Quattro giorni dopo che il ciclone Daniel ha devastato Derna, nell’est della Libia, spazzando via intere famiglie e le loro case, i libici faticano a capire come sia potuto succedere un disastro simile. Eppure, nelle ore precedenti all’inondazione catastrofica causata dalla rottura delle dighe a monte della città, le autorità e gli abitanti sembravano consapevoli del rischio imminente.
Ma dalle fonti locali e dalle dichiarazioni delle autorità emerge che la situazione è stata affrontata in modo confuso e lacunoso, nelle ore prima del disastro e nel corso della notte di piogge fittissime.
Il 14 settembre il segretario generale dell’Organizzazione meteorologica mondiale ha dichiarato che si sarebbe potuta evitare “la maggior parte delle vittime” con avvisi adeguati e con le evacuazioni.
Quando ha raggiunto le coste libiche, il ciclone aveva già causato gravi danni in Turchia, Grecia e Bulgaria. Gli osservatori meteorologici internazionali hanno avvertito del pericolo le autorità libiche, divise tra due governi, uno nell’est e l’altro nell’ovest del paese. Il 9 settembre i funzionari della Cirenaica hanno annunciato il coprifuoco in diverse città, preoccupandosi soprattutto di Bengasi, centro principale della zona, che si temeva sarebbe stato il più colpito.
Osama Hamad, premier del governo dell’est, ha chiesto al ministro Sami al Dawi di formare una squadra per affrontare le emergenze. Alla fine Bengasi è stata in gran parte risparmiata, anche se le strade che collegano le città costiere sono state danneggiate. La pioggia si è concentrata sulla regione montuosa del Jabal al akhdar (Montagna verde), dove sono cadute forti precipitazioni per diciassette ore, fino alla mezzanotte del 10 settembre.
Chiamate ininterrotte
Quella notte sono arrivate le prime richieste di aiuto dalle città e dai villaggi del Jabal al akhdar, dove le acque stavano salendo rapidamente intrappolando gli abitanti nelle loro case. Anche se è noto che le aree sotto la montagna sono le più soggette a inondazioni, le autorità locali e i servizi d’emergenza non hanno dato l’ordine di evacuazione. Quelle zone sono state poi dichiarate “disastrate”. Ma troppo tardi. La situazione è stata aggravata dal fatto che la Libia è divisa tra due governi rivali: un’amministrazione riconosciuta dalle Nazioni Unite a Tripoli e una nella parte orientale, sostenuta da una maggioranza di parlamentari e dal comandante militare Khalifa Haftar.
Il Governo di unità nazionale di Tripoli aveva pubblicato una dichiarazione in cui avvertiva della possibilità di forti precipitazioni sul Jabal al akhdar e assicurava che le squadre di emergenza erano pronte a intervenire, anche se non ha autorità né una presenza nell’est. Nella tarda serata del 10 settembre il primo ministro Abdul Hamid al Dbaibah ha detto di aver incaricato gli uffici competenti di fornire supporto in caso di necessità e ha rassicurato che il suo governo si sarebbe assunto la responsabilità di risarcire le persone per i danni.
Il sindaco di Derna, Abdel Moneim al Ghaithi, ha imposto il coprifuoco in città alle 19, descrivendolo come una preparazione al ciclone che stava già attraversando la regione, compresa la città di Al Bayda, a cento chilometri di distanza. Sono state diffuse immagini di Al Ghaithi che dirigeva le operazioni e controllava il rispetto del coprifuoco, mentre le acque salivano rapidamente e in rete circolavano video di cittadini intrappolati nelle case. Nel frattempo gli esperti – alcuni dei quali nel 2022 avevano rilevato che le dighe nella valle del Wadi Derna (un fiume stagionale) rischiavano di crollare – hanno lanciato l’allarme e chiesto di avvertire i residenti. Tuttavia le autorità locali e i governi rivali hanno continuato a ripetere che era tutto sotto controllo.
Dalle 23 del 10 settembre i servizi d’emergenza hanno ricevuto ininterrottamente chiamate di persone in difficoltà, in particolare nelle campagne a monte di Derna, dove le case stavano finendo sott’acqua. In città le persone che vivevano negli edifici lungo la valle del Wadi Derna hanno visto una quantità d’acqua senza precedenti affluire nel canale che collega le dighe e il mare. Ma si continuava a esortare la popolazione a restare in casa.
Con estrema violenza l’acqua è salita, ha rotto gli argini e allagato strade ed edifici. All’una e mezza di notte sono state inviate delle squadre di soccorso in diversi quartieri e sono arrivate segnalazioni di persone intrappolate che rischiavano di annegare.
Un abitante di Al Bayda con la casa quasi del tutto allagata ha ricevuto dei video da Derna che mostravano il canale in piena: “Ho telefonato subito ai miei parenti che vivevano là vicino e gli ho detto di spostarsi urgentemente in un posto sicuro e di avvertire gli altri”.
Alcuni sopravvissuti che si sono rifugiati ad Al Bayda hanno raccontato di aver sentito un’esplosione alle 2.30 di notte. Una diga aveva ceduto.
Parti di Derna, compresa la città vecchia, sono state investite dalla piena improvvisa. I residenti della strada lungo il canale sono stati trascinati in mare. La forza dell’acqua ha spazzato via palazzi di otto piani. Si stima che il flusso fosse di 3.500 metri cubi d’acqua all’ora. “Eravamo sul tetto della nostra casa a quattro piani per metterci in salvo”, racconta un sopravvissuto. “Ma della mia famiglia sono rimasto solo io. Gli altri sono stati travolti dall’acqua, e io mi sono ritrovato da solo in una delle strade della città. Sto ancora cercando i corpi dei miei familiari”.
Oggi Derna conta i suoi morti e, se può, li seppellisce. La città ha esaurito quasi subito i sacchi per i cadaveri. I corpi sono stati trasportati in camion dal centro della città a Dahr al Hamar, a sud, e a Martouba, dove sono state sepolte migliaia di persone. Molti cadaveri sono rimasti per strada, in attesa d’identificazione.
Il mare ne restituisce ogni giorno degli altri. I sommozzatori sono andati a cercarli in mare, ma le acque erano troppo agitate. L’istruttore di apnea Deya Abu Zariba ha detto: “La sfida principale per i subacquei era l’acqua torbida, rossastra per l’argilla, che ostacolava la visibilità. Il fondale marino inoltre è disseminato di rocce appuntite e detriti, che sono pericolosi anche per i sub”. ◆ adg
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Questo articolo è uscito sul numero 1530 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati