

Gli eventi che precedono un attentato mafioso seguono spesso lo stesso copione. Per prima cosa i titolari delle attività ricevono una richiesta di denaro per la protezione. Se la ignorano o sporgono denuncia il negozio viene dato alle fiamme o colpito da un ordigno nel giro di poche settimane, spiega Alessandro Zito, presidente dell’associazione antiracket di Foggia, nata a gennaio di quest’anno per sostenere gli imprenditori.

Un parrucchiere della zona racconta di aver ricevuto a ottobre del 2021 la richiesta di 250mila euro come “assicurazione”, ma ha deciso di ignorarla sperando che si trattasse di uno scherzo di cattivo gusto. Pochi giorni dopo ha ricevuto un secondo messaggio identico al primo. A metà gennaio di quest’anno una bomba ha distrutto l’ingresso della sua attività. Le fiamme, alimentate dagli spray e dai mobili, hanno distrutto il locale. Secondo le stime del titolare, per ricostruirlo ci vogliono 160mila euro. Molti imprenditori hanno denunciato le minacce alla polizia, ma altri scelgono di restare in silenzio e pagare. “Non c’è stata molta collaborazione”, ammette Vaccaro.

Piccoli atti vandalici

L’agricoltore Lazzaro D’Auria è tra quelli che rifiutano di piegarsi alle richieste della mafia. Nel 2017 si trovava in uno dei suoi campi di pomodori, quando è stato circondato da dieci criminali.

Nei due anni precedenti aveva rifiutato di pagare un pizzo annuale di duecentomila euro. Quel giorno hanno minacciato di fare del male a lui e alla sua famiglia e hanno abbassato la richiesta a 150mila euro all’anno. D’Auria li ha denunciati. Da allora vive sotto scorta e ha testimoniato in un processo in cui sono stati condannati cinque mafiosi che lo avevano intimidito. Ma la mafia non si è dimenticata di lui. Negli ultimi sei anni ha subìto sei attentati dinamitardi, quindici rapine e atti vandalici ai danni delle sue attrezzature. “All’inizio ho pensato d’interrompere l’attività”, racconta D’Auria, mentre tre agenti in borghese lo sorvegliano a distanza di pochi metri. “Poi mi sono detto: ‘Perché devo buttare via tutto quello che ho creato in 25 anni?’”.

In alcuni casi i clan hanno preso di mira le attività commerciali senza prima lanciare avvertimenti o chiedere denaro. “Tutti gli attentati sono una sorta di spot pubblicitario per far vedere che sono ancora vivi e presenti. È una specie di campagna di marketing”, spiega Laronga.

In altri casi sono partititi con piccoli atti vandalici, lasciando intendere che è meglio pagare per la protezione. È quello che è successo a Dario Melillo, proprietario di uno stabilimento balneare incendiato a fine gennaio del 2022. L’unica avvisaglia di un interesse mafioso era arrivata in estate: qualcuno aveva bucato le cisterne di plastica del locale e Melillo aveva sporto denuncia. “Volevo solo poter lavorare in modo onesto”, spiega Melillo tra le ceneri del suo locale. “Non è un messaggio solo a me, ma a tutti qui”. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1448 di Internazionale, a pagina 34. Compra questo numero | Abbonati