1. In una birreria
Ho conosciuto il re dei passaporti a una festa di compleanno in una birreria di Klosters, poco prima della guerra in Ucraina. Albeggiava e tra i palloncini dorati con il logo della Bitcoin avevo notato al bancone un signore snello con un viso da falco, gli occhi azzurri e i ricci grigio-biondi pettinati all’indietro. Indossava una giacca e, al contrario di tanti altri invitati, non portava nessun orologio costoso. Ci siamo messi a chiacchierare.
Si è presentato con il nome di Chris e mi ha spiegato di essere un avvocato esperto di diritto costituzionale. Aveva appuntata all’occhiello una spilla a lettere argentate: H&P. Congedandosi mi ha allungato il suo biglietto da visita, che riportava in rilievo una scritta grigio antracite: “Henley & Partners, Dr. Christian H. Kälin, Group Chairman”.
Nei mesi successivi ho trascorso diverso tempo con Kälin, dal quale ho appreso come e dove si possono ottenere passaporti in cambio di denaro. L’ho accompagnato a negoziare con dei capi di stato e mi ha mostrato come, partendo da Zurigo, abbia costruito un’attività internazionale sulla concessione delle cittadinanze fino a trasformare la sua azienda in una sorta di ufficio passaporti per ricchi. E infine mi ha parlato del suo progetto: vendere il passaporto svizzero. Anche se ha specificato che non avrei dovuto assolutamente parlarne in questi termini, perché “vendere”, mi ha spiegato, non è proprio la parola giusta. Ma cominciamo dall’inizio.
2. Cos’è un passaporto?
Questa domanda ha due possibili risposte, che sono due facce della stessa medaglia. Il punto di partenza è lo stesso: il passaporto documenta ufficialmente la cittadinanza di una persona e lo stato che lo emette ha il diritto sovrano di determinare quali sono i criteri per ottenere la cittadinanza. I passaporti sono un’invenzione abbastanza recente: solo dalla metà del novecento si è imposto l’obbligo del visto e quindi anche di dimostrare la cittadinanza. Storicamente, il passaporto (termine composto da “passare” e da “porto”, cioè luogo di transito) è un’evoluzione dell’antico salvacondotto, che garantiva una protezione ai nobili o ai loro emissari.
Oggi rappresenta la promessa che, mostrandolo, potremo passare la frontiera. Ma ci dà anche il diritto di rientrare nel nostro paese con la certezza di trovarci rifugio e protezione. La cittadinanza alla base del passaporto va perfino oltre: sancisce “il diritto ad avere diritti”, come ha scritto la filosofa Hannah Arendt. Solo chi ha la cittadinanza di un paese può reclamare tutti i diritti che esso garantisce, come per esempio il diritto di voto negli stati democratici. La prima risposta, dunque, chiama in causa la protezione e rimanda a una promessa di uguaglianza.
La seconda risposta prende le mosse da un’osservazione: sono i passaporti a creare le frontiere. Nel 1942 lo scrittore austro-britannico Stefan Zweig descriveva così l’epoca precedente al loro avvento: “Prima del 1914 il mondo apparteneva a tutti: ognuno andava dove voleva e vi restava finché voleva. Non servivano permessi di espatrio né lasciapassare e mi divertiva sempre lo stupore dei giovani quando gli raccontavo che prima del 1914 ero stato in India e in America senza possedere un passaporto”.
La ricercatrice Ayelet Shachar parla di una lotteria dei passaporti in cui il paese di nascita condanna la maggioranza dell’umanità a stare tra i perdenti. Il passaporto svizzero apre ogni porta, in tutto il mondo. Per soccorrere, evacuare e assistere i propri cittadini la Svizzera invia voli charter e rappresentanti diplomatici, mentre altri paesi mutilano, cacciano e uccidono i loro cittadini ovunque si trovino nel mondo, come fanno per esempio l’Iran, la Russia o l’Arabia Saudita. Il regime autoritario che governa la Cina ha smesso a lungo di rilasciare passaporti se non per specifiche ragioni, di fatto imprigionando la sua popolazione.
Insomma, molti vorrebbero un passaporto diverso da quello che hanno, ma procurarselo non è impresa facile: neanche il 2 per cento delle persone nel corso della propria vita ottiene una seconda cittadinanza. Di norma, il passaporto si riceve per nascita in base alla nazionalità dei genitori – ius sanguinis, diritto basato sul sangue – o perché si è nati in un dato paese – ius soli, diritto basato sul suolo. La cosiddetta naturalizzazione, cioè il conseguimento di una cittadinanza diversa da quella avuta alla nascita, non è semplice da nessuna parte: di solito per averla servono fino a dieci anni di residenza nel paese, la conoscenza della lingua e i soldi per sostenersi economicamente. Poi, però, ci sono le eccezioni. Perché in realtà quello della cittadinanza è un ambito non regolamentato: non esiste nessuna autorità né alcun registro globale dei passaporti. Ogni paese fa le sue regole e stabilisce a chi dare la cittadinanza e a chi no. Ed è qui che s’inseriscono gli intermediari dei passaporti, tra cui Kälin, come mi ha spiegato lui stesso. Ma, prima, cominciamo da un esempio recente.
Grazie al suo programma passaporti, la Turchia vede entrare nel paese miliardi di solidissimi dollari
3. I russi diventano turchi
Quando è scoppiata la guerra in Ucraina, molti russi, immaginando che la situazione nel loro paese sarebbe diventata difficile, hanno deciso di diventare turchi. Non è stato complicato: bastava comprare un passaporto. Non uno falso, si badi, perché sarebbe un reato, ma quello che si ottiene legalmente in cambio di denaro. La questione, in Turchia, è regolata dall’articolo 12 della legge numero 5901 sulla cittadinanza, in base alla quale, per diventare turchi, bisogna dimostrare di aver comprato immobili in Turchia per un valore minimo di 400mila dollari oppure di aver creato cinquanta posti di lavoro oppure di aver portato in Turchia mezzo milione di dollari, investendolo in imprese turche per un periodo minimo di tre anni, versandolo in banche turche o comprando titoli di stato o fondi d’investimento turchi.
Quando una cittadinanza è acquistabile secondo criteri prestabiliti si parla di “programma passaporti”. E ora come ora, grazie al suo programma passaporti, la Turchia, che sta soffrendo molto la svalutazione della lira, vede entrare nel paese miliardi di solidissimi dollari.
Poiché formalmente è lo stato a concedere i passaporti, ne consegue che è lo stato a venderli. La Turchia chiama questa compravendita “domanda”: tutti possono presentarla, tranne i cittadini di stati confinanti ostili come l’Armenia. Per candidarsi e superare l’esame del ministero dell’interno non c’è neanche bisogno di mostrare la fedina penale. Dopo il 2018 e prima dell’ondata russa il passaporto turco l’avevano ottenuto circa ventimila tra iraniani, iracheni, yemeniti e afgani, che altrove spesso non riuscivano ad avere neanche un visto d’ingresso. Per alcuni la cittadinanza turca era solo una tappa intermedia per raggiungere gli Stati Uniti, l’Unione europea o la Svizzera.
Con la guerra in Ucraina la domanda di passaporti è aumentata a tal punto che, nel maggio 2022, la Turchia ha alzato i prezzi del 60 per cento. È da allora che per ottenere la cittadinanza comprando immobili, servono 400mila dollari, mentre prima ne bastavano 250mila. La Turchia non pubblica cifre e nominativi dei suoi clienti, ma gli acquisti d’immobili costituiscono un buon indicatore: secondo l’istituto statistico nazionale già nel febbraio 2022 la domanda da parte dei russi era quasi raddoppiata rispetto a un anno prima e nel giugno 2022 risultava sestuplicata rispetto a dodici mesi prima. Tra il gennaio e il luglio 2022 quasi settemila cittadini russi hanno comprato immobili in Turchia.
Sia la Russia sia la Turchia permettono di avere la doppia cittadinanza. Se l’Unione europea dovesse vietare l’ingresso ai russi, i neoturchi potrebbero continuare a entrare nel suo territorio e inviare bonifici internazionali, oggi ostacolati dalle sanzioni. Peraltro, chi possiede solo il passaporto russo si trova alla mercé di Vladimir Putin. Com’è scritto sulla maggior parte dei passaporti questi documenti appartengono allo stato. Di conseguenza Putin può confiscarne uno russo in qualsiasi momento.
Per questo oggi i superyacht dei miliardari russi affollano i porti turchi mentre Vk, gigante dell’informatica russo, ha in programma di ricollocare in Turchia duemila programmatori di software. Insomma, il paese si sta trasformando in un avamposto russo. E il fatto che la Turchia offra la sua cittadinanza in cambio di denaro lo si deve in buona parte a Kälin.
4. Da Antigua alla Turchia
L’ufficio di Kälin si trova sulla Klosbachstrasse, nel quartiere Hottingen a Zurigo, al piano terra di un grigio edificio a cinque piani di inizio novecento. La sua azienda si chiama Henley & partners: quando ha comprato questo studio legale angloamericano insieme alla sua famiglia ne ha mantenuto il nome inglese. Oggi Kälin è il presidente del consiglio d’amministrazione.
Ci incontriamo la prima volta nel gennaio 2022. Una receptionist mi accompagna in una luminosa sala riunioni e mi serve il caffè in una tazza di porcellana, accompagnandolo con un cioccolatino. Uno scaffale è pieno di libri scritti da Kälin e di una serie di dépliant. Dalla finestra sventolano bandiere esotiche, come in un’ambasciata. La Henley & partners ha più di trenta filiali in tutto il mondo. Quella moscovita chiuderà poco dopo il nostro incontro.
Sul sito l’azienda elenca undici cittadinanze disponibili in ordine alfabetico: dalla A di Antigua alla T di Turchia, oltre a venticinque cosiddetti visti d’oro, i permessi di soggiorno che si ottengono in cambio di “investimenti” in paesi come il Portogallo o la Svizzera. Ma questo non significa assolutamente che si possa comprare la cittadinanza svizzera, mi spiega Kälin mentre beviamo il tè.
In molti cantoni svizzeri gli stranieri benestanti che ne fanno richiesta possono ottenere un permesso di soggiorno a tempo determinato – il permesso B – di solito accettando un regime forfettario d’imposta che parte da circa 150mila franchi all’anno. Le domande vanno inviate per un esame preliminare alla Confederazione elvetica, che ha diritto di veto e, a sua volta, può chiedere all’ufficio federale di polizia di esaminare i dossier, valutando poi caso per caso.
Le decisioni sono prese in base all’articolo 30 della legge sugli stranieri e la loro integrazione, che permette di concedere la cittadinanza per “importanti interessi pubblici”, inclusi “notevoli interessi fiscali cantonali”. Secondo la Segreteria di stato della migrazione (Sem), dal 2008 sono state 5.094 le persone che hanno ottenuto permessi di soggiorno in base a questa legge. I loro nomi non sono pubblici. La Sem rifiuta di fornire ulteriori dettagli, ma fa sapere che qualche pratica è stata respinta.
Sul sito di Kälin si legge che la sua azienda è leader nel mercato della citizenship by investment (cittadinanza per investimento) e un video spiega: “La Henley & partners ha inventato un’industria”. “E l’industria sarebbe quella del commercio in passaporti?”, chiedo io. “No, no”, risponde Kälin scuotendo la testa con veemenza. “Commercio e compravendita di passaporti sono reati con cui non abbiamo assolutamente nulla a che fare”. Quello di cui si occupa lui, mi spiega, è perfettamente legale. “I termini corretti sono ottenimento della cittadinanza per investimento, programma per la concessione della cittadinanza, conferimento della cittadinanza per investimenti o, al più, programma passaporti oppure ottenimento di passaporti per investimenti”.
Non devo assolutamente usare “termini erronei”, mi ammonisce. “La Henley & partners non commercia in passaporti. Lo ripeto continuamente a tutti i miei dipendenti e anche ai governi se capita che si lascino sfuggire parole del genere”.
Ma quando gli chiedo di saperne di più, Kälin esita. Di cattiva pubblicità ne ha già ricevuta a sufficienza, aggiunge riferendosi ai reportage su “elezioni pilotate”, alle accuse che gli sono state mosse nel caso dell’omicidio della giornalista maltese Daphne Caruana Galizia, alle notizie su presunti criminali, politici e oligarchi a cui, si dice, la Henley & partners avrebbe procurato passaporti. I mezzi d’informazione, l’Unione europea, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) gli danno tutti contro, si lamenta, nonostante abbia aiutato decine di migliaia di persone a costruirsi una vita migliore. Quindi prende un sorso di tè e comincia a raccontare.
5. Saint Kitts e Nevis
Kälin arriva a Saint Kitts e Nevis, uno stato formato da due isole dell’arcipelago caraibico, nel 2006, a 34 anni. All’epoca il paese è in grave difficoltà: fino a poco tempo prima viveva della coltivazione di canna da zucchero, ma nel 2005, quando l’Unione europea ha cambiato le regole d’importazione di prodotti dalle due isole, l’economia locale è arrivata quasi al collasso.
Kälin lavora per la Henley & partners, una piccola azienda specializzata in progetti internazionali e in diritto della migrazione, che l’ha ingaggiato negli anni novanta quando frequentava giurisprudenza a Zurigo. Si è fatto le ossa in una banca privata della città svizzera, in seguito comprata dalla Coutts & co, coinvolta nel 2014 in alcuni scandali legati ai paradisi fiscali, tra l’altro nelle isole Cayman. L’avvocato svizzero sa bene cosa vogliono i suoi ricchi clienti, che non sono solo alla ricerca di un paradiso fiscale per la loro azienda, ma vogliono trasferirsi, comprare immobili e investire all’estero. Per questo hanno spesso bisogno di quei permessi di soggiorno che sono diventati la specialità di Kälin.
Paesi d’immigrazione come il Canada e gli Stati Uniti offrono da tempo permessi di soggiorno a pagamento per gli investitori, i cosiddetti visti d’oro, come l’Eb-5 statunitense che, con un investimento di almeno 800mila dollari in un’azienda, garantisce un permesso di soggiorno a tempo indeterminato (in questo modo dal 2008 gli Stati Uniti hanno incassato 37 miliardi di dollari. Il genero di Donald Trump, Jared Kushner, ha finanziato così alcuni progetti immobiliari).
Ma Kälin è affascinato soprattutto da un piccolo paese montano nel cuore dell’Europa – l’Austria –, dove la legge prevede già dal 1985 che la cittadinanza possa essere concessa per “meriti straordinari di particolare interesse per la repubblica”. In sostanza, in cambio di investimenti milionari o di donazioni benefiche si ottiene il passaporto austriaco. È una legge costituzionale, mi ha spiegato il giurista viennese Stefan Pacher, ma mancano criteri trasparenti per la sua applicazione. Ogni sei mesi il governo in seduta congiunta decide se concedere le naturalizzazioni. Ciò significa che vanno contattati e convinti tutti i ministri, e che il margine di discrezionalità è ampio.
Sta nascendo una nuova classe di ricchi. Nel mondo 62 milioni di persone possiedono un patrimonio di almeno un milione di dollari
Oltre all’investimento dei suoi clienti, Kälin si occupa di stringere contatti, organizzare incontri e predisporre gli argomenti adatti. È un processo impegnativo, ma ogni cittadinanza gli frutta un onorario di centinaia di migliaia di franchi. All’epoca solo gli specialisti del suo livello sanno che l’acquisto legale della cittadinanza, oltre che in Austria, è possibile unicamente a Saint Kitts e Nevis e a Dominica, un altro stato insulare. I passaporti delle due isole hanno entrambi una cattiva reputazione. Ma poi il destino favorisce il gioco di Kälin: il Canada sta per eliminare quello che fino a quel momento è il visto per investitori più ambito al mondo.
Le liste d’attesa per il Federal investor immigration program sono diventate lunghe quasi come quelle per ottenere la cittadinanza per vie normali. La richiesta di visti simili e perfino di passaporti è aumentata esponenzialmente. E nel 2005, dopo che Saint Kitts e Nevis ha perso all’improvviso la sua principale fonte di guadagno, l’esportazione di zucchero, Kälin ci vede un’occasione d’oro.
E nel 2006 eccolo nel piccolo ufficio del premier Denzil Douglas, nel quartiere governativo della capitale Basseterre, a spiegargli che lo stato di Saint Kitts e Nevis potrebbe fare un sacco di soldi: lui porterà investitori interessati alla naturalizzazione e disposti a versare grandi somme.
La proposta suona piuttosto strana dato che l’isola caraibica ha già un programma di conferimento dei passaporti a persone straniere, ma nel 2005 ne ha emessi solo sei. E questo benché, in realtà, sia stata proprio l’isola di Saint Kitts e Nevis a inventare la moderna “compravendita di passaporti”, con il risultato paradossale che il documento dell’isola non lo vuole praticamente nessuno. A Saint Kitts e Nevis la pratica era stata istituita dopo l’indipendenza ottenuta nel 1983, quando un intermediario francese al servizio del cartello di Medellín aveva cercato di procurarsi dei passaporti per dare una nuova identità ai suoi clienti. La sua esigenza aveva spinto un ingegnoso politico a prendere l’iniziativa e, un anno dopo, il parlamento aveva approvato una legge che consentiva l’acquisizione della cittadinanza per cinquantamila dollari più spese. Ma nel 2006, quando Kälin è a Saint Kitts e Nevis, acquisire la cittadinanza dell’isola è complicato: possono volerci mesi o anni, a seconda del ministro con cui si riesce a entrare in contatto. La legge, infatti, non prevede un ministro responsabile della procedura.
E ora questo straniero biondo si mette a spiegare al premier che bisogna “pensare in grande”, passando all’acquisto della cittadinanza su scala industriale. Kälin ha una visione: un passaporto con una buona reputazione, come quello austriaco, ma molto più economico e conferito su larga scala, proprio come in Canada. Il progetto è chiaro: una catena di montaggio dei passaporti. Passaporti buoni però. Kälin spiega al premier che aumenterà il prezzo, cioè i “criteri d’investimento”, e controllerà con maggiore severità i candidati: niente criminali, perché renderebbero il prodotto poco appetibile. In compenso, però, semplificherà la procedura e farà pubblicità a Saint Kitts e Nevis e al suo passaporto.
Con gli introiti, il capo di stato potrebbe salvare il paese. Douglas è interessato, ma il governo non ha i soldi per finanziarie un progetto simile. Kälin però ha pensato anche a questo: farà tutto gratis, la sua azienda anticiperà il finanziamento a proprio rischio, a patto di vedersi riconosciuto un premio di ventimila dollari per ogni pratica andata a buon fine. Inoltre, Saint Kitts e Nevis concederà alla Henley & partners il monopolio sulla commercializzazione, affidandole anche l’elaborazione della procedura, cioè delle norme giuridiche e degli iter per l’acquisizione della cittadinanza. Douglas accetta.
Kälin sa benissimo chi saranno i suoi clienti. Sono tanti gli statunitensi e i britannici che tradizionalmente comprano case per le vacanze su quelle isole e che certo non disdegneranno un passaporto come piccolo extra, ottenuto comprando una proprietà immobiliare.
Ma ci sono altri clienti. La globalizzazione procede a pieno ritmo. E il commercio mondiale porta con sé la delocalizzazione dei processi produttivi dai costosissimi paesi occidentali all’Asia, al Medio Oriente, al Nordafrica e al Sudamerica. Sta nascendo una nuova classe di ricchi imprenditori e, nei cosiddetti paesi in via di sviluppo, il loro numero cresce esponenzialmente: nel mondo 62 milioni di persone possiedono un patrimonio di almeno un milione di dollari, di queste più di otto milioni provengono dall’Africa, dal Medio Oriente e dall’Asia.
A casa loro queste persone conducono un’esistenza di prim’ordine, ma in tasca hanno un passaporto che spesso gli complica la vita: chi dal Bangladesh o dalla Nigeria vuole andare a New York, per esempio, per shopping o per affari, deve aspettare un visto per mesi.
A tutta questa gente farà decisamente comodo un passaporto migliore. Non vogliono mica andare a Saint Kitts e Nevis, vogliono solo il passaporto. Kälin subodora milioni di potenziali clienti e li chiama global citizens.
6. Il modello
“Abbiamo fatto tutto noi a Saint Kitts”, dice ancora oggi Kälin, molto soddisfatto. Le regole le ha scritte lui, nell’interesse dei suoi clienti, e per la prima volta nella storia è il mercato a stabilire chi otterrà la cittadinanza. Ne nasce un settore, e poi un modello, che di lì a poco gli permetterà di varcare anche i confini dell’Unione europea.
A Saint Kitts Kälin sviluppa lo schema di quasi tutti gli attuali programmi di naturalizzazione: dalle normative e gli iter burocratici ai loghi, ai siti e ai dépliant. E perfino agli annunci di lavoro.
Alza drasticamente il prezzo del passaporto – o meglio, della cittadinanza – portandolo a 250mila dollari più “spese”. Per ottenere un passaporto per sé e un massimo di tre familiari, cosiddetti a carico, i clienti possono scegliere tra un investimento immobiliare di 250mila dollari sull’isola e una donazione di 150mila dollari a un fondo sovrano istituito da Kälin: lo Sugar industry diversification fund (Sidf).
Preferendo la donazione all’acquisto di immobili, le “spese” risultano decisamente più basse: 7.500 dollari invece di cinquantamila. L’incentivo è chiaro: con il Sidf arriverà il denaro promesso da Kälin a Douglas in sostegno di un sistema economico in difficoltà, formalmente redistribuito da un organo indipendente ma, in realtà, gestito dal premier. Le regole cambiano di continuo. Ben presto l’investimento minimo in immobili sale a 400mila dollari, con un conseguente
boom degli edifici di lusso. Poi il Sidf comincia a intervenire su vari fronti, dal finanziamento dell’edilizia popolare agli investimenti, fino ai prestiti a privati.
Chiunque può fare domanda. Non è necessario risiedere nel paese né andarci di persona, ma tutti i casi sono esaminati secondo le stesse regole. Bisogna passare una due diligence (attività d’investigazione e di approfondimento di dati e d’informazioni relative all’oggetto di una trattativa), volta a escludere che clienti sgraditi facciano perdere valore al passaporto di Saint Kitts e Nevis. Se un passaporto va per la maggiore nel mondo della criminalità, gli altri paesi si fanno prudenti, limitando l’ingresso a chi lo possiede.
In precedenza, sottolinea Kälin, quando venivano presentate richieste di cittadinanza, Saint Kitts e Nevis dava a malapena un’occhiata al casellario giudiziale locale o alle liste dell’Interpol. Le altre banche dati non venivano quasi mai consultate, figuriamoci se qualcuno contattava l’unità internazionale antiriciclaggio, la Uif (Unità d’informazione finanziaria). La Henley & partners, invece, elabora numerosi moduli con cui chiedere ai clienti varie informazioni: per esempio quelle relative alla provenienza del denaro con cui sarà pagato il passaporto.
Per gestire il sistema, la Henley & partners apre un’agenzia a Saint Kitts e Nevis, la Citizenship by investment unit, che risponde direttamente al premier. Per la prima volta uno stato mette a disposizione di chi vuole comprarne il passaporto uno sportello centrale unico. E non mancano le supervisioni: il revisore dei conti dello stato sorveglia l’agenzia, mentre la multinazionale PricewaterhouseCoopers (PwC) è incaricata di fare la revisione di bilancio dello Sidf. Chi pagherà e supererà i controlli otterrà la cittadinanza e quindi il passaporto. Eppure all’inizio il programma di Saint Kitts e Nevis ideato da Kälin sembra un insuccesso. Nel 2006 si vendono solo diciannove cittadinanze. “Saint what?”, chiedono a Kälin quando presenta il suo passaporto caraibico a Hong Kong.
Ma tre anni dopo lui e la sua squadra lanciano un tour pubblicitario mondiale e, pian piano, i numeri cominciano a crescere: nel 2007 i passaporti venduti sono 75 e nel 2008 già 202. Intanto Kälin prepara il colpo definitivo su tutt’altro palcoscenico: Bruxelles.
7. Alla volta dell’Europa
Saint Kitts e Nevis è in trattativa con l’Unione europea per esentare i propri cittadini dall’obbligo di visto per l’area Schengen. E Kälin fa ufficialmente parte della delegazione negoziale. Douglas l’ha nominato “inviato speciale per i trattati bilaterali” e allo stesso tempo console generale onorario per la Svizzera.
Gli svizzeri praticamente non sanno cosa sia l’obbligo di visto: con il loro documento possono entrare liberamente in 186 paesi
Nessun paese è tenuto a garantire l’ingresso ai cittadini di un altro. Ma se la cosa va a vantaggio di entrambi, i due paesi possono stringere accordi di reciprocità sulla cosiddetta esenzione dall’obbligo di visto, o visa waiver. Tutti gli altri devono presentare domanda, e il visto è l’attestato rilasciato dopo parere positivo. Il grado di approfondimento dell’esame a cui si è sottoposti è variabile. Come ha spiegato Marc Spescha, avvocato e professore di diritto migratorio, di solito le richieste di visto presentate da cittadini di paesi terzi da cui si prevede l’arrivo di un grande numero di immigrati – cosa che vale per quasi tutti gli stati più poveri del mondo – sono respinte, indicando come motivo la mancata garanzia di rientro nel paese di provenienza.
Di conseguenza, possedere un passaporto senza obbligo di visto per un dato paese è come avere una chiave per entrarci. Quante più esenzioni dall’obbligo di visto offre un passaporto, tanto più risulta utile per chi voglia viaggiare. E, nella logica di Kälin, tanto più aumenta il suo valore.
Gli svizzeri praticamente non sanno cosa sia l’obbligo di visto: con il loro documento possono entrare liberamente in 186 paesi. Ma quello di Saint Kitts e Nevis nel 2006 offriva solo 62 esenzioni dall’obbligo di visto. Con il libero ingresso nell’Unione europea, il suo valore sarebbe cresciuto enormemente.
L’accordo tra l’Unione europea e Saint Kitts e Nevis arriva il 30 giugno 2009: da quel momento chiunque con un passaporto di Saint Kitts e Nevis può viaggiare liberamente nell’Unione europea per tre mesi ogni sei. Di colpo le richieste aumentano vertiginosamente e ben presto l’isola comincia a vendere più di duemila cittadinanze all’anno.
Secondo le stime presentate nella primavera del 2022 dall’ex ministro Dwyer Astaphan, con il programma passaporti la popolazione dell’isola è raddoppiata (almeno sulla carta, dato che molte domande hanno incluso familiari o altre persone a carico). I neocittadini che si sono stabiliti sull’isola, infatti, sono pochissimi, e il boom immobiliare, dovuto all’investimento minimo di 400mila dollari per avere il documento, si limita a edifici di lusso, in gran parte alberghi. Invece di sprofondare nella povertà come Haiti, l’ex isola dello zucchero si è trasformata in una destinazione di lusso. Il programma passaporti è diventato la principale fonte d’incassi del paese, generando più di un quarto del pil e il 40 per cento delle entrate statali. Invece che di canna da zucchero, Saint Kitts e Nevis vive di passaporti. E l’azienda di Kälin arriva a fatturare quaranta milioni di dollari all’anno. “È stato come scoprire un giacimento di petrolio. Abbiamo rivoluzionato il paese”, mi dice entusiasta Kälin. Ben presto lo chiamano anche dalle isole vicine: “Nei Caraibi conosco tutti”. E quando i soldi cominciano a scorrere a fiumi, un altro collasso dà una mano a Kälin: dopo la crisi economica del 2008 molti governi si sono messi alla ricerca di nuove fonti di reddito e si sono imbattuti nel modello da lui creato.
8. Il salvatore dei bilanci statali
Passando pressoché inosservato, nel 2009 Kälin comincia a sviluppare programmi per l’ottenimento di visti e passaporti in tutto il mondo. La Henley & partners offre dalle semplici consulenze alla creazione di un quadro giuridico, al pacchetto completo, quello in cui l’azienda s’incarica anche della commercializzazione del prodotto.
Nel 2009 istituisce un visto d’oro per investitori anche in Lettonia, dove fino a oggi hanno ottenuto la cittadinanza quasi ventimila persone, per l’80 per cento russe. L’anno dopo collabora alla riforma del visto per investitori con cui avere permessi di soggiorno illimitati nel Regno Unito, dove più s’investe più la procedura è veloce: bisogna aspettare cinque anni con due milioni di sterline e solo due anni portando capitali dai dieci milioni in su. Il sistema permette di emettere più di dodicimila visti e frutta entrate per almeno 17 miliardi di sterline. I milionari russi si sono aggiudicati più del 20 per cento dei cosiddetti Tier-1-Visa, diventando proprietari di così tanti immobili nella city di Londra che la capitale britannica è stata ribattezzata Londongrad. Nel 2010 la Henley & partners avvia in Montenegro un programma per il rilascio di passaporti a soli 450mila euro. Il fatto che il paese si sia poi candidato a entrare nell’Unione europea ha reso più ambito il suo documento, che oggi è richiesto soprattutto da russi e cinesi.
La Henley & partners lancia una vera e propria campagna, aprendo una centrale amministrativa (chiusa nel frattempo) nel paradiso fiscale di Jersey e una centrale per il coordinamento dei negoziati con governi e politici di tutto il mondo a Lisbona. In seguito, l’azienda madre sposta la sua sede a Dubai. Una volta ottenuto tutto questo successo, Kälin smette di occuparsi del contatto diretto con i clienti e si trasferisce in una tenuta con un grande parco a Nevis per dedicarsi a una tesi di dottorato sulla sua invenzione: ius doni, il diritto basato sul dono. Ha un nuovo obiettivo.
9. Malta 2013: il colpo grosso
Malta è un piccolo arcipelago tra la Sicilia e la Libia, il decimo paese più piccolo del mondo. Con quasi 520mila abitanti è densamente popolato ed essendo privo di materie prime è costretto a fare affidamento su altre fonti di entrate. Colonia britannica fino al 1964, oggi fa parte dell’Unione europea. Quindi chi ha il passaporto maltese è cittadino europeo. Kälin nel corso degli anni ha visitato spesso La Valletta e mi racconta che Tonio Fenech, ministro delle finanze dal 2008 al 2013, ha fatto molto per lui (ha anche scritto la prefazione a uno dei suoi numerosi manuali). Il governo guidato dal Partit nazzjonalista (Pn) di cui fa parte Fenech è favorevole a un programma di conferimento dei passaporti, ma dispone di una maggioranza troppo esigua in parlamento – 35 seggi contro 34– per far passare leggi delicate come quella sulla compravendita della cittadinanza maltese. E così Kälin si rivolge anche all’opposizione, perché, mi spiega, lui parla sempre con tutti: “C’è chi è al potere oggi e chi ci starà domani”.
Nel 2011 lo invitano al quartier generale del Partit laborista, allora all’opposizione, dove incontra un gruppo di giovani politici, tra cui Keith Schembri, futuro capo di gabinetto del premier Joseph Muscat. Per Kälin si tratta di un incontro come tanti: scambio dei biglietti da visita e presentazione dei servizi della sua azienda. Sono gli stessi di Saint Kitts e Nevis: grazie al programma per il conferimento dei passaporti, Malta potrà ottenere entrate altissime, per centinaia di milioni.
Nel marzo 2013 Muscat arriva al governo con la maggioranza assoluta. Tra le sue prime misure c’è l’istituzione di un programma per i passaporti. Il 4 ottobre 2013 Muscat ne annuncia l’approvazione: il programma è stato elaborato, attuato e commercializzato dalla Henley & partners, a cui è stato affidato anche il marketing su scala mondiale.
Per Kälin offrire un passaporto dell’Unione europea è un colpaccio. Ben presto la sua azienda arriva a gestire il 40 per cento delle domande presentate a Malta, dove ha aperto il più grande dei suoi uffici. Ancora oggi Kälin considera il Malta individual investor program il suo capolavoro. E da allora, pubblicamente e di fronte ai suoi clienti, sventola la bandiera europea, pubblicizzandolo come “l’unico programma per il conferimento dei passaporti riconosciuto dall’Unione europea”. Nei video promozionali appare la sede principale del parlamento europeo.
A Malta la squadra di Kälin scrive proposte di legge, fissa regole per l’esame delle domande e istituisce un fondo statale, come quello di Saint Kitts, per raccogliere il 70 per cento delle entrate e distribuirlo in modo trasparente. Su pressione dell’opposizione viene anche stabilito un tetto massimo di 1.800 passaporti per un periodo sperimentale di alcuni anni.
Kälin ha procurato la cittadinanza a decine di migliaia di milionari, ciascuno dei quali ha dovuto mettere a nudo la propria vita
Come compenso per i suoi servizi, l’azienda di Kälin riceve da Malta il 4 per cento delle entrate su ogni richiesta andata a buon fine: quindi, considerando la quota minima di 650mila euro, 26mila euro per ogni cittadinanza conferita. Inoltre, Kälin guadagna anche sulle spese addebitate ai clienti. All’inizio quello tra Malta e la Henley & partners era un contratto segreto, cosa che suscita una certa indignazione tra i suoi critici. Con il tempo, però, molte cose sono diventate più trasparenti e dal 2020 è in vigore una nuova versione del programma.
Oggi è questo l’iter per la naturalizzazione: non serve una presenza permanente sull’isola, basta soggiornarci brevemente quando si presenta la domanda e per il ritiro del passaporto. E basta una casa in affitto o di proprietà registrata come “residenza”.
In compenso serve una marea di documenti, a cominciare dalla valutazione di un’agenzia come la Henley & partners. Le agenzie adoperano per esempio la World Check, una banca dati che permette di verificare se qualcuno figura nelle liste delle persone sottoposte a sanzioni, se intrattiene rapporti sospetti o rappresenta un rischio di tipo politico. Se qualcuno risulta a rischio su World Check, gli intermediari incaricano delle agenzie d’investigazione per stabilire se prendere in carico il cliente.
Segue un controllo nelle banche dati di agenzie come l’Interpol, l’Europol e l’Unità d’informazione finanziaria. Inoltre, il governo maltese incarica due agenzie investigative internazionali private e indipendenti di produrre la documentazione relativa ai candidati. Chi ha l’obbligo di visto per l’area Schengen (con tutta probabilità la maggioranza dei richiedenti) deve passare anche tutta la trafila per ottenerlo.
L’esame della domanda prevede la raccolta di molte informazioni riservate. Secondo le stime di Kälin, la sua azienda ha procurato la cittadinanza a decine di migliaia di milionari, ciascuno dei quali ha dovuto mettere a nudo la propria vita, svelando la provenienza del patrimonio e gli affari potenzialmente delicati. Nessuno sa più cose sui ricchi di quante ne sappia lui: “Conosciamo i loro parenti, le loro banche, le loro fidanzate e le loro amanti, perfino i loro figli illegittimi”.
Il terzo passo lo compie la Community Malta agency, incaricata di valutare la correttezza e la coerenza delle domande, soprattutto per quanto riguarda la provenienza dei patrimoni, e di presentare i richiedenti al ministro competente. Chi passa l’esame versa il suo contributo al fondo sovrano. Poi, i nominativi dei neocittadini maltesi sono pubblicati sulla gazzetta ufficiale.
Tutta questa trasparenza ha delle conseguenze: spaventa i clienti che provengono da stati che vietano la doppia cittadinanza, come l’Arabia Saudita o la Cina. Tra il 2014 e il 2020, è stato respinto il 23 per cento delle domande: è il tasso di rifiuti più alto tra tutti i programmi per il conferimento della cittadinanza, anche se quasi nessun paese rende pubblici i nominativi dei cittadini-investitori o il tasso di dinieghi. Nonostante tutto, gli intermediari del settore considerano il sistema maltese come il più severo e trasparente, mentre secondo i critici è una porta d’ingresso per le élite corrotte.
Passata la prima fase dell’iter, infatti, i richiedenti ricevono un permesso di soggiorno che gli consente di circolare liberamente nell’Unione europea. E se il passaporto di Saint Kitts e Nevis era destinato alle élite economiche dei paesi in via di sviluppo, quello maltese, che costa il triplo, si rivolge a chi dispone di un patrimonio medio superiore ai trenta milioni di dollari – i cosiddetti ultra-high-net-worth-individual – e attira chi viene da paesi come la Russia e l’Arabia Saudita, perché offre l’accesso senza visto a più di 185 stati, la libertà di stabilirsi su tutto il territorio dell’Unione europea e il diritto a soggiornare in Svizzera. Con questo passaporto si può andare senza problemi a New York, a St. Moritz o a Londra e, volendo, si può anche viverci. Nell’Unione europea si può anche aprire un conto bancario.
Quanto costa oggi la cittadinanza europea per una famiglia di quattro persone? Mi faccio fare un preventivo dalla Henley & partners: il Malta express con tempi di attesa abbreviati – dodici mesi invece di 36 – costa 1.221.999 euro, incluse spese pari a 160mila euro. Per una persona sola si parte da 750mila euro. La cittadinanza maltese ha avuto un grande successo nel mondo dei ricchi. “A Malta, con tutti i soldi che ci abbiamo portato, abbiamo fatto una rivoluzione”, mi dice orgoglioso Kälin. Ma hanno anche sollevato un vespaio.
10. L’esplosione
La fortuna di Kälin è durata a lungo. Ma, all’apice del successo, gli ha voltato le spalle. A Malta Kälin deve fronteggiare un’avversaria inattesa: Daphne Caruana Galizia, la giornalista uccisa in un attentato il 16 ottobre 2017. Sul suo blog Running commentary, Caruana Galizia indagava su una faccenda così incredibile che buona parte dei grandi mezzi d’informazione non la prendeva sul serio: secondo lei, il governo aveva intenzione di trasformare Malta in uno stato mafioso.
Tutta l’isola la conosceva come Daphne. In questo paese di 500mila abitanti, c’erano giorni in cui il suo blog arrivava a 400mila visitatori. Laureata in archeologia e madre di tre figli, Caruana Galizia gestisce la maggiore fonte d’informazione indipendente di Malta. Fin dall’inizio la giornalista è convinta che “la compravendita di cittadinanze” maltesi sia illegale e che costituisca una truffa ai danni degli elettori. La Henley & partners non le è mai piaciuta, fin dalla sua prima apparizione pubblica a Malta, nel 2013. Caruana Galizia fa le sue ricerche e negli anni successivi pubblica decine di articoli critici. Teme la corruzione e la svendita del paese a élite molto discutibili. Dimostra che centinaia di milioni incassati da Malta fino al 2016 grazie al programma per il conferimento dei passaporti non sono mai stati trasferiti al fondo.
Ma la cosa che più la disturba è la rete a cui Kälin sta dando vita insieme al governo. Grazie ai suoi contatti, infatti, l’avvocato svizzero riesce a essere ben più di un intermediario. Sul suo blog, Caruana Galizia documenta il lavoro di Kälin: con una clausola contrattuale si è assicurato la partecipazione del governo maltese agli eventi pubblicitari della Henley & partners, presentati come “conferenze”. E già la prima volta che il premier Muscat presenzia a uno di questi eventi, nel 2013, Kälin gli fa incontrare un cliente particolare: Ali Sadr Hashemi Nejad, noto semplicemente come Ali Sadr, rampollo del più ricco uomo d’affari iraniano. Essendo cittadino di Saint Kitts, Ali Sadr poteva fare affari internazionali aggirando le sanzioni contro l’Iran e, poco dopo quell’incontro con Muscat, ha aperto una banca a Malta, la Pilatus bank.
Caruana Galizia comincia a indagare su alcuni strani clienti della Pilatus, scoprendo i conti della 17 Black, azienda legata al governo maltese il cui proprietario, Yorgen Fenech, è oggi sotto processo come presunto mandante proprio dell’omicidio della giornalista. Ogni settimana – e a periodi anche una volta al giorno – Caruana Galizia pubblica quanto ha scoperto o semplicemente intuito, a volte sbagliando. Temendo per la propria reputazione, Kälin le chiede più volte di cancellare dei post. La Henley & partners si rivolge anche allo studio legale londinese Mishcon de Reya, noto per la sua abitudine d’intimidire i giornalisti minacciando denunce. Caruana Galizia risponde pubblicando alcune email nelle quali Kälin si accorda con Muscat e il suo capo di gabinetto sui passi legali da intraprendere contro di lei.
Nel maggio 2017 Kälin tenta di portare la giornalista dalla sua parte e la incontra di persona. Secondo lui, avrebbe accettato di cancellare alcuni post, ma poi sarebbe ripartita all’attacco quando lo studio legale londinese ha tentato d’intimidirla nuovamente. Quanto si fossero davvero conciliati non è più possibile saperlo. In ogni caso Caruana Galizia scrive sul blog di aver detto a Kälin che Malta non è Saint Kitts: qui non può comportarsi come una potenza coloniale. Il 6 ottobre 2017 pubblica l’ultimo post sul programma per il conferimento dei passaporti. Dieci giorni dopo muore nell’esplosione di una bomba messa nella sua auto.
Di colpo, il discreto Kälin e tutto il suo settore finiscono sotto i riflettori, mentre a Malta arrivano giornalisti da tutto il mondo. L’Unione europea istituisce un premio Daphne per il giornalismo e nasce un gruppo giornalistico d’inchiesta intitolato a lei. Il caso scatena una valanga di rivelazioni.
11. Tempi duri
Nel 2018 viene resa nota una banca dati interna della Henley & partners e si capisce subito che gli scandali sono più d’uno. Solo che in Europa non se n’è accorto quasi nessuno. Già nel 2011, per esempio, la Henley & partners aveva aiutato Oluwaseun Ogunbambo, truffatore finanziario nigeriano, a ottenere la cittadinanza di Saint Kitts e Nevis. Probabilmente non era nelle intenzioni di Kälin. I clienti senza scrupoli, infatti, sfruttavano una falla nel sistema della Henley & partners: aggiravano i controlli di sicurezza mandando avanti i parenti puliti e spacciandosi per “familiari a carico”.
Nel 2014 la Fincen, l’agenzia statunitense che si occupa di reati finanziari, aveva lanciato un allarme a proposito del programma passaporti del paese caraibico, prendendo di mira soprattutto la prassi, introdotta nel corso della collaborazione tra Kälin e Saint Kitts e Nevis, di non indicare sui passaporti a pagamento il luogo di nascita dei neocittadini. In seguito all’allarme il governo maltese ha dovuto ritirare cinquemila passaporti.
Tutte le libertà che Kälin si è preso nei Caraibi – dove dal 2010 ha istituito programmi per passaporti in diverse isole – dimostrano che l’altisonante titolo di “re dei passaporti” era più che meritato. All’inizio del decennio, per esempio, aveva aiutato l’amico Patrick Liotard-Vogt a procurarsi un passaporto di Saint Kitts e Nevis, scrivendo una lettera di raccomandazione di suo pugno. In precedenza, Kälin aveva fornito a questo personaggio del jet-set svizzero consulenze su come rimettere in piedi il suo patinato social network, A small world, che ha sede legale in Svizzera. In seguito l’ha aiutato anche con i suoi investimenti a Saint Kitts, per esempio nel settore alberghiero. Quello di Liotard-Vogt è un esempio dell’abilità di Kälin di far fruttare la sua rete di clienti.
Come hanno riportato Fast Company, il Guardian e il Tages-Anzeiger, nei Caraibi Kälin ha messo mano perfino alle campagne elettorali: in almeno due casi, negli stati insulari di Saint Vincent e Grenadine e di Saint Kitts e Nevis, ha fornito al cofondatore della Cambridge analytica, Alexander Nix, all’epoca attivo da quelle parti e in seguito noto per la sua collaborazione con Donald Trump, contatti con investitori da coinvolgere come potenziali donatori. Kälin afferma che il programma passaporti non è mai stato a rischio e ribadisce di avere buoni rapporti con l’opposizione.
Anche a Malta i mezzi d’informazione hanno scovato qualche neocittadino dai trascorsi sospetti: principalmente russi con molto potere e molto denaro. Per esempio l’ex amministratore delegato della banca russa Alfa, il fondatore del gigante digitale Yandex o l’amministratore delegato del Beluga group, azienda
leader nel settore degli alcolici. Gran parte dell’élite russa – sia gli avversari sia gli alleati di Vladimir Putin – si è comprata l’accesso all’Unione europea.
Fin dai primi tempi, a Malta era russo il 40 per cento di chi comprava passaporti. Due famiglie di imprenditori sauditi ne hanno ottenuti 62 in un colpo solo, nonostante l’Arabia Saudita proibisca la doppia cittadinanza. Un membro della famiglia reale saudita è perfino riuscito a convincere il capo del governo maltese a non pubblicare il suo nominativo, come sarebbe previsto dalla legge.
Alla fine del 2019 l’esecutivo di Muscat è caduto sotto le accuse di corruzione che riguardavano i legami del suo capo di gabinetto, Keith Schembri, con la società finanziaria 17 Black, di cui si era occupata anche Caruana Galizia, oltre che per questioni relative al ruolo di Schembri nell’omicidio della giornalista.
Può darsi che di tanto in tanto abbiano lavorato per qualche “cattivo”, mi spiega Kälin, ma del resto sono cose che capitano. Alle banche succede lo stesso: tra migliaia di clienti si nasconde sempre qualche mela marcia.
Legalmente Kälin non risponde delle naturalizzazioni, visto che, a voler essere precisi, la Henley & partners è solo un’azienda d’intermediazione. “I consulenti fanno le consulenze, ma sono gli stati a decidere”, chiarisce Kälin.
Ma se uno stato si guadagna la fama di paese che ospita gente sospetta, ne pagano le conseguenze i cittadini: viaggiare diventa più complicato, perché vengono meno le esenzioni dall’obbligo di visto. E poi diventano più complicati i bonifici internazionali, perché istituzioni come l’Ocse o il Fondo monetario internazionale, sospettando che vi si ricicli denaro sporco, inseriscono il paese nella lista grigia o in quella nera. I flussi finanziari subiscono delle limitazioni e i pagamenti provenienti dal paese in questione sono sottoposti a controlli più rigidi o addirittura vietati. Nel 2021 Malta è temporaneamente finita in una “lista grigia”.
La Commissione europea ha nominato un gruppo di esperti per studiare i rischi della cittadinanza ottenuta grazie a un investimento
12. L’Unione europea fa muro
Il caso dei passaporti ha creato una serie di problemi che hanno alimentato critiche nel parlamento europeo. Già quando a Malta era stato istituito il programma, in Europa si era formato un fronte contrario, che però inizialmente aveva registrato scarsi successi. Il punto di partenza era chiaro. Sono decenni che l’Unione europea pubblicizza la cosiddetta cittadinanza europea, una sorta di premio per i cittadini, una specie di aggiornamento dei passaporti dei paesi membri: libera circolazione delle persone, diritto di residenza, diritto di voto, divieto di discriminazione. Ed ecco che arrivano gli intermediari dei passaporti che sui loro siti offrono gli stessi vantaggi per un milione di euro circa.
Perciò, già nel gennaio 2014, cioè quando è stato avviato il programma di Malta, l’allora vicepresidente della Commissione europea Viviane Reding dichiarava: “La cittadinanza non può essere messa in vendita”. Insolitamente coeso, il parlamento europeo ha approvato, con l’88 per cento di voti a favore, una risoluzione contro i passaporti d’oro in cui si chiedeva che la naturalizzazione fosse accessibile solo a fronte di un genuino legame con il paese in questione.
A questo punto ci si è domandati cosa debba intendersi per “genuino legame”, questione da tempo controversa nel diritto costituzionale. Sono infatti gli stati stessi a stabilire chi ne sia cittadino: è una loro prerogativa sovrana. Formalmente, solo la Commissione europea potrebbe imporre agli stati membri obblighi in materia, ma quest’organo è composto da rappresentanti dei governi che, se dovessero cercare di porre dei limiti alla cittadinanza nazionale, si darebbero la zappa sui piedi. La questione è delicata.
Così a Bruxelles si è scatenato un conflitto tra il parlamento e la commissione. Lo stallo ha rivelato la mancanza di democrazia nel cuore d’Europa. Il parlamento, l’organo che rappresenta il popolo, non è sovrano: ha poteri limitati. Dopo numerose indagini, nel marzo 2019 la Commissione europea ha nominato un gruppo di esperti per studiare i rischi legati alla cittadinanza ottenuta grazie a un investimento.
Probabilmente le cose sarebbero andate avanti così ancora per molto se, nell’agosto 2020, alcuni giornalisti di Al Jazeera non avessero svelato quanto il programma passaporti di Cipro fosse permeabile alla corruzione. Kälin non ha partecipato alla sua creazione, ma anche in questo caso la sua azienda ha fatto da intermediaria. Con la richiesta di 2,15 milioni di euro per conferire una cittadinanza, Cipro era molto più cara di Malta, eppure andava per la maggiore tra cinesi e russi: le naturalizzazioni sono state quasi settemila, il quadruplo di quelle maltesi.
A Cipro, stato membro dell’Unione europea, ci sono interi quartieri russi: Limassol è diventata Limassolgrad. E, proprio come a Saint Kitts e Nevis, con l’immigrazione degli investitori sono spuntati gli alberghi di lusso. Nel 2019 questi flussi di denaro costituivano il 4,5 per cento del pil dell’isola.
Grazie a telecamere nascoste, Al Jazeera ha filmato intermediari di passaporti, agenti immobiliari e il presidente del parlamento cipriota che si lasciavano corrompere. In seguito, una commissione d’inchiesta ha scovato errori procedurali in oltre metà delle pratiche di naturalizzazione esaminate, portando al ritiro di decine di passaporti e a volte anche delle relative cittadinanze. A quel punto, nel settembre 2020, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha dichiarato: “I valori europei non sono in vendita”. Contro Cipro e Malta è stata avviata una procedura d’infrazione e i ciprioti hanno congelato il programma, smettendo di accettare nuovi clienti.
Tra il 2020 e il 2021 la pandemia ha paralizzato il traffico aereo e le attività di tante istituzioni in tutto il mondo. Gli intermediari non sono più riusciti a procurare passaporti ai loro clienti, creando liste d’attesa, mentre la politica zero-covid della Cina e il controllo crescente delle autorità di Pechino sui cittadini hanno provocato l’azzeramento della domanda cinese. Gli affari, come mi spiega Kälin, hanno subìto un calo del 70 per cento.
Il 24 febbraio 2022 la Russia ha invaso l’Ucraina. Dopo soli due giorni, il 26 febbraio, la Casa Bianca, in una dichiarazione congiunta con la Commissione europea, la Francia, la Germania, l’Italia, il Regno Unito e il Canada, ha chiesto di sospendere la vendita di cittadinanze ai russi. I paesi al centro di questa pratica sono finiti nel mirino. A giugno la Svizzera ha reintrodotto l’obbligo di visto per i cittadini di Vanuatu che avevano ottenuto il passaporto dopo il 2015, mentre l’Unione europea aveva già fatto la stessa cosa a marzo. La Bulgaria ha fermato il suo programma per il conferimento dei passaporti.
L’Austria invece è riuscita a tenersi alla larga da tutto, perché il suo programma passaporti non è mai stato formalizzato ufficialmente. Restava solo Malta. In un videomessaggio del 10 maggio 2022 il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj ha chiesto al parlamento maltese di ritirare i passaporti d’oro ai russi e di sequestrarne i beni. Malta ha deciso di non procedere a nuove naturalizzazioni di cittadini russi e bielorussi (con conseguente afflusso di russi in Turchia), ma ha rifiutato di rinunciare al programma passaporti. Il 29 settembre 2022 la Commissione europea ha deciso finalmente di citare Malta di fronte alla Corte di giustizia dell’Unione europea. A otto anni dal suo più grande successo, Kälin sembrava giunto al capolinea. O forse no?
13. Al World economic forum
Una mattina del maggio 2022 assisto ai lavori del World economic forum (Wef) di Davos, in Svizzera, dove mi ha invitato Kälin, perché vuole dimostrarmi che la sua attività delle cittadinanze non è affatto al tramonto, ma sta per registrare un nuovo boom. Per questo mi permette di presenziare ad alcune trattative segrete. Prima, però, mi fa firmare un accordo di riservatezza, un non disclosure agreement (nda), che mi vieta di rivelare con chi abbia parlato in quei due giorni.
Ci incontriamo all’Hard Rock hotel di Davos. Kälin si è assicurato per più giorni la disponibilità di un tavolo rotondo nel ristorante. Come sempre ha la sua spilla appuntata alla giacca.
I rappresentanti dei governi arrivano uno dopo l’altro. Ogni mezz’ora vengono servite nuove portate: caffè, insalata di avocado
“Una volta avevamo uno stand al Wef”, racconta, “ma poi mi sono reso conto che non ne abbiamo bisogno. Sono i governi a venire da me”. A Londra ne riceve i rappresentanti sempre nello stesso albergo; a Zurigo, invece, i premier lo raggiungono in un caffè con i tavoli da biliardo. “Siamo un’azienda piuttosto piccola, solo quattrocento dipendenti. Ma contiamo quanto un grande gruppo”. In effetti i rappresentanti dei governi arrivano uno dopo l’altro. Ogni mezz’ora vengono servite nuove portate: caffè, insalata di avocado, hamburger. Per prima cosa Kälin consegna ai suoi ospiti il volume promozionale che ha scritto e pubblicato, , illustrato con i ritratti di clienti raggianti ed estatici membri di vari governi. È sempre la stessa storia: premier, capi di gabinetto o ministri degli esteri di piccoli stati a caccia di denaro per rimpinguare le casse.
Kälin esegue i suoi giochi di prestigio matematici: 600-700 passaporti all’anno, spiega, sono 150 milioni in investimenti diretti e 300 per il mercato immobiliare. Una potenziale cliente ben informata chiede notizie sulla Macedonia del Nord: anche lì è possibile ottenere la naturalizzazione, ma chi sono i nuovi cittadini che arrivano nel paese? Cinesi e asiatici soprattutto, risponde un collaboratore, ma il programma è nuovo e i dati scarsi. Tutti annuiscono. Nessuno ha scrupoli morali, ma tutti i governi temono di finire sulle liste grigie o di essere espulsi da alleanze e unioni di stati. “Bastano dieci casi problematici sfuggiti alla due diligence ed ecco che l’Unione europea comincia a fare pressioni”, spiega Kälin. “Poi, però, fa entrare centinaia di migliaia di migranti all’anno senza procedere ad alcun controllo e senza fare una piega”.
Kälin è nel suo elemento: ha sempre la soluzione pronta. In un caso consiglia di cambiare nome al programma passaporti, vendendolo come un’iniziativa dedicata ai talenti digitali. In un altro cerca di capire se una persona critica che lavora per l’Ocse costituisca un pericolo reale. Kälin conosce i suoi avversari. Dieci dei suoi sono in viaggio tutto l’anno per tenere i contatti con i vari governi.
Quando se n’è andato l’ultimo ministro degli esteri, Kälin è soddisfatto: “A questo paese abbiamo fatto la posta per vent’anni, come la tigre con l’antilope”.
All’improvviso, nel pomeriggio del secondo giorno, dopo un incontro abbastanza deludente in cui un premier gli ha dato buca, salta su tutto contento: ha ricevuto una notizia da un grande paese. Stavolta siamo noi a muoverci: risaliamo in fretta la Dorfstrasse di Davos ed entriamo in quello che sembra un negozio. Ci fanno accomodare in una stanza sul retro. “Portami quel miliardo”, esclama il ministro di uno stato europeo quando Kälin entra. “Sono il fan numero uno del tuo progetto, davvero, il fan numero uno. Vogliamo assolutamente il tuo programma nel nostro paese”. Kälin sorride. “Ma il nostro problema”, prosegue il ministro, “è il nostro capo del governo. E il nostro vero problema sono i ciprioti”. Si riferisce agli episodi di corruzione filmati da Al Jazeera. Ci sediamo e il ministro guarda divertito i presenti: “Insomma, si è visto quello che facevano: consigliavano alla gente, ai criminali, di cambiare nome! È tutto in video!”.
I suoi accompagnatori scoppiano a ridere. Si vedrà se i ciprioti saranno obbligati a pagare e a quanto ammonterà la multa. “Ma no, non dovranno pagare…”.
Kälin soppesa la questione con l’aria di chi sa. Il ministro lo interrompe: “Sai cosa penso io? Noi non produciamo automobili, ma abbiamo una certa qualità di vita da offrire. Fammi la cortesia di portarci qualche miliardario, fallo sistemare direttamente in villa”.
Kälin vuole andare al sodo, ma quando comincia a illustrare il suo piano per istituire il nuovo programma il ministro scuote la testa: “Tutto questo non ci aiuta a superare Cipro”. Kälin si appoggia allo schienale: “Stiamo negoziando con altri due paesi dell’Unione europea”. Il ministro sbuffa: “Se un programma del genere lo offrisse l’Austria, insieme a noi e ad altri due paesi, be’, allora sì che cambierebbe tutto!”.
“Proprio così”, replica Kälin. “A quel punto l’Unione europea dovrebbe rassegnarsi”.
14. L’uomo di Kälin a Bruxelles
Poco prima che l’Unione europea decida di portare Malta in tribunale, chiedo a Kälin se sia preoccupato per i suoi affari, visto che la Commissione ha appena mandato a Malta e Cipro le richieste formali di conformarsi al diritto comunitario, il passo che precede il processo. Kälin resta sul vago e io mi ricordo che nell’elenco dei suoi esperti legali che mi ha fatto avere figura il suo amico Dimitry Kochenov, con cui mi ha messo in contatto in occasione di una conferenza a Bruxelles. Kochenov sembra un Einstein dai capelli rossi: indossa volentieri doppiopetto e papillon colorato, è considerato un genio del diritto costituzionale europeo e odia i passaporti. Tiene conferenze e pubblica libri per spiegare che quello di cittadinanza è un concetto razzista, che collega sangue e suolo, perché in genere dipende dalla nazionalità dei genitori e quindi passa per i legami di sangue.
Il nostro benessere materiale dipende dalla cittadinanza di nascita più che da qualsiasi altra cosa, mi ha detto quando l’ho incontrato a un congresso di intermediari dei passaporti, durante il quale ha tenuto un discorso incendiario.
Kochenov è il padre spirituale degli intermediari dei passaporti, che lo adorano perché giudica positivamente il loro modello aziendale. Paragona la cittadinanza a un matrimonio forzato, una forma di schiavitù.
E qualsiasi scappatoia da un obbligo del genere è un fatto positivo.
Ogni anno nel mondo si ottengono circa 25mila cittadinanze in cambio di denaro. Kälin comincia ad avere una certa concorrenza
Kälin ha conosciuto Kochenov nel 2011, all’aeroporto di Zurigo. Erano entrambi diretti a Malta: il governo della Valletta voleva sapere da Kochenov se il programma di cittadinanza per investitori che stava per lanciare violasse qualche norma. Secondo lui non ne infrangeva nessuna.
Da allora Kälin e Kochenov sono amici. Nel 2020 hanno pubblicato il quality of nationality index (qni), un indicatore sviluppato per valutare le cittadinanze basato su fattori come la libertà di circolazione o d’iniziativa economica.
Ma nel 2021 le pesanti critiche dovute alla sua partecipazione al programma maltese di conferimento dei passaporti, l’hanno costretto a lasciare l’università olandese dove insegnava. Adesso lavora alla Central european university di Vienna, in Austria.
Kochenov mi ha spiegato perché è improbabile che la Commissione europea riesca a limitare la vendita di cittadinanze gestita dagli stati membri. L’Unione europea, mi ha detto, è costituita da stati sovrani e privarli della possibilità di “dare forma” al proprio popolo significherebbe negarne la statualità, negare l’essenza stessa della sovranità popolare. E, in sintesi, senza stati sovrani non esiste associazione di stati, e quindi non esiste nessuna Unione europea.
L’affare delle cittadinanze è favorito proprio da questa lacuna del diritto internazionale. Ma Kochenov aveva anche altro da dire. “Ho un buon amico che lavora su questo in Commissione”, mi ha fatto sapere con un messaggio. “Se t’interessa una prospettiva dall’interno, ti metto in contatto con lui”.
Insomma, Kochenov, consulente di Kälin, ha rapporti diretti con l’ente regolatore del settore: il dipartimento giustizia della direzione generale della Commissione europea. Ovviamente m’interessava.
Il giorno dopo, su Zoom, ho parlato con l’amico di Kochenov, un giurista che scrive regolamenti europei nella Direzione generale della giustizia e dei consumatori (Dg Just) della commissione. Che sia anche per questo che Kälin affronta con tanta tranquillità l’azione legale intentata dall’Unione europea?
Incuriosito, ho cercato e trovato il suo nome nei documenti della Henley & partners pubblicati con la fuga di notizie: nel 2017 il consiglio d’amministrazione della Henley & partners lo aveva assunto come “consulente in materia di consulenze governative”. Trovo anche un versamento a suo favore, ma di soli novecento euro.
Sfoglio il Government advisory del 2018, il libro bianco che Kälin distribuisce ai governi in occasione delle consulenze. Effettivamente, il dipendente della Commissione europea qui figura come membro del Government advisory della Henley & partners, con tanto di biografia e foto. Ma né sul suo profilo dell’Unione europea né sulla sua pagina LinkedIn c’è traccia della collaborazione con la Henley & partners e tanto meno di un eventuale scambio di informazioni tra il funzionario europeo e l’azienda. È solo un’altra prova di quanto sia autorevole la rete di Kälin. Il 29 settembre 2022 la Commissione europea ha deciso di fare causa a Malta.
15. Più crisi, più passaporti
Secondo le stime di Kristin Surak, sociologa della London school of economics, ogni anno nel mondo si ottengono circa 25mila cittadinanze in cambio di denaro. Kälin comincia ad avere una certa concorrenza: arrivano sul mercato nuove aziende specializzate, come la Arton capital, la Latitude, la Cs global partners e la Apex capital partners. Ci sono anche grandi società di consulenza aziendale come la PwC. Nessuno sa bene quanto frutti l’intermediazione di visti e passaporti. Secondo l’Imc, l’associazione di settore cofondata da Kälin, il fatturato annuo ammonta a venti miliardi di dollari.
Surak ritiene che attualmente i paesi che vendono permessi di soggiorno – la cosiddetta residency by investment – siano circa settanta, tra cui quattordici stati membri dell’Unione europea. Quelli che offrono la cittadinanza – citizenship by investment – sarebbero invece “al massimo ventidue”.
L’Italia offre un Dolce visa, mentre dal 2012 più di undicimila investitori hanno comprato il visto d’oro portoghese, che costa mezzo milione di euro. Più di due terzi degli acquirenti erano cinesi, seguiti da alcune centinaia di turchi. In realtà, però, potrebbe trattarsi di russi che prima hanno comprato il passaporto turco e poi, grazie a quello, il visto portoghese, una combinazione che la Henley & partners consiglia a molti suoi clienti.
Poi ci sono milioni di persone che grazie ai propri antenati europei – per alcuni paesi fino alla terza generazione – hanno diritto, almeno in teoria, ad acquisire la cittadinanza. Indipendentemente dalla decisione che prenderà la Corte di giustizia, per chi ha denaro a sufficienza le porte d’Europa resteranno aperte.
I ricchi si sganciano dai regimi autoritari, come quello cinese, o dalle democrazie a rischio come Hong Kong, India e Brasile. Con la guerra in Ucraina la tendenza si è rafforzata. Uno studio della Henley & partners stima che nella prima metà del 2022 abbiano lasciato il loro paese quindicimila dei circa centomila milionari russi, mentre l’Ucraina avrebbe perso il 42 per cento dei suoi super ricchi.
Ultimamente, però, sono sempre più i clienti provenienti dal Regno Unito e dagli Stati Uniti. Sempre secondo la Henley & partners, dopo la Brexit il Regno Unito ha perso migliaia di milionari. Invece i clienti statunitensi, mi ha spiegato Kälin, spesso sono democratici che temono per la stabilità del paese.
Non solo: nell’ottobre 2022 il New York Times ha svelato che anche Peter Thiel, imprenditore dell’alta tecnologia e finanziatore di esponenti radicali del Partito repubblicano, è in attesa del passaporto maltese. Il giornalista Ryan Mac ha rintracciato su Airbnb l’appartamento di La Valletta in cui Thiel ha dichiarato di risiedere.
Il fatto che anche questo tipo di clientela consideri la cittadinanza di riserva come una forma conveniente di assicurazione potrebbe essere un indicatore della perdita di fiducia delle élite nel futuro degli stati nazione. O magari una prova del fatto che la filosofia postnazionale di Kochenov, che vorrebbe separare cittadinanza e suolo, stato e cultura, non è più marginale. “Siamo i turchi di domani”, cantavano profetici i Daf, gruppo di musica elettronica tedesca.
Quando gli ho chiesto se Thiel sia un suo cliente, Kälin non ha commentato. Ma di esperienza con aziende tecnologiche ne ha: come si evince dalla documentazione in possesso di Das Magazin, già nel 2012 la Henley & partners ha procurato la cittadinanza di Saint Kitts e Nevis a Pavel Durov, fondatore e sviluppatore dell’app di messaggistica Telegram, che si era messo contro i servizi segreti russi. Su Instagram, Durov mostra la sua vita nel jet set, definendosi legal citizen of the world. Durov ha ottenuto due cittadinanze che non si possono comprare: quella francese e quella degli Emirati Arabi Uniti.
In tanti articoli critici sui programmi di conferimento dei passaporti si dimentica che sono i cittadini il vero capitale di uno stato: avere legami con persone particolarmente influenti può essere un successo per uno stato, una mossa geopolitica importante.
Verso la fine dell’autunno del 2022, l’umore di Kälin è ottimo: si aspetta incassi record e anche il nuovo governo italiano di destra guidato da Giorgia Meloni lo fa ben sperare. Quelli sono pragmatici, auspicano una “migrazione positiva”. A novembre va a Roma.
Kälin viaggia sempre molto, va in Albania, in Montenegro. Spera di istituire nuovi programmi di conferimento passaporti nei Balcani. Una volta mi ha proposto di accompagnarlo in Africa: la Henley & partners si sta espandendo in Kenya, Nigeria e Sudafrica. Il prossimo colpo grosso vorrebbe farlo in Nordafrica. Vorrebbe dar vita alla Andan global city, una città stato sovrana destinata ad accogliere i profughi che nessuno vuole e che non possono comprarsi una cittadinanza. Insomma, Kälin vuole fondare uno stato. Con passaporti tutti suoi.
Ormai immagina anche di fare da intermediario per l’ottenimento della cittadinanza svizzera. Al momento la richiesta di permesso di soggiorno di cittadini extraeuropei benestanti segue un iter “complicato e poco trasparente” e bisognerebbe coltivare i contatti con le istituzioni locali. Secondo Kälin, alla Svizzera un programma di naturalizzazione potrebbe fruttare miliardi.
Ovviamente, mi spiega, il passaporto svizzero dovrebbe essere il più esclusivo al mondo. Il prezzo? Almeno dieci milioni di franchi. Con quei soldi si potrebbero garantire le pensioni, per esempio. “Bisognerebbe proporre una legge d’iniziativa popolare”. ◆ sk
Hannes Grassegger è un giornalista investigativo svizzero. Dirige il sito d’informazione Polaris.
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Questo articolo è uscito sul numero 1522 di Internazionale, a pagina 48. Compra questo numero | Abbonati