La sola prospettiva di un flusso di migranti afgani diretti verso i confini europei sta costringendo il continente a fare i conti con il suo tallone d’Achille: l’Europa non ha mai risolto la questione di come gestire i richiedenti asilo.
Sei anni fa l’Unione europea ha vissuto un periodo di aspre lotte interne perché non riusciva a gestire le richieste d’asilo dei profughi siriani. Nel 2015 più di un milione di persone ha attraversato il Mediterraneo raggiungendo l’Europa. I politici avevano promesso di introdurre riforme per creare un sistema che avrebbe gestito e distribuito i richiedenti asilo in modo efficiente in tutto il continente: volevano essere preparati per la prossima volta. Ma non è mai successo.

Oggi, mentre i taliban prendono il controllo dell’Afghanistan, quel fallimento incombe sui leader europei, e ha spinto funzionari e diplomatici a proporre soluzioni precipitose su come gestire l’aumento previsto di richiedenti asilo afgani. Le proposte sono tanto varie quanto frammentarie: costruire barriere al confine, finanziare il trasferimento dei profughi in paesi non europei come Turchia e Pakistan, offrire protezione immediata ma temporanea agli afgani. Alcuni paesi hanno già agito unilateralmente. La Grecia, per esempio, ha costruito quaranta chilometri di barriere e postazioni di sorveglianza lungo il suo confine.
Gli ambasciatori dell’Unione europea dovrebbero incontrarsi a breve per discutere una linea collettiva, ma il 21 agosto i leader europei avevano già dato un’anticipazione del loro piano: un mix tra finanziamenti per gli stati membri che accettino di accogliere i profughi e accordi con paesi esterni.
In ogni caso è evidente che la questione migratoria sta ancora una volta scombussolando l’Unione. E gli attivisti per i diritti umani sottolineano che tutta questa attenzione potrebbe in realtà danneggiare l’alleanza. Innanzitutto chi lavora nel settore sostiene che la maggioranza degli afgani in fuga si fermerà probabilmente nei paesi vicini, senza cercare di raggiungere l’Europa. Inoltre le ong ritengono che inquadrare la crisi afgana come un problema migratorio concederà un vantaggio ai paesi vicini (compresi Turchia, Bielorussia e Marocco), che usano i migranti come merce di scambio con l’Unione, per non parlare dei partiti di estrema destra europei. “Osservare questa crisi attraverso le lenti dell’immigrazione significa fare il gioco dell’estrema destra”, spiega Imogen Sudbery, direttrice europea dell’ong International rescue committee, che opera in Afghanistan dal 1988.
Dal 2015 i paesi dell’Unione hanno cercato – senza successo – di creare un sistema per la distribuzione equa dei richiedenti asilo. Nel 2020 la Commissione europea ha presentato una nuova proposta per la ridistribuzione, ma difficilmente avanzerà in tempi brevi.
Spesso in passato l’Unione ha scelto di esternalizzare il processo legato all’asilo. Nel 2016, nel pieno della crisi dei profughi siriani, l’Europa ha stretto un accordo con la Turchia: Ankara ha promesso di impedire ai migranti di attraversare l’Egeo in cambio di finanziamenti europei nell’ordine di svariati miliardi per progetti all’interno del paese.
Il 20 agosto hanno cominciato a circolare voci su un possibile nuovo accordo tra Bruxelles e Ankara. Anche se la Turchia non ha un confine diretto con l’Afghanistan, i diplomatici hanno discusso la possibilità che il paese svolga un ruolo nell’accogliere i profughi afgani. Un funzionario turco ha smentito questa possibilità. “Non esiste alcun accordo tra Turchia e Unione europea sui profughi”. Eppure anche un altro diplomatico ritiene che nei prossimi giorni cominceranno discussioni ad alto livello tra Bruxelles e Ankara. Il 22 agosto il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha fatto sapere su Twitter di aver affrontato l’argomento con il primo ministro turco Recep Tayyip Erdoğan.
◆ L’Iran ha allestito in tre province al confine con l’Afghanistan tende d’emergenza per i profughi, che però, ha fatto sapere il governo, “una volta migliorata la situazione, saranno rimpatriati”. Il Pakistan, nonostante le minacce di chiudere il confine se i taliban avessero preso il potere, ha lasciato aperto almeno uno dei valichi, attraverso cui migliaia di persone sono scappate. Negli ultimi giorni centinaia di afgani, tra cui anche ex soldati dell’esercito, sono fuggiti in Tagikistan. A luglio il governo tagico si era detto pronto a ricevere fino a 100mila profughi. Circa 1.500 persone hanno attraversato il confine con l’Uzbekistan e allestito un campo. Il Regno Unito prevede di ricevere 20mila profughi in cinque anni. Cinquemila dovrebbero potersi stabilire nel paese il prossimo anno, dando la priorità a donne, bambini e membri di minoranze religiose. Anche il Canada ne accoglierà 20mila, mentre gli Stati Uniti non hanno specificato un numero. A parte i visti speciali per i collaboratori dell’ambasciata e dei militari australiani in Afghanistan (da cui sono però esclusi i contractor), Canberra offrirà tremila posti nel suo programma di visti umanitari, senza però aumentare la quota totale di 13.570. Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, che sta facendo costruire un muro al confine con l’Iran, ha detto che “la Turchia non sarà il deposito di profughi dell’Europa”. Anche la Grecia ha costruito una barriera di 40 chilometri sul confine con la Turchia e installato un nuovo sistema di sorveglianza per impedire l’arrivo di profughi dall’Afghanistan. Macedonia del Nord, Kosovo e Albania ospiteranno temporaneamente, su richiesta degli Stati Uniti, qualche centinaio di profughi. La Corea del Sud accoglierà 380 collaboratori afgani, non come rifugiati ma come “persone di merito per il paese”. Bbc, Tolo News
La Turchia non è l’unico paese che potrebbe avere un ruolo nella crisi. Filippo Grandi, alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, ha previsto che “qualsiasi esodo” di profughi afgani sarà diretto probabilmente verso i paesi vicini, tra cui il Pakistan, l’Iran e il Tagikistan. Grandi ha sottolineato la necessità di inviare aiuti umanitari in quei paesi se la comunità internazionale vuole mantenere i profughi afgani vicino al loro paese. “Se gli aiuti verso questi stati non saranno consistenti c’è il rischio concreto che il movimento prosegua verso l’Europa”.
Il 22 agosto i leader europei hanno affrontato direttamente l’argomento durante la visita in una struttura spagnola che ospita gli ex collaboratori afgani di istituzioni europee evacuati da Kabul. Michel ha definito l’immigrazione un tema “spinoso” e ha accennato alla possibilità di collaborare con paesi esterni all’Unione. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha dichiarato che l’Unione europea aumenterà gli aiuti umanitari per l’Afghanistan, che attualmente ammontano a 57 milioni di euro per il 2021. Operare in Afghanistan presenta naturalmente una serie di difficoltà. I leader europei hanno sottolineato che qualsiasi assistenza umanitaria non può essere gestita dalle autorità locali. “Un’ipotesi potrebbe essere quella di verificare se i taliban possono contribuire, ma è difficile crederlo”, sottolinea il secondo diplomatico.
Nuove barriere
Nonostante le proteste di alcuni leader dell’Unione, lungo il confine di certi stati sono già state costruite barriere per impedire l’accesso ai migranti e qualcuno in Europa si chiede se i muri non debbano diventare una soluzione più comune. È un’eventualità particolarmente delicata per l’Unione.
Quando nel 2015 l’Ungheria costruì una barriera lungo il confine con Serbia e Croazia, la struttura diventò rapidamente il simbolo di una scorciatoia populista per affrontare un problema complesso come la migrazione. Nel frattempo, dall’altra parte dell’Atlantico, Donald Trump guadagnava consensi come candidato alle presidenziali promettendo di costruire un muro al confine con il Messico. All’epoca il presidente della commissione Jean-Claude Juncker criticò la decisione degli ungheresi dichiarando che “i muri e le barriere non hanno ragione di esistere in uno stato dell’Unione europea”.
Ma quella riluttanza sembra essere svanita progressivamente nel corso del tempo, purché le barriere non vengano costruite con denaro comunitario. La Commissione, per esempio, non ha criticato il governo lituano quando recentemente ha annunciato la costruzione di una barriera al confine per impedire alla vicina Bielorussia, governata dall’autocrate Aleksandr Lukašenko, di inviare migranti oltre il confine come atto di ritorsione per le sanzioni. Il portavoce della Commissione ha addirittura dichiarato che “data la situazione della Lituania una barriera di questo tipo potrebbe essere una buona idea”, pur chiarendo che il denaro comunitario non può essere usato per finanziare “barriere e strutture simili”.
Ora la Grecia ha deciso di costruire una barriera per fermare i migranti afgani. Il 21 agosto il ministro della protezione civile greco Michalis Chrysochoidis ha visitato il confine con la Turchia e ha promesso di mantenere la frontiera “sicura e impenetrabile”, precisando che Atene si sarebbe mossa in anticipo rispetto all’Unione europea. “Noi, in quanto paese europeo, facciamo parte delle istituzioni dell’Unione. Tuttavia, come stato, non possiamo aspettare le possibili conseguenze senza fare nulla”. Gli osservatori ricordano un momento cruciale nel marzo 2020, quando Von der Leyen, da poco insediatasi al vertice della Commissione, ha visitato la Grecia. Durante la visita la presidente ha ringraziato il paese definendolo “scudo d’Europa”.
All’interno dell’Unione c’è anche chi vorrebbe aiutare gli afgani a raggiungere l’Europa rapidamente e legalmente. Negli ultimi giorni la commissaria europea per gli affari interni, Ylva Johansson, ha invitato gli stati membri ad “aumentare le quote di accoglienza” per gli afgani. Von der Leyen ha inviato lo stesso messaggio, precisando che è “un dovere dell’Europa” accogliere i profughi afgani. La presidente ha promesso “i mezzi finanziari necessari” ai paesi europei che decidessero di “farsi avanti e accoglierli”.
Il capo della politica estera dell’Unione, Josep Borrell, ha ventilato un’idea ancora più ambiziosa. Durante un intervento al parlamento europeo Borrell (un socialista) ha citato la possibilità d’invocare una clausola dell’Unione mai usata e conosciuta come “direttiva di protezione temporanea”. La misura, introdotta nel 2001 durante la crisi dei rifugiati in Kosovo, offre protezione istantanea a una categoria di profughi e permette ai paesi dell’Unione di accoglierli su base volontaria. Diversamente da molte iniziative dell’Unione, la direttiva non richiede l’unanimità.
Il Consiglio, di cui fanno parte i 27 stati membri, può attivarla con un voto di maggioranza dopo una proposta della Commissione. “Questa potrebbe essere l’occasione per usare la direttiva”, ha detto Borrell. Ma i funzionari europei sono scettici, e sottolineano che della direttiva si era già parlato durante la primavera araba, dieci anni fa, senza che l’iniziativa ottenesse sufficiente appoggio. “Dovremmo lavorarci”, sottolinea un funzionario, convinto che l’opinione pubblica stavolta potrebbe essere favorevole. “Ma temo che ci restino poche opportunità per farlo”.
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Questo articolo è uscito sul numero 1424 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati