Questo semestre non mi sono iscritta ai corsi. Quando ho visto su Face­book che l’università islamica di Gaza aveva aperto le immatricolazioni online – dato che Israele ha distrutto il campus – ho valutato se iscrivermi. Ma alla fine ho rinunciato. Qui la situazione è terribile. Io sono sfollata in una tenda a Nuseirat, nel centro di Gaza, con altre venti persone. La connessione internet è lenta, intorno a me c’è sempre rumore, a volte dobbiamo scappare improvvisamente, la mia salute mentale è devastata. Sarebbe stato il mio terzo anno di studi in letteratura inglese. In circostanze normali l’inizio del semestre accademico è un periodo di speranze. Non quest’anno. Ora sono una studente rimasta bloccata al secondo anno.

L’anno scorso in questo periodo mi stavo iscrivendo ai corsi di lingua e letteratura inglese. Ho scelto questa facoltà perché spero di diventare insegnante. Ogni mattina le strade intorno al campus erano piene di studenti venuti da ogni parte della Striscia di Gaza. Io mi dirigevo all’edificio N per seguire le lezioni su Shakespeare e la poesia, sugli elementi del racconto breve, sulle tragedie di Sofocle, sull’arte della traduzione e sulla linguistica. Poi, durante le pause, incontravo gli amici per chiacchierare.

L’edificio N ora è completamente distrutto. È stato bruciato in un attacco israeliano. Anche la biblioteca dove trascorrevo ore a leggere e studiare non c’è più, così come l’edificio amministrativo, dove incontravo i professori nell’orario di ricevimento, e la sala conferenze, dove si svolgevano le cerimonie di laurea e le mostre degli studenti. La distruzione di questi edifici non è solo una perdita strutturale. È profondamente personale: ha cancellato ricordi e un modo di vivere. Ho nostalgia dei giorni in cui potevo perdermi nei libri.

Continuare a studiare ora sembra un atto di resistenza e rivendicazione. I ritmi della vita accademica sono stati stravolti. Sedersi a una scrivania e leggere è impossibile, ma è il simbolo di una vita passata che appare sempre più fuori portata. Penso allo scorso anno, quando ho recitato la poesia di Tamim al Barghouti, “A Gerusalemme”, al festival organizzato dal dipartimento di inglese, durante il quale gli studenti declamavano poesie, cantavano o mettevano in scena opere teatrali. Ricordo l’orgoglio che ho provato sul palco. Mi sentivo piena di speranza e convinta che la vita che immaginavo sarebbe diventata realtà.

Rituale mattutino

Non mi sono iscritta all’università, ma continuo a studiare. Io e un mio amico abbiamo deciso di riservare i venerdì a parlare di quello che abbiamo imparato durante la settimana. Ogni mattina mi sveglio con i rumori delle esplosioni dell’artiglieria o con il brusio dei droni. Una luce tenue filtra attraverso i teli che dividono la nostra tenda. Mi alzo dal materasso steso a terra e procedo con il mio rituale mattutino. Per prima cosa mi siedo da sola per cercare un po’ di pace. Poi leggo le notizie in inglese e scrivo storie e poesie. È difficile fare le cose che prima erano normali. Caricare i libri sul telefono è diventato un’impresa. Le penne e i quaderni sono più costosi. Ma so che ogni riga che scrivo e ogni giorno impegnato a studiare è un atto di sfida alla distruzione che mi circonda. Con o senza una scrivania, una connessione affidabile, con o senza le mie penne, i miei post-it e la sicurezza che una volta davo per scontata, ora dedico tutta me stessa ai miei studi. ◆ fdl

Huda Skaik è una studente di letteratura inglese, una scrittrice e una videomaker. The Electronic Intifada è un sito indipendente di notizie sulla Palestina.

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Questo articolo è uscito sul numero 1580 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati