Con l’uccisione dell’ex primo ministro Shinzō Abe, l’8 luglio durante un comizio elettorale a Nara, si è chiusa un’era politica segnata dall’equilibrio tra l’ideologia conservatrice e il pragmatismo. Da giovane parlamentare del Partito liberaldemocratico (Pld), Abe si era opposto all’adozione dei collegi uninominali per le elezioni della camera bassa del parlamento. I collegi plurinominali avevano consentito vivaci dibattiti all’interno del partito, mentre, dal suo punto di vista, il passaggio agli uninominali non solo limitava la scelta di candidati per gli elettori, ma portava anche a una stasi politica.
Nel percorso che lo avrebbe portato a diventare primo ministro, tuttavia, Abe aveva dimostrato una grande abilità nel trarre vantaggio dal sistema uninominale, che ha la tendenza a concentrare il potere al vertice. Era stato vicecapo segretario di gabinetto e segretario generale del Pld con il primo ministro Junichirō Koizumi. Inoltre, fin dalle prime fasi della sua carriera politica, negli anni novanta, era stato coinvolto nella questione dei rapimenti di alcuni cittadini giapponesi da parte di spie nordcoreane tra gli anni settanta e ottanta acquisendo agli occhi dell’opinione pubblica la fama di esperto di sicurezza nazionale. Le sue opinioni e le sue posizioni conservatrici lo avevano fatto entrare nella rosa dei possibili candidati alla carica di primo ministro.
Una volta diventato capo del governo, la stabilità sul fronte della politica interna, assicurata dai collegi uninominali e da uno stile di governo calato dall’alto, insieme a una personalità da conservatore erano state fondamentali per assicurargli un’influenza diplomatica sui leader stranieri. Abe dava la priorità ai rapporti tra il Giappone e gli Stati Uniti e si distinse per la sua capacità di costruire relazioni personali con l’ex presidente Donald Trump e con altri leader occidentali. Ma il suo acume diplomatico era emerso soprattutto nella gestione dei rapporti con la Cina e con altri paesi asiatici.
All’inizio della sua esperienza come premier, nel 2006, Abe aveva scelto la Cina e la Corea del Sud come destinazioni delle sue prime visite all’estero. Durante il governo del suo predecessore Koizumi i rapporti con entrambi i paesi si erano indeboliti. La scelta di rafforzare le relazioni con i vicini mantenendo come priorità il consolidamento del legame con Washington e la stabilità nella regione indo-pacifica era simile alla strategia di un altro falco del Pld, Yasuhiro Nakasone, primo ministro negli anni ottanta. Quel viaggio era stato una mossa per rompere il ghiaccio, ma l’anno successivo Abe si era dimesso dopo pesanti sconfitte parlamentari e scandali che avevano coinvolto esponenti del governo, oltre che per le sue condizioni di salute.
Il secondo mandato
Sei anni dopo era stato eletto alla guida del Pld, che all’epoca ambiva a tornare al governo. Nel suo secondo mandato da primo ministro, cominciato alla fine del 2012, Abe si era dedicato di nuovo ai rapporti con la Cina.
Le tensioni con Pechino erano aumentate quell’autunno, dopo che il governo guidato dal democratico Yoshihiko Noda aveva nazionalizzato le isole Senkaku, amministrate dal Tokyo ma rivendicate da Pechino con il nome di isole Diaoyu. Negli anni tra i due mandati di Abe, inoltre, il Giappone aveva vissuto una forte instabilità politica. Intravedendo in lui la possibilità di un governo stabile, Pechino aveva seguito con attenzione il ritorno di un leader dotato di prestigio politico, pur continuando a guardare con sospetto alla sua ideologia. Internamente Abe si spendeva le sue credenziali conservatrici, ma rispetto alle dinamiche della politica internazionale si dimostrava un realista.
◆ L’8 luglio 2022 a Nara, mentre parlava a un comizio a sostegno del candidato locale del Partito liberaldemocratico (Pld) alle elezioni per il rinnovo di metà della camera alta del parlamento, l’ex primo ministro giapponese Shinzō Abe è stato ucciso. Tetsuya Yamagami, 41 anni, gli ha sparato due colpi con un’arma da fuoco fabbricata in casa. L’uomo, un operaio disoccupato che aveva lavorato tre anni nelle forze di autodifesa (le forze armate giapponesi), ha confessato di aver voluto uccidere Abe perché lo credeva vicino all Chiesa dell’unificazione, la setta religiosa fondata in Corea del Sud dal reverendo Moon, di cui la madre di Yamagami era una seguace. L’assassino era convinto che il nonno di Abe, l’ex primo ministro Nobusuke Kishi, avesse aiutato il gruppo religioso ad approdare in Giappone. Yamagami, orfano di padre da quand’era bambino, ha raccontato che la madre è finita sul lastrico a causa delle donazioni alla setta.
L’uccisione di Abe, che dopo quasi otto anni al governo si era dimesso nel 2020 ufficialmente per motivi di salute, ha sconvolto il paese, dove il livello di violenza nella società è minimo e i delitti con armi da fuoco sono rari. L’omicidio è avvenuto due giorni prima delle elezioni, in cui il Pld di Abe e del primo ministro Fumio Kishida ha ottenuto la maggioranza dei seggi alla camera alta. L’affluenza è stata di poco superiore al 52 per cento, in leggero aumento rispetto alle ultime votazioni. Kyodo News
Facendo tesoro della sua precedente esperienza da primo ministro, Abe si era liberato dei suoi nemici attraverso nomine ad hoc e la facoltà di sciogliere la camera bassa indicendo elezioni a sorpresa. Alla fine del 2013, come aveva promesso, aveva visitato il santuario di Yasukuni, dove sono onorati i caduti sui campi di battaglia, tra cui vari criminali di guerra, attirandosi così le critiche di Pechino e Seoul e destando lo stupore degli Stati Uniti per un gesto “che avrebbe esacerbato le tensioni con i vicini”. Per il resto del suo mandato, però, aveva evitato di tornarci. Dopo la morte di Abe, un portavoce dell’ambasciata cinese a Tokyo ha detto che l’ex primo ministro aveva contribuito a migliorare i rapporti tra Cina e Giappone.
Abe aveva giocato un ruolo simile nei rapporti con la Corea del Sud, anche se in seguito quei legami si sarebbero deteriorati. Nel 2015 era arrivato a un accordo con la presidente sudcoreana Park Geun-hye per risolvere la questione dei risarcimenti alle donne coreane usate come schiave sessuali dall’esercito nipponico durante l’espansione del Giappone in Asia e la guerra del Pacifico. Quando alla conservatrice Park era subentrato il progressista Moon Jae-in, Abe l’aveva incontrato alla cerimonia inaugurale delle Olimpiadi invernali di Pyeongchang nel 2018, nonostante le obiezioni della base conservatrice del Pld.
Due anni dopo le dimissioni da primo ministro, Shinzō Abe era ancora il politico giapponese più influente. Nipote di Nobusuke Kishi, condannato come criminale di guerra dopo il secondo conflitto mondiale e poi riabilitato e diventato primo ministro nel 1957, e figlio di Shintarō Abe, ministro degli esteri negli anni ottanta, era sempre stato fedele agli ideali nazionalistici del nonno: era legato alla Nippon Kaigi, un’associazione di estrema destra molto potente. Abe era stato il premier giapponese a rimanere in carica più a lungo e era a capo della fazione principale all’interno del Partito liberaldemocratico (Pld). Eletto al senato nel 2021, guidava la corrente conservatrice del parlamento favorevole alla revisione della “costituzione pacifista” giapponese.
L’articolo 9 della carta, imposto dagli statunitensi dopo la guerra, impedisce al Giappone di avere delle forze armate, se non in funzione difensiva. Alle elezioni del 10 luglio 2022 il blocco favorevole alla modifica della costituzione ha ottenuto i due terzi dei seggi in parlamento, necessari per approvare un’eventuale riforma.
Il primo ministro Fumio Kishida, dopo il successo alle urne, ha promesso di “portare avanti l’eredità di Abe e di perseguire i difficili obiettivi che l’ex premier non ha visto realizzati, come la riforma della costituzione”, scrive il Nikkei Asia. In realtà, spiega l’agenzia Jiji, secondo molti analisti l’ala conservatrice del partito, orfana di Abe, non ha sostituti dello stesso peso. Nel 2012 Abe lanciò il suo piano per sollevare l’economia giapponese dalla stagnazione, l’Abenomics, basato sull’aumento della spesa pubblica, stimoli fiscali, il quantitative easing e riforme strutturali del mondo del lavoro che hanno aumentato l’occupazione ma anche il precariato. L’Abenomics “è stato un successo come esercizio di branding politico”, scrive la Bbc, ma non ha raggiunto gli obiettivi economici che si era prefissato e nel 2020 il Giappone è tornato in recessione.
Il suo secondo mandato da primo ministro era stato all’insegna del nazionalismo e del pragmatismo sia nella politica interna sia in quella estera. E il sostegno della sua base conservatrice era stato un fattore cruciale nella sua lunga permanenza al potere: i test nucleari e missilistici nordcoreani e l’ascesa della Cina come potenza militare avevano modificato le posizioni dell’opinione pubblica giapponese in materia di sicurezza, facendo guadagnare popolarità ad Abe.
Dopo di lui
Da primo ministro Abe si imponeva come presenza forte e aveva continuato a influenzare la politica anche dopo essersi dimesso per la seconda volta, nel 2020, ufficialmente per motivi di salute. Ora che l’era di Abe è finita, cosa succederà?
Questo potrebbe essere un buon momento per fermarsi e considerare altre possibilità rispetto al sistema elettorale in vigore da quasi trent’anni, in cui i collegi uninominali si combinano con una rappresentanza proporzionale. Per esempio, un sistema bipartitico che potrebbe facilitare un cambiamento al potere.
Non si può ignorare il ruolo che Abe ha avuto nell’indirizzare il dibattito interno al Pld su questioni diplomatiche e di sicurezza nazionale. Mentre il Giappone cerca opportunità di dialogo e partenariato con altri paesi, i conservatori hanno perso la loro àncora e sono senza un successore.
L’invasione russa dell’Ucraina ha evidenziato la necessità per Tokyo di rinsaldare la sua partnership sulla sicurezza con Stati Uniti e Corea del Sud, data la vicinanza a paesi come Cina, Russa e Corea del Nord. Ad aprile, prima d’insediarsi come presidente della Corea del Sud, Yoon Suk-yeol aveva inviato una delegazione politica in Giappone per confrontarsi anche con Abe. In un periodo d’instabilità il Giappone rischia di vedere acutizzarsi sentimenti anticinesi e anticoreani. Così come Abe aveva affrontato il problema cercando di rafforzare la statura diplomatica del paese, i suoi successori dovranno trovare un modo per assicurarsi un sostegno interno in momenti cruciali. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1469 di Internazionale, a pagina 26. Compra questo numero | Abbonati