Lee Kuan Yew, il fondatore dello stato di Singapore, era uno che parlava chiaro. Anche quando si trattava di esporre la sua idea di stato sociale: “La sostanza è che devi lavorare”, disse qualche anno prima della sua morte, avvenuta nel 2015. “Non ti paghiamo per startene con le mani in mano”. Presto, però, a Singapore ci sarà un cambio di rotta.

Il 15 maggio in questo stato con sei milioni di abitanti è stato nominato primo ministro – la seconda carica politica più importante dopo quella del presidente – Lawrence Wong, che succede a Lee Hsien Loong, figlio del fondatore Lee Kwan Yew e primo ministro per vent’anni. Wong ha annunciato, quasi con un tono di scusa, una drastica rottura con il passato: Singapore, una città che ha più milionari di Londra e un reddito pro capite di poco superiore a quello degli Stati Uniti, introdurrà il sussidio di disoccupazione. Una notizia clamorosa, tenendo conto che la fondazione conservatrice statunitense Heritage ha definito quella di Singapore “l’economia più libera al mondo”. In passato il governo della città-stato asiatica aveva dichiarato che non avrebbe mai introdotto una misura simile, ha ammesso Wong in un’intervista al quotidiano filogovernativo The Straits Times. Ma ora che “il contesto economico è diventato più volatile” e il rapido cambiamento tecnologico minaccia molti posti di lavoro, ha aggiunto il primo ministro, “sentiamo che è necessario avere una qualche forma di assistenza”.

Per capire la portata di questa novità basta dare uno sguardo agli scritti di Lee Kwan Yew, sempre in bella mostra nelle librerie della città. Nel 2000 il “pioniere del capitalismo autoritario”, com’era spesso etichettato, aveva parlato della presenza nella società di “irresponsabili o incapaci”, dichiarando che sarebbero stati aiutati solo “quelli senz’altra scelta”. Per Lee Kwan Yew il modello di Singapore era l’opposto di quello occidentale, “dove i liberali incoraggiano le persone a rivendicare spudoratamente i loro bisogni”.

Tuttavia, considerando la “profonda insoddisfazione” dell’attuale classe impiegatizia di Singapore, forse lo stesso Lee Kwan Yew non avrebbe valutato negativamente l’idea di un sussidio di disoccupazione, sostiene Walter Theseira, economista della University of social sciences di Singapore. Se la misura è stata più volte rinviata e il governo non ha ancora fornito dettagli sull’importo dell’indennità né sulla durata dei pagamenti, lo si deve anche al fatto che si riscontra una notevole “resistenza” alle riforme. “L’ideologia di base qui è: non paghiamo le persone per non fare niente”, osserva Theseira.

Ma è proprio questo che sta per cambiare. Da quello che Theseira ha appreso negli ambienti di governo, il sussidio di disoccupazione dovrebbe essere “molto al di sotto del salario mediano” locale, che lo scorso anno è stato di 5.197 dollari di Singapore al mese, circa 3.566 euro. L’ipotesi è quella di una cifra intorno ai tremila dollari (2.060 euro). Il sussidio sarebbe pagato per almeno sei mesi e forse anche più a lungo, se associato a percorsi obbligatori di formazione professionale.

Un periodo di riposo

Il governo per ora non ha comunicato quando entrerà in vigore la misura, forse per timore delle prossime elezioni parlamentari, che dovrebbero svolgersi non più tardi del novembre 2025. Si discute ancora sull’entità del sussidio, dice Theseira. Da un lato le autorità non vogliono incoraggiare chi è senza lavoro a prendersi un periodo di riposo e a non accettare nuove offerte. “D’altra parte, l’importo non dev’essere così basso da diventare una cifra ridicola oggetto di attacchi durante la campagna elettorale”. L’unica cosa apparentemente certa è che l’indennità sarà finanziata attraverso il bilancio pubblico, dato che le autorità non vogliono aumentare i contributi né ai dipendenti né ai datori di lavoro.

Potrebbe sorprendere che il governo di Singapore nutra dei dubbi sulla rielezione, dato che il Partito d’azione popolare (Pap) è al potere senza interruzioni dalla fondazione dello stato. Secondo il gruppo di ricerca statunitense Freedom house, il partito al governo gode di vantaggi ingiusti rispetto ai due partiti d’opposizione, come il controllo dei mezzi d’informazione.

Tuttavia le elezioni e il conteggio dei voti in genere si svolgono senza frodi. Per questo molti osservatori ritengono possibile che il Pap possa uscire perdente dalle prossime elezioni. Anche il primo ministro uscente Lee Hsien Loong ha messo le mani avanti su un’eventuale sconfitta. Già nel 2023 fu lui il primo a parlare d’indennità di disoccupazione. Il motivo risiede probabilmente in un sondaggio condotto nella città-stato: quasi il 40 per cento degli intervistati afferma di aver paura di perdere il lavoro, un aumento significativo rispetto ai precedenti sondaggi, dove solo il 25 per cento dei cittadini era preoccupato.

I dati ufficiali dicono che a Singapore la disoccupazione è all’1,9 per cento. Questo numero, tuttavia, nasconde il fatto che molte persone rimaste senza lavoro ne accettano subito un altro pagato meno per non trovarsi alle prese con problemi finanziari, spiega Theseira. In realtà anche a Singapore esistono già oggi dei sussidi statali, ma solo per i lavoratori a basso reddito o poco qualificati. Inoltre quasi nessuno ne è a conoscenza, dato che sono a malapena pubblicizzati. La conseguenza è che soprattutto nella fascia dei professionisti tra i quaranta e i cinquant’anni ci sarebbero molte persone che esercitano un’attività al di sotto delle loro qualifiche e che si sentono “insoddisfatte”.

Ormai i tempi della crescita economica vertiginosa sembrano finiti: nel 2023 è stata dell’1,1 per cento, mentre per l’anno in corso la stima del Fondo monetario internazionale è del 2,1 per cento. Se il commercio globale registrasse una battuta d’arresto come nel 2023, per lo snodo logistico di Singapore sarebbe un disastro. Ma è soprattutto il “progresso tecnologico” a far paura nella città con il costo della vita più alto del mondo. È il motivo citato anche dal nuovo primo ministro Wong per giustificare i sussidi ai disoccupati: una persona su due è convinta che l’intelligenza artificiale renderà il suo lavoro superfluo. È questo probabilmente il motivo principale per cui Singapore si prepara a rompere con un tabù inviolato per sessant’anni. ◆ nv

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Questo articolo è uscito sul numero 1564 di Internazionale, a pagina 100. Compra questo numero | Abbonati