A lungo Daria Bignardi ha frequentato le carceri italiane: come giornalista, come volontaria e come familiare. In questo libro racconta le persone che ci ha incontrato, i ragionamenti e le emozioni che le hanno provocato. Alternando il tempo dei ricordi e quello della scrittura (che avviene su un’isola, metafora della condizione carceraria) procede a un confronto sempre più sistematico tra le proprie esperienze e quelle di chi vive dentro. Mostra in modo efficace come in carcere le contraddizioni e i conflitti del mondo di fuori divengano più intense e più dure da sopportare. Gli interlocutori sono diversi: innocenti, gente che è finita dentro a causa di una sfavorevole situazione di partenza, qualcuno che ha fatto una scelta. Tutti appaiono però accomunati dalla consapevolezza della propria condizione. Come le spiega un detenuto: “Siamo come topi in gabbia e qualunque cosa succeda, dall’epidemia al terremoto, noi ce la becchiamo”. Per questo – spiega – mentre il mondo nel 2020 scopriva il covid, nelle carceri scoppiarono delle rivolte in cui morirono, nell’indifferenza quasi generale, tredici persone, ufficialmente per abuso di psicofarmaci. Così, ancora, rivela che in prigione la condizione delle donne è molto più dura di quella degli uomini. In carcere tutto diventa più difficile da sostenere, dal caldo alla paura, dal senso di colpa alle relazioni interpersonali. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1557 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati