A poco più di un anno dalla morte di Mario Tronti, filosofo della politica e fondatore del marxismo operaista, esce questa densa riflessione che, ricapitolando l’ultimo secolo, delinea il percorso di un pensatore originale. Convinto che il compito della politica sia “pensare la storia”, nel senso di “conoscere per trasformare”, Tronti parte dall’inizio del novecento e si sofferma sulle differenze tra la prima guerra mondiale, conflitto tradizionale tra potenze ancora libero da “armature ideologiche” e “coperture umanitarie”, e la seconda, momento di massima manifestazione del concetto che segnerà il tempo successivo: la lotta tra democrazia e totalitarismo. Di questa lotta Tronti ritrova gli echi soprattutto nel “biennio bianco” (1989-1991), occasione perduta per ribaltare il presente e trionfo di una nuova “restaurazione”, che ci ha avviato verso l’attuale condizione “pre-marxiana”, in cui il potere e il capitale non hanno nemmeno più bisogno d’indossare maschere. Due le grandi risposte all’“inattuale ‘che fare’”: “salvare la rivoluzione dal socialismo”, rinunciando a riflessi mentali oramai inutili (come la critica dell’ideologia dell’homo oeconomicus) e “salvare la libertà dalla democrazia”, accettando l’idea che la “democrazia reale” in cui viviamo è insufficiente e cercando nuove forme di autorità. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1591 di Internazionale, a pagina 91. Compra questo numero | Abbonati