Quando l’infettivologo Jean William “Bill” Pape, che dirige il più grande centro per la ricerca su hiv e aids dei Caraibi, ha saputo che ad Haiti era tornato il colera si è arrabbiato. Da dieci anni, insieme ad altri medici, cerca di debellare la malattia. Al tempo stesso, però, non si è sorpreso. Il colera è solo l’ultima delle disgrazie che affliggono il paese. La malaria è in aumento ad Haiti, come la malnutrizione acuta nei bambini al di sotto dei cinque anni e nelle donne incinte. I malati di aids non ricevono i medicinali e gli haitiani che hanno bisogno di cure spesso non possono averle, perché per raggiungere un ospedale o una clinica dovrebbero attraversare zone controllate dalle bande criminali senza essere certi di trovare la struttura aperta.
C’è poi il problema del carburante. Il gasolio e il propano scarseggiavano già prima che, a settembre, una potente alleanza di gruppi armati bloccasse l’accesso delle autocisterne al principale terminal di carburante del paese, Varreux, a Port-au-Prince. Ora gli haitiani non hanno l’acqua potabile né la raccolta dei rifiuti né strutture sanitarie.
I prezzi dei generi alimentari e del gasolio continuano a salire
Il centro di Port-au-Prince per il trattamento del colera, uno dei vari aperti da Pape, si sta riempiendo in fretta. “Molte persone sono morte a casa prima che l’epidemia fosse individuata, perché non ci sono i mezzi pubblici per arrivare in ospedale”, dice il medico.
Tra i primi infettati che sono morti ci sono anche bambini e vari detenuti del carcere di Port-au-Prince. A Jérémie, nel dipartimento di Grand’Anse, un’infermiera ha raccontato che 550mila abitanti della città e delle comunità costiere non hanno l’elettricità da più di un anno. “Gli strumenti chirurgici non possono essere sterilizzati se non funziona il generatore”, ha aggiunto.
Per anni la violenza provocata dalle bande criminali ha vanificato i progressi sanitari nel trattamento di alcune malattie e della malnutrizione infantile. I medici migliori se ne sono andati. “Ho perso il 93 per cento del personale più qualificato”, dice Pape. “Non posso biasimarli. Hanno figli, ad Haiti non c’è futuro per loro”.
Il colera è tornato nel momento peggiore: c’erano tutti gli elementi per aspettarsi una nuova epidemia. La malattia si diffonde rapidamente nelle aree senza un trattamento adeguato delle acque normali e di quelle reflue. In molte zone la spazzatura non viene raccolta da settimane a causa della violenza delle bande e della mancanza di carburante.
A Brooklyn, un quartiere della baraccopoli di Cité Soleil dove il 2 ottobre sono stati segnalati i primi casi di colera, e dove uno scontro tra gruppi criminali a luglio ha provocato più di 470 vittime, i rifiuti sono per strada da due mesi. E i camion cisterna non riescono più a entrare. L’acqua pulita è fondamentale per contenere le malattie mortali, ma la produzione pubblica e privata di acqua trattata si è fermata. Molti haitiani bevono da pozzi contaminati e da altre fonti poco sicure.
“Ci sono cumuli di rifiuti a pochi metri dalle cose da mangiare. È la situazione ideale per le mosche che si muovono da un’area all’altra”, dice Pape. “Piove ogni giorno e ci sono inondazioni. Qualsiasi tipo d’agente infettivo può diffondersi così”.
Aiutare la popolazione
Intere zone della capitale sono deserte a causa della violenza. Seduto nel cortile del suo complesso ospedaliero, non lontano dall’ambasciata statunitense e dalle roccaforti di diverse bande, c’è il dottor Richard Frechette, fondatore dell’ospedale pediatrico St. Damien e della fondazione St. Luke a Port-au-Prince. Frechette passa molto del suo tempo a occuparsi delle conseguenze dei rapimenti, della violenza sessuale e di altri traumi.
A luglio, quando la popolazione di Brooklyn è stata coinvolta nella guerra tra bande, il lavoro della fondazione St. Luke è diventato molto difficile: “La gente è depressa e terrorizzata; vive sotto i colpi d’arma da fuoco, i bambini crescono nascondendosi dai proiettili, dormono appiattiti sul pavimento. È una tragedia”, racconta il medico, che è anche un sacerdote cattolico.
“Abbiamo colleghi che sono stati rapiti. Quando vengono liberati, se ne vanno da Haiti il più velocemente possibile”, ha aggiunto. “Poi ci sono medici e infermieri che hanno paura di essere sequestrati, e anche loro stanno partendo in massa. Se non possono raggiungere gli Stati Uniti, vanno nella Repubblica Dominicana, in Brasile o da qualche altra parte. Stiamo perdendo la forza della conoscenza, della storia, dell’esperienza, della capacità”.
I prezzi dei generi alimentari e del carburante continuano a salire. Oggi, in un paese in cui la maggior parte della popolazione vive con meno di due dollari al giorno, la benzina si vende a 32 dollari al gallone sul mercato nero. E l’inflazione ha raggiunto il record del 31 per cento.
“Il blocco di Port Varreux da parte della criminalità organizzata ha interrotto la distribuzione di carburante. Così non possiamo trasportare i campioni ai laboratori per le analisi e i pazienti agli ospedali. Inoltre il blocco ostacola la consegna di acqua potabile e la capacità dei centri sanitari di continuare il loro lavoro. E la malattia si diffonde”, ha dichiarato un portavoce dell’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale (Usaid). “Le due crisi sovrapposte, quella del carburante e della sicurezza, hanno portato alla chiusura temporanea del 25 per cento delle strutture sanitarie della capitale sostenute dall’Usaid”.
Nessuna discriminazione
L’ultima volta che i problemi di carburante ad Haiti avevano fatto chiudere aziende, scuole e ospedali, costringendo tutte le attività a fermarsi, Pape ha deciso di creare un piano di emergenza. Aveva accumulato due mesi di riserve di carburante, necessarie a far andare avanti i suoi due centri a Port-au-Prince e a Tabarre. Il piano ha funzionato fino a quando la coalizione di bande criminali nota come G-9, guidata dall’ex poliziotto Jimmy “Barbecue” Chérizier, ha bloccato nuovamente l’accesso al porto.
Con camion rovesciati, barricate per strada, pneumatici in fiamme e il carburante in esaurimento, Pape ha interrotto tutti i servizi non essenziali e sta chiedendo alle persone che lasciano il paese di vendergli le loro ultime riserve di gasolio per mantenere in funzione il laboratorio e i frigoriferi pieni di vaccini. Il personale che può andare al lavoro a piedi continua a presentarsi, ma molti pazienti non ce la fanno.
“Nell’ospedale di Port-au-Prince di solito riceviamo duemila pazienti al giorno. Ma ora molti non vengono perché manca il trasporto pubblico”, spiega Pape.
La mattina in cui lo incontro, c’è una paziente con vomito e diarrea, in pericolo di vita. Ha il colera. La donna vive dall’altra parte della strada, nella baraccopoli di Village de Dieu. Pape mi dice che il suo personale può ancora raggiungere la zona, anche se è molto pericolosa. “Non ho mai avuto a che fare con i capi delle bande. Ma ci lasciano lavorare, e questo mi basta. Il mio compito non è immischiarmi con la politica che ci ha portato a questo punto. Devo solo aiutare la popolazione nel miglior modo possibile”, dice. “La maggior parte dei nostri pazienti viene dalle baraccopoli, dove il colera provocherà più vittime”.
Invece Cité Soleil è ormai inaccessibile. I bambini affetti da colera vengono stabilizzati in un piccolo ambulatorio locale e poi trasferiti in un centro gestito da Medici senza frontiere a Port-au-Prince.
“Non manderò il mio personale a rischiare la vita in quei quartieri”, afferma l’infettivologo. Gli affiliati ai gruppi armati, aggiunge, sono vulnerabili all’infezione del colera come chiunque altro, comprese “le persone del governo e quelle dell’opposizione. La malattia non fa discriminazioni. Dobbiamo capire che c’è un’emergenza nazionale. Non è il momento di fare proclami politici, bisogna solo evitare che la gente muoia”, aggiunge. “Il colera c’è, e noi possiamo fare qualcosa perché abbiamo già imparato a nostre spese come muoverci”. ◆ff
◆ Il 2 ottobre 2022 le autorità sanitarie di Haiti hanno identificato i primi casi di colera a Port-au-Prince e Cité Soleil. L’infezione è causata dal batterio Vibrio cholerae, presente nell’acqua o negli alimenti contaminati. Tra il 25 settembre e l’8 ottobre sono morte sedici persone, in maggioranza bambini, e i casi sospetti nella capitale sono stati più di duecento. L’ultima infezione di colera nel paese risaliva al febbraio 2019, dopo un’epidemia portata nel 2010 dai caschi blu delle Nazioni Unite, che aveva provocato quasi diecimila vittime e più di ottocentomila infezioni. Organizzazione mondiale della sanità
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Questo articolo è uscito sul numero 1483 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati