Per la maggior parte della sua vita Josepha Albrecht ha conosciuto un solo leader. Non vive in Corea del Nord o nella Russia di Vladimir Putin. Josepha è un’adolescente che abita nel Land del Brandeburgo, nella prospera e democratica Germania. Questa ragazza di 17 anni era una bambina quando, nel novembre 2005, Angela Merkel diventò la prima cancelliera nella storia tedesca. Oggi è un’attivista per il clima ed è cresciuta negli anni in cui Merkel si è affermata come la principale statista europea, una roccia di stabilità in un mondo sconvolto da crisi economiche, populismo e rottura di vecchie alleanze.
Secondo Josepha, il lungo regno di Merkel è stato “una vera follia. In termini democratici è piuttosto sconcertante”. Per Imanuel Röver, 16 anni, di Neukölln, un quartiere di Berlino, Merkel è stata lo sfondo di tutta la sua vita. “Da quando riesco a ricordare è sempre stata lì”, spiega.

Ma tutto questo sta per cambiare. Dopo le elezioni federali del 26 settembre, Merkel non sarà più cancelliera. Questo segnerà la fine di un’era e un punto di svolta importante nella storia tedesca dal dopoguerra.
I giovani della “generazione Merkel” costituiscono una parte della sua eredità. Sono cresciuti in una Germania che, sotto la sua guida, è diventata più ricca, più diversificata, più potente economicamente e più impegnata nel mondo. Albrecht e Röver sono due giovani tedeschi nati o diventati maggiorenni negli ultimi vent’anni. Le loro opinioni coprono tutto lo spettro politico. Molti nutrono un grande rispetto per la donna che ha guidato la Germania attraverso tante crisi, la considerano un modello per le giovani che vogliono cambiare il mondo.
Wiebke Winter, 25 anni, avvocata di Brema e stella nascente dell’Unione cristianodemocratica (Cdu), il partito di Merkel, dice che un’ipotesi un tempo teorica – la possibilità che una ragazza governasse la Germania – oggi è perfettamente realistica. “Ci sono bambini che non hanno idea di cosa significhi avere un cancelliere maschio”, aggiunge.
Ma gli ultimi mesi hanno gettato una lunga ombra sull’eredità di Merkel. Una serie di problemi – la pandemia, i disastri naturali, la riconquista dell’Afghanistan da parte dei taliban – hanno sollevato dubbi sulla capacità della Germania di reagire alle crisi. Il governo è stato attaccato duramente per non aver previsto la caduta di Kabul e non aver messo in salvo i suoi collaboratori afgani. È stato accusato di non aver avvertito tempestivamente delle inondazioni che hanno devastato il paese quest’estate. Inoltre, la pandemia ha rivelato che la Germania è appesantita da una burocrazia eccessiva e, per molti versi, troppo legata al passato.
“La sensazione è che almeno per alcuni aspetti lo stato stia fallendo”, dice Röver, facendo eco alle preoccupazioni di molti tedeschi. Di recente Robin Alexander, uno dei più importanti giornalisti politici del paese, ha scritto un libro sull’ultimo mandato di Merkel intitolato Machtverfall (Il declino del potere). Quello di declino è un concetto relativo, la cui gravità dipende interamente dalla scala temporale a cui si riferisce. La Germania della generazione Merkel ha goduto di unità, stabilità e crescita, caratteristiche che sono mancate in gran parte della tumultuosa storia tedesca del novecento. Oggi questa generazione, con una visione del mondo plasmata in gran parte dalla costanza di una leader, ha di fronte una serie di sfide.

Qualsiasi compiacimento per le condizioni in cui la Germania si trovava alla vigilia di queste elezioni è stato spazzato via dalle inondazioni di luglio, che hanno provocato la morte di più di 180 persone. “Sono solo un assaggio di quello che succederà se non agiamo subito”, afferma Albrecht, che fa parte del movimento ambientalista Fridays for future. Il disastro, che secondo gli esperti è stato aggravato dagli effetti del cambiamento climatico, ha ulteriormente agitato le acque della politica tedesca, alimentando le tensioni che potrebbero caratterizzare i prossimi anni.
Amici e alleati solidi
Quando Merkel è andata al potere, l’iPhone ancora non esisteva e il colosso petrolifero ExxonMobil era l’azienda più importante degli Stati Uniti (sarebbe stata superata dalla Apple solo dopo sei anni). Anche il resto del mondo appariva molto diverso. George W. Bush era alla Casa Bianca e Tony Blair al numero 10 di Downing street. La Germania era circondata da amici e alleati solidi, l’Unione europea era unita e forte, e la democrazia liberale sembrava inattaccabile.
Ma poco dopo, una serie di convulsioni ha scosso l’armonia del dopoguerra in Europa. Le onde d’urto diffuse dal crollo della banca d’affari statunitense Lehman Brothers, dalla crisi del debito pubblico dell’Unione europea e dall’arrivo di milioni di profughi sulle coste del continente tra il 2015 e il 2016 hanno messo a dura prova le capacità delle istituzioni europee. E un gruppo di nuovi leader populisti ha cominciato ad alimentare nazionalismi a lungo sopiti e a mettere in discussione l’intero progetto europeo.
Se l’Unione è sopravvissuta a tutto questo è stato, in misura non trascurabile, grazie a Merkel: alla sua capacità di scendere a compromessi e creare consenso, alla sua ferma volontà di negoziare tutta la notte per disinnescare una crisi. “C’erano così tante forze centrifughe che l’Europa rischiava davvero di crollare”, afferma Andrea Römmele, professore di comunicazione politica della Hertie school di Berlino. “Merkel ha tenuto unita l’Unione, e non si può sottovalutare l’importanza di questo successo”.
Ma poi sono arrivati altri sconvolgimenti. Nel 2016 una donna che si considerava parte di una rete globale di leader occidentali, uniti da valori comuni e da un impegno condiviso per l’ordine mondiale liberale, si è trovata all’improvviso molto sola. Con il referendum sulla Brexit e l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti, Merkel è diventata, secondo le parole di un giornale, “l’ultima paladina” dell’occidente liberale. Lei ha definito l’appellativo “ridicolo”, ma le è rimasto attaccato. “È diventata la Madre Teresa della politica mondiale”, dice Josef Janning, del Consiglio tedesco per le relazioni estere. “Era l’antitesi di Trump, dal momento che è una persona che cerca sempre di negoziare, di ascoltare attentamente il suo interlocutore e di tener conto delle sue opinioni”.

Adesso che Merkel si prepara a uscire di scena, tuttavia, alcuni si chiedono se i nuovi tempi non richiedano un tipo di
leader diverso.
“La negoziazione ostinata e paziente non produrrà i cambiamenti necessari nella politica climatica. Per quelli servono decisioni coraggiose e controverse”, afferma Janning. “Merkel ha sempre creduto che le cose si potessero fare solo coinvolgendo tutti gli attori importanti. E questo semplicemente non si adatta alla situazione in cui ci troviamo ora”.
Rufus Franzen, uno studente di 17 anni che fa parte del consiglio studentesco di Berlino, l’organismo di rappresentanza dei ragazzi delle scuole superiori, la pensa allo stesso modo. Merkel, dice, è sempre sembrata “una signora saggia che sapeva esattamente quando agire, raramente era impulsiva e non sbagliava mai”. Ma oggi le persone chiedono più “assertività”. Molti pensano che Merkel non sia stata abbastanza drastica nelle sue politiche e vogliono qualcuno più determinato, soprattutto sul clima.
Il prezzo del carbonio
I limiti della moderazione di Merkel sono emersi nel 2019, quando ha presentato la legge sulla protezione del clima, il fulcro degli sforzi del governo tedesco per ridurre le emissioni di gas serra. I suoi critici l’hanno giudicata poco ambiziosa. Per esempio, fissava il prezzo del carbonio nel settore dei trasporti a soli dieci euro la tonnellata, un livello che gli ambientalisti hanno definito “assurdamente basso”. Ma Merkel ha risposto che “la politica si occupa di ciò che è possibile”.
Della situazione hanno approfittato avversari come Annalena Baerbock, la candidata al cancellierato dei Verdi. A giugno Baerbock ha detto ai suoi sostenitori che la politica non si occupa solo di ciò che è possibile, ma anche di ciò che possiamo rendere possibile. “Negli ultimi anni la politica del governo tedesco ha funzionato con il pilota automatico”, ha affermato. I Verdi, al contrario, si battono per “un nuovo risveglio”.
Albrecht, l’attivista per il clima, afferma che da piccola aveva un’opinione positiva di Merkel. Come la cancelliera, i suoi genitori erano cresciuti nella Germania Est comunista. Suo padre era fuggito a ovest attraverso l’Ungheria poco prima della caduta del muro di Berlino. Ma quando, a 14 anni, Josepha ha cominciato a occuparsi di politica entrando nell’organizzazione giovanile dei Verdi, quell’opinione era ormai offuscata. Non importava che, come ministra dell’ambiente negli anni novanta, Merkel fosse stata all’avanguardia negli sforzi per combattere il cambiamento climatico, che avesse deciso l’eliminazione graduale dell’energia nucleare, ampliato notevolmente l’uso delle energie rinnovabili e si fosse impegnata a chiudere tutti gli impianti di lignite e le miniere sporche della Germania entro il 2038. Per la generazione di Albrecht, questo non era sufficiente. “È al governo da tanto tempo, e almeno negli ultimi anni non ha fatto molto per il clima”, dice.
Nonostante la fama di persona troppo cauta, a volte Merkel ha agito con coraggio, sfidando il suo stesso partito e l’opinione pubblica
Nel 2018 Albrecht si è unita agli scioperi per il clima di Fridays for future e, come migliaia di altri ragazzi, si è sentita improvvisamente più forte. “Le proteste hanno politicizzato un’intera generazione”, afferma Simon Schnetzer, un ricercatore che studia il mondo dei giovani tedeschi. “Hanno scoperto che possono avere più potere e influenza e cambiare davvero certi atteggiamenti radicati”. Niente ha simboleggiato questo nuovo stato d’animo più dell’ormai famosa invettiva di 55 minuti di Rezo, uno youtuber di 29 anni che accusava la Cdu di Merkel di “distruggere il nostro futuro”. Nel 2019 il video è diventato virale, ottenendo 19 milioni di visualizzazioni. Gli attivisti per il clima hanno ottenuto notevoli successi, come nel caso del ricorso presentato da un gruppo di giovani alla corte costituzionale tedesca contro la legge sul clima del 2019. Tra i firmatari c’era Sophie Backsen, 22 anni, la cui famiglia vive in una fattoria costruita tre secoli fa sull’isola di Pellworm, nel mare del Nord, un luogo che potrebbe sparire se il livello del mare dovesse continuare a salire.
Backsen e gli altri firmatari sostenevano che il governo si stesse muovendo troppo lentamente per ridurre le emissioni di gas serra e, in aprile, con una sentenza straordinaria, la corte costituzionale tedesca gli ha dato ragione. I giudici hanno affermato che rimandando le misure per ridurre le emissioni a dopo il 2030 si caricava un peso sproporzionato sulle spalle dei giovani, danneggiando il loro futuro. “I giovani hanno dovuto andare in tribunale perché il governo si assumesse la responsabilità per le generazioni future”, afferma Albrecht. “È stata la pressione delle strade, dei giovani di questo paese, che l’ha costretto ad agire”.
I forti sentimenti dei giovani sul tema del clima sono uno dei motivi della straordinaria ascesa dei Verdi. Dopo aver ottenuto solo l’8,9 per cento alle elezioni del 2017, adesso il partito è intorno al 18 per cento e si prevede che farà parte del prossimo governo. La sensibilità ambientalista si è molto diffusa. I sociologi sostengono che in Germania i giovani si stiano allontanando dai valori dei loro genitori per concentrarsi sulla giustizia sociale e sull’ecologia più che sulla ricerca della ricchezza e del successo professionale. Secondo un recente studio del ministero dell’ambiente, solo il 19 per cento dei giovani tra i 14 e i 17 anni considera la crescita economica più importante della protezione dell’ambiente.
Per Albrecht, che ha intenzione di studiare da assistente sociale, le elezioni del 26 settembre rappresenteranno un punto di svolta. “Decideranno il futuro”, dice. “Si tratta di cambiare davvero le cose, non solo di gestire lo status quo”.
Le centrali nucleari
Nonostante la fama di persona troppo cauta, a volte Merkel ha agito con coraggio, spesso sfidando il suo partito e l’opinione pubblica. Nel 2011, quando un terremoto e uno tsunami provocarono l’incidente nucleare di Fukushima, in Giappone, la cancelliera annunciò prontamente che la Germania avrebbe chiuso tutte le sue centrali nucleari entro il 2022. Quattro anni dopo, al culmine della crisi europea dei profughi, ha consentito a più di un milione di migranti di entrare nel paese.

Questa decisione ha avuto gravi ripercussioni politiche. Ma per molti tedeschi è stata un’occasione per presentare al mondo un’immagine diversa, quella di una nazione che aveva imparato le lezioni del passato nazista ed era determinata a mostrarsi generosa con chi era in difficoltà. Migliaia di persone si sono radunate alla stazione centrale di Monaco di Baviera per accogliere i nuovi arrivati con giocattoli, cibo e bottiglie d’acqua.
Nella Cdu molti erano furiosi, ma la cancelliera era irremovibile. “Devo essere sincera, se cominciamo a doverci scusare per aver mostrato un volto amichevole in un’emergenza, questo non è il mio paese”, ha detto nel settembre del 2015. Il suo tormentone dell’epoca, “Possiamo farcela”, è diventato lo slogan della crisi.
Una delle persone direttamente coinvolte in quella crisi è Mohamed Sahly, un ragazzo siriano di 13 anni arrivato in Germania con i genitori, due sorelle e un fratello nell’estate del 2015. Anche lui appartiene alla generazione Merkel. “Le sono così grato per quello che ha fatto”, dice. “Tutti i politici dovrebbero prendere esempio da lei”.
La fuga in Europa dei Sahly è durata quaranta giorni e ha raggiunto il culmine in una terrificante traversata del mar Egeo a bordo di un piccolo gommone condiviso con altri quaranta migranti. L’imbarcazione è rimasta incagliata negli scogli vicino all’isola greca di Samos e si è sgonfiata. Il gruppo ha dovuto fare il resto del percorso a piedi con l’acqua all’altezza del petto, con le madri che tenevano i bambini sopra la testa. Mohamed dice che da allora ha paura del mare.
I Sahly avevano dovuto vendere i loro oggetti di valore, compresi i gioielli e l’auto di famiglia, per finanziare il viaggio. Ma non avevano scelta, dice Mohamed. “Da un momento all’altro poteva arrivare un razzo e farti saltare in aria la casa”. La famiglia viveva a Yarmouk, un quartiere palestinese di Damasco che durante la guerra civile era stato al centro di intensi combattimenti e nell’aprile 2015 era stato invaso dai miliziani dell’Isis. Di recente un parente gli ha inviato le foto della loro casa. “È stata completamente saccheggiata”, dice. “Hanno portato via perfino i cavi elettrici, i lavandini e i sanitari del bagno”.
Ora vivono sulla Hermannstrasse, in un quartiere di Berlino che è una calamita per i profughi provenienti dal Medio Oriente. Mohamed frequenta una scuola della zona, parla correntemente tedesco e sogna di diventare ingegnere. La vita nel paese che chiama la sua “seconda patria” non è facile. I suoi genitori devono ancora trovare lavoro e hanno difficoltà con la lingua. Tutta la famiglia è stipata in un appartamento di due camere. “Ma almeno siamo al sicuro”, dice. “La Germania ha fatto qualcosa di molto speciale. Nessun altro paese dell’Unione europea ha accolto tanti rifugiati”.

Eric Engelhardt, uno studente d’informatica di 19 anni che vive a Sonneberg, nella Germania orientale, vede la decisione di Merkel del 2015 in modo diverso. “La Germania doveva proprio far entrare così tante persone? Era una cosa sensata? O ci ha danneggiati?”. Lui non ha dubbi: è stato un errore disastroso. “Queste persone sono venute in Germania e ricevono sussidi dallo stato, mentre qui alcune giovani famiglie devono pensarci due volte prima di andare in vacanza”, dice. “Hai la sensazione che gli stranieri abbiano più diritti di chi è nato qui”.
Engelhardt è iscritto al partito Alternative für Deutschland (Afd), che nel 2017 ha cavalcato una forte reazione alla politica sull’immigrazione di Merkel ed è diventato il partito di estrema destra di maggior successo in Germania dal dopoguerra. Al Bundestag i suoi deputati formano il più grande gruppo d’opposizione. Il partito è rappresentato in tutti e sedici i parlamenti regionali. Engelhardt si è iscritto all’Afd un anno fa. “Mi piaceva la sua attenzione per l’identità nazionale tedesca”, dice.
Anche l’Afd fa parte dell’eredità di Merkel. In precedenza la Cdu si era vantata di essere la più ampia delle chiese, in grado di offrire una casa politica anche ai conservatori più intransigenti. Ma il suo liberalismo l’ha scoperta a destra, lasciando spazio a un partito emergente con opinioni apertamente nazionaliste e xenofobe. Molti cristianodemocratici hanno abbandonato il partito per unirsi all’Afd.
Engelhardt, che fa parte del comitato esecutivo di Junge Alternative, l’ala giovanile dell’Afd, sostiene che Merkel non ha lasciato in eredità solo l’eccessiva immigrazione, ma anche un aumento della disuguaglianza. “Il carico fiscale sulle famiglie, con tutte le nuove tasse e imposte sulle emissioni di carbonio, sta crescendo, ma i redditi non stanno aumentando”, dice. “Ci sono persone che hanno davvero paura di non farcela”.
Il problema è particolarmente grave nell’ex Germania Est, aggiunge Engelhardt. Qui, a trent’anni dalla riunificazione, i livelli salariali restano inferiori a quelli dell’ovest. “Qui abbiamo meno grandi fabbriche, quindi i lavoratori qualificati e gli apprendisti devono ancora emigrare a ovest per trovare lavoro”, dice. “Questo processo è continuato sotto Merkel e non è stato fatto molto per fermarlo”. Engelhardt accusa la cancelliera anche di aver spostato il paese politicamente “molto a sinistra” negli ultimi due decenni. “Sta lasciando una Germania molto più di sinistra di come l’ha trovata”.
Per dodici anni su sedici ha governato grazie alle “grandi coalizioni” formate con i socialdemocratici dell’Spd
La Germania è effettivamente diventata più aperta, anche se si potrebbe obiettare che il motivo principale è che per dodici anni su sedici Merkel ha governato grazie alle “grandi coalizioni” formate con i socialdemocratici dell’Spd. In questi anni l’esecutivo ha abolito il servizio militare obbligatorio, ha introdotto il salario minimo, ha esteso il congedo parentale, ha ampliato notevolmente l’assistenza all’infanzia e ha consentito i matrimoni gay. Il paese è diventato più aperto alle influenze straniere e alle visioni alternative della società e della famiglia.
Ma il suo umore politico è diventato più febbrile. Anche se non è polarizzata come gli Stati Uniti, la Germania ha visto un allarmante aumento della violenza politica, culminato nel 2019 nell’omicidio del dirigente della Cdu Walter Lübcke da parte di un neonazista, il primo assassinio di destra del dopoguerra. Lübcke si era attirato l’odio dell’estrema destra per aver difeso Merkel durante la crisi dei profughi e aver detto che chi non condivideva i valori di umanità della cancelliera poteva lasciare “il paese in qualsiasi momento”.
L’ostilità verso gli stranieri ha toccato anche la famiglia di Sahly. Sua madre e sua sorella sono state regolarmente prese a spintoni dalla gente mentre facevano acquisti nel ricco quartiere berlinese di Zehlendorf. “Le invitavano a tornare a casa, ma adesso la nostra casa è la Germania”.
Nel 2018, all’inizio del quarto mandato di Merkel, molti giovani tedeschi erano ormai diventati in qualche modo indifferenti alla cancelliera. Era una presenza fissa, appariva ogni giorno nei telegiornali, ma un po’ in secondo piano. “Era Mutti (la mamma)”, dice Franzen, lo studente di Berlino.
Le cose sono cambiate quando è scoppiata la pandemia e Merkel è tornata al centro della scena. È stata subito pronta a imporre il lockdown ed è andata in tv per invitare i cittadini a mostrare solidarietà reciproca riducendo al minimo i contatti sociali. È stato un discorso serio, ma ammorbidito da un tocco insolitamente personale: il riferimento alla sua giovinezza nella Germania Est comunista. “Per una persona come me, per la quale la libertà di movimento è stato un diritto per cui lottare, queste restrizioni possono essere giustificate solo dalla loro assoluta necessità”, ha detto. Merkel, che ha un dottorato in chimica quantistica, ha sempre ascoltato attentamente gli scienziati e ha seguito i loro consigli. “I giovani hanno davvero apprezzato la sua guida chiara e tranquilla”, afferma Schnetzer.
Il primo lockdown ha funzionato e la Germania sembrava aver arginato la pandemia. Ma dopo l’estate del 2020 il numero dei casi ha cominciato a risalire. Merkel ha spinto per un altro lockdown, ma è stata contestata dai sedici governatori dei Land. Alla fine, nell’inverno del 2020, i governatori hanno ceduto, ma era troppo tardi per fermare la crescita esponenziale di nuovi contagi. “La situazione ci è sfuggita di mano”, ha detto a gennaio Merkel agli alti dirigenti della Cdu. La campagna di vaccinazione poi è cominciata troppo lentamente, anche se uno dei vaccini più efficaci era stato creato in Germania.

La pandemia ha colpito duramente anche i giovani. Le scuole e le università sono state costrette a chiudere, mentre gli uffici e le fabbriche restavano aperti. L’apprendimento online durante il lockdown è stato una farsa a causa della rete internet scadente della Germania, mentre l’impiego di piattaforme di facile utilizzo come Zoom è stato limitato per una questione di protezione dei dati.
Röver, che appartiene all’ala giovanile dell’Spd, Jusos, e sogna di diventare insegnante, descrive lezioni online caotiche in cui gli studenti non potevano essere visti o sentiti, oppure sparivano a causa della connessione debole. “Quando facevo lezione, in casa tutti gli altri dovevano spegnere il wifi per permettere al mio di funzionare”, dice. “Sul wifi la Germania è molto indietro rispetto al resto d’Europa e la pandemia l’ha dimostrato”.
Nelle sue conversazioni con i giovani tedeschi, Schnetzer ha raccolto innumerevoli esempi del cattivo funzionamento del sistema. “Alcuni ragazzi dovevano aspettare fino alle tre di notte per caricare i compiti, perché durante il giorno i server delle scuole erano intasati”, dice. Ha anche parlato con studenti che vivono in aree rurali con reti 4g così scarse “che devono salire sulla collina vicina per avere un segnale sufficiente e scaricare i compiti a casa”.
Il voto dei trentenni
La crisi ha messo a nudo alcuni dei problemi contro i quali persone come Rezo si scagliavano da anni. Nel suo video del 2019 lo youtuber attaccava sia l’aumento delle disuguaglianze durante il governo della Cdu sia l’inefficienza delle scuole tedesche. “Che razza di incompetenza di merda è questa?”, chiedeva ai suoi spettatori. Le sue critiche hanno fatto breccia tra i giovani. Alle elezioni per il parlamento europeo di qualche giorno dopo, solo il 13 per cento dei trentenni ha votato la Cdu.
I problemi sollevati da Rezo e da altri esistono ancora. “Conosco scuole dove le finestre non si aprono, non c’è sapone nei bagni e i soffitti stanno crollando. Invece, guarda quanti soldi hanno speso per salvare la Lufthansa”, dice Röver.

Parlando delle difficoltà che i ragazzi hanno dovuto affrontare durante la pandemia, Merkel spesso non è riuscita a trovare il tono giusto. A una domanda sul gelo delle aule in inverno, quando le finestre venivano spalancate per arrestare la diffusione del virus, la cancelliera ha risposto che i ragazzi dovevano “fare piccoli piegamenti sulle ginocchia e battere le mani” per scaldarsi. Il programma televisivo satirico Heute show l’ha soprannominata “Angi l’aerobica”.
La rabbia dei giovani è cresciuta ancora quando in primavera è emerso che alcuni parlamentari cristianodemocratici avevano ricevuto enormi commissioni sull’acquisto di mascherine. “La Cdu dice di voler preparare la Germania al futuro”, afferma Albrecht. “Ma come fa se ignora le necessità delle persone e intasca tutto quel denaro?”.
La frustrazione delle nuove generazioni sta diventando sempre più forte e rischia di far esplodere tensioni intergenerazionali. Molti ragazzi stanno ancora soffrendo per le cicatrici psicologiche lasciate dai lunghi mesi di lockdown e vivono con la paura di ulteriori chiusure delle scuole. “I giovani dicono che i politici non li ascoltano, che non hanno alcuna considerazione per loro”, afferma
Schnetzer. “E questo potrebbe generare conflitti”.
Merkel è sempre stata riluttante a fare bilanci su quello che avrebbe lasciato al paese. “Non penso al mio ruolo nella storia. Faccio il mio lavoro”, ha dichiarato una volta al Financial Times.
Ma circa un mese fa, durante un discorso per la campagna elettorale della Cdu, ha elencato quelli che considerava i suoi più grandi successi: aver dimezzato la disoccupazione, rimesso in sesto le finanze pubbliche, inaugurato la Energiewende (la svolta energetica), lo storico passaggio della Germania dal nucleare e i combustibili fossili alle rinnovabili, e aver salvato l’euro.
Anche se i giovani hanno posizioni diverse, un’enorme fascia di elettori tedeschi sentirà la sua mancanza. “Lascerà un vuoto”, afferma Manfred Güllner, che dirige l’agenzia di sondaggi Forsa. “Oggi le persone sono molto insicure”. Per sedici anni Merkel “gli ha trasmesso un senso di sicurezza, stabilità e continuità”, aggiunge. “La cancelliera si stava prendendo cura di loro, cercava di fare in modo che tutte le crisi non influissero troppo sulla loro vita quotidiana. Era come una rete di sicurezza”.
Il successore
L’uomo che spera di succedere a Merkel – Armin Laschet, il candidato cancelliere della Cdu – si presenta agli elettori come il suo erede naturale. “Ma la gente è scettica, semplicemente perché non crede che sia un politico capace come lei”, dice Güllner. La Cdu, che attualmente si attesta intorno al 22 per cento nei sondaggi, “rischia di perdere molti elettori”.
Nel frattempo Merkel, che 23 anni fa disse a un intervistatore che non voleva essere “un relitto” quando avrebbe lasciato la politica, sembra aver realizzato il suo desiderio. Va in pensione da cancelliera a 67 anni. Ha un intero nuovo capitolo davanti a sé.
Quando alla fine di quest’anno si dimetterà, farà la storia, diventando la prima cancelliera del dopoguerra a rinunciare al potere di sua spontanea volontà. Konrad Adenauer fu costretto dal suo stesso partito a cedere il posto a un rivale. Helmut Kohl, l’architetto della riunificazione tedesca, dopo sedici anni al potere fu sconfitto alle elezioni.
Alcuni giovani tedeschi saranno tristi nel vederla andare via. Altri aspettano con impazienza i cambiamenti al vertice. “Ogni volta che si presentava un nuovo problema, sapevi sempre come avrebbe reagito Merkel. Era in qualche modo prevedibile”, dice Röver. “In futuro non sarà più così”. ◆ bt
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Questo articolo è uscito sul numero 1427 di Internazionale, a pagina 46. Compra questo numero | Abbonati