A lla fine di ottobre solo l’1,3 per cento degli abitanti dei paesi a basso reddito aveva ricevuto il vaccino. Settanta paesi avevano vaccinato meno del 10 per cento della loro popolazione e trenta, inclusa gran parte dell’Africa, ne avevano vaccinato meno del 2 per cento. In America Latina solo una persona su quattro aveva ricevuto una dose di vaccino.
La soluzione più citata nei paesi ad alto reddito è la redistribuzione. Gli Stati Uniti, il Regno Unito, l’Unione europea e il Canada potrebbero avere 1,2 miliardi di dosi disponibili entro la fine dell’anno. Un portavoce della Pfizer ha dichiarato che l’azienda fornirà un miliardo di dosi ai paesi a basso e medio reddito entro il 2021 e un altro miliardo nel 2022, “di cui cinquecento milioni a prezzo di costo”.
Ma gli esperti sanitari dei paesi a basso e medio reddito rimangono scettici. Vogliono una revisione complessiva e permanente della produzione di vaccini. Carissa F. Etienne, che dirige la Pan american health organization, ha sottolineato quanto sia urgente“costruire le infrastrutture e le capacità tecniche per interrompere il ciclo di dipendenza da un mercato globale altamente concentrato”.
Anche i leader africani sono arrabbiati. “Come può un continente con 1,2 miliardi di abitanti – che diventeranno il doppio fra trent’anni, quando nel mondo una persona su quattro sarà africana – continuare a importare il 99 per cento dei vaccini?”, chiedeva John Nkengasong, il virologo che dirige i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie dell’Unione africana, durante una conferenza stampa all’inizio del 2021. Il presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa ha dichiarato: “Non possiamo continuare a fare affidamento su vaccini prodotti fuori dall’Africa, visto che non arrivano mai”.
Ma perché la produzione di vaccini è così disomogenea?
Gli strumenti essenziali per produrre i vaccini scarseggiano e la catena di produzione dipende da una manciata di paesi. L’equipaggiamento comprende filtri, tubi di plastica e soprattutto le sacche sterili necessarie a far crescere le cellule all’interno di grandi contenitori chiamati bioreattori.
Le sacche per i bioreattori sono fornite principalmente da un’azienda tedesca, la MilleporeSigma (una divisione della Merck) che a sua volta dipende da una rete di piccoli fornitori. Per tutto il 2021 la domanda straordinaria di queste sacche ha fatto temere ai produttori che una carenza di forniture “mettesse in pericolo la distribuzione globale dei vaccini”.
Ogni vaccino può contare fino a duecento componenti, tra cui alcuni prodotti di nicchia che sono stati richiesti in quantità senza precedenti, influenzando tutti i mercati. Le nanoparticelle lipidiche, essenziali per introdurre le fragili molecole di mRna nelle cellule umane, sono state vendute a grammi fino alla primavera del 2020. Poi all’improvviso sono state richieste con urgenza a quintali per fabbricare i vaccini a mRna come quelli Pfizer-Biontech.
“Se ci fornissero l’antigene potremmo cominciare a produrre immediatamente circa cinquecento milioni di dosi all’anno”
“C’è stato un salto senza precedenti”, afferma Pieter Cullis, a capo dell’azienda canadese Acuitas. L’amministrazione statunitense guidata dal presidente Joe Biden ha individuato le nanoparticelle lipidiche tra le lacune gravi nella catena di produzione a gennaio del 2021, il giorno successivo all’entrata in carica. A giugno l’Acuitas stava già firmando il contratto. Ora la Pfizer ha un accordo quinquennale con la britannica Croda, che ha quadruplicato la produzione per soddisfare la domanda. La statunitense CordenPharma ha fornito le nanoparticelle alla Moderna per il suo vaccino a mRna e ha annunciato un’importante espansione dei suoi stabilimenti in Svizzera, Francia e Colorado. Tutte queste aziende hanno sede in Europa o negli Stati Uniti.
Anche i vaccini non a mRna hanno avuto problemi con i componenti. Il vaccino Novovax usa una versione prodotta in laboratorio della proteina spike del virus sars-cov-2 che richiede un ingrediente cruciale, la saponina, ricavata da un raro albero cileno chiamato quillaia. Per tutto il 2021 gli azionisti della casa farmaceutica hanno temuto che i problemi relativi alla raccolta della saponina potessero aumentare i ritardi nella commercializzazione del vaccino.
Le forniture mondiali del vaccino della AstraZeneca – il cavallo da soma del Covax, il programma globale sui vaccini guidato dall’Organizzazione mondiale della sanità che fornisce la maggior parte delle dosi ai paesi a basso e medio reddito – sono state rallentate da una carenza di siero. Oltre a quelli dei fornitori, la AstraZeneca conta su diversi stabilimenti propri in Europa che producono siero e altri componenti. Ma il sito d’informazione Politico ha rivelato che alla fine di dicembre del 2020 uno stabilimento nei Paesi Bassi non ne stava producendo abbastanza per essere incluso nella richiesta di approvazione presentata dalla AstraZeneca alle autorità europee. L’importazione di emergenza di siero dagli Stati Uniti, più della metà della quantità necessaria, non è bastata a evitare ripercussioni sulle scorte di vaccini del 2021.
I produttori hanno tentato di far fronte a questo limite esportando il vaccino nei paesi a basso e medio reddito prima della fase finale, quella del confezionamento. A marzo del 2021 il Covax aveva stilato un elenco con centinaia di strutture in tutto il mondo che riempiono le fiale di farmaci iniettabili come l’insulina, gli anticorpi monoclonali e gli antibiotici, e potrebbero confezionare anche i vaccini contro il covid-19.
Protezionismo vaccinale
Un altro tipo di problema, la priorità attribuita ai paesi di produzione, ha avuto conseguenze più pesanti. Per quanto riguarda la distribuzione, l’amministrazione Biden ha mantenuto la politica “America first” di Donald Trump. Secondo gli esperti del settore, è stato questo il motivo per cui la Germania ha insistito per avere i suoi impianti di produzione per il vaccino Pfizer-Biontech, richiesta approvata dall’Agenzia europea per i medicinali il 26 marzo 2021. La AstraZeneca, con il Covax, ha firmato contratti per il confezionamento dei suoi vaccini con diversi produttori regionali, in particolare il Serum institute indiano, una delle più grandi aziende farmaceutiche del mondo, che avrebbe dovuto essere il principale fornitore per l’Africa. Ma questo accordo ha perso ogni valore quando l’India è stata colpita dalla seconda ondata di covid-19. Il governo ha bloccato l’esportazione per poter mantenere le scorte nel paese, ed è tornato ad autorizzarla solo alcuni mesi dopo.
Nel frattempo il 40 per cento dei dieci milioni di vaccini Johnson & Johnson, riempiti e confezionati dalla Aspen pharmaceuticals in Sudafrica, venivano inviati in Europa in base a un “accordo informale”, mentre il Sudafrica era alla disperata ricerca di dosi. Questo accordo è stato cancellato solo dopo una serie di proteste.
“Ogni paese vuole vaccinare prima i suoi cittadini, anzi ha il dovere di farlo”, afferma Stephen Morris, che studia i processi vaccinali presso il dipartimento di ingegneria biochimica dello University college London. “Questo significa inevitabilmente che i paesi con più esperienza nella fabbricazione dei farmaci avranno tassi di vaccinazione più alti”.
Ad aprile l’African vaccine manufacturing summit si è impegnato ad aumentare la capacità di fabbricare vaccini per passare dall’1 al 60 per cento della copertura del fabbisogno continentale entro il 2040. Un’inchiesta della rivista scientifica Nature ha rivelato che Senegal, Tunisia, Sudafrica e Algeria dispongono già della capacità produttiva, mentre la Nigeria e l’Etiopia intendono aumentarla. L’India e l’Indonesia producono il vaccino contro l’epatite B usando proteine ricombinanti, “una metodologia consolidata che è già nella fase avanzata degli studi clinici per il covid-19”, afferma Morris.
La fabbrica è il corpo
Si è parlato molto delle questioni relative alla proprietà intellettuale e ai brevetti, ma alcune iniziative locali stanno spostando la produzione fuori degli Stati Uniti e dall’Europa come non è mai successo prima. Sorprendentemente, gli avanzatissimi vaccini a mRna sono i candidati più probabili per l’apertura di nuove linee di produzione nei paesi a basso e medio reddito. “Una volta trasferita la tecnologia, allestire uno stabilimento per gli mRna sarà più rapido che per i vaccini a vettore virale”, dice Morris.
L’accesso ai vaccini a mRna contro il covid-19 nei paesi a basso e medio reddito, che potrebbe salvare milioni di vite, dipende almeno in parte da una battaglia sui brevetti. È già successo: nel decennio in cui i primi farmaci per l’hiv rendevano l’aids una malattia gestibile negli Stati Uniti, altri paesi (come Sudafrica e India) dovevano rivolgersi ai tribunali internazionali per avere il diritto di produrne versioni generiche a prezzi accessibili. Il loro bersaglio era il Trips, l’accordo dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) del 1994, che vieta di copiare le tecnologie sviluppate nei paesi avanzati e che è stato subito considerato un problema per la salute pubblica. L’India e il Sudafrica vinsero la causa. Nel 2001 la Wto rilasciò la dichiarazione di Doha, chiedendo “flessibilità” nella protezione della proprietà intellettuale per garantire che il Trips non ostacolasse gli sforzi contro i problemi sanitari nei paesi meno sviluppati.
Quella dichiarazione è tornata al centro dell’attenzione a ottobre del 2020, quando l’India e il Sudafrica hanno nuovamente invitato la Wto a sospendere temporaneamente il Trips, stavolta per facilitare la produzione dei vaccini contro il covid-19. In questo caso non dovrebbero essere condivisi solo i brevetti sui vaccini, ma anche quelli sui loro componenti. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha sottoscritto l’appello lanciato da più di sessanta ex capi di stato e cento premi Nobel per una sospensione dell’accordo. Ma dato che i vaccini a mRna si sono dimostrati molto efficaci e possono essere validi anche per malattie diverse dal covid-19, la Biontech e la Germania, dove l’azienda ha sede, non sono disposte ad accettare una sospensione che spianerebbe la strada alla concorrenza, per esempio di Cina e Russia. Secondo l’agenzia Reuters il valore della Biontech è tale che quest’anno potrebbe far crescere l’economia tedesca dello 0,5 per cento. La posizione di Berlino è pienamente condivisa dal governo britannico, che ha dichiarato: “Una rinuncia al Trips rischierebbe di minare la capacità dell’industria farmaceutica di rispondere alle crisi attuali e future”.
Vickie Hawkins, direttrice esecutiva di Medici senza frontiere per il Regno Unito, non è d’accordo. “Sono stati gli enormi investimenti pubblici (più di sette miliardi di sterline per lo sviluppo e la produzione dei primi sei vaccini), non il sistema di proprietà intellettuale, a incentivare l’innovazione durante la pandemia”, ha scritto al primo ministro britannico Boris Johnson. Sospendere il Trips sarebbe il primo passo per fare in modo che i produttori dei vaccini “s’impegnino a trasmettere la tecnologia ai produttori dei paesi a basso e medio reddito, per aumentare e diversificare la capacità produttiva globale in modo da rispondere meglio alle esigenze di questa pandemia”.
Dato che i brevetti sono concordati con i singoli paesi, alcuni esperti fanno notare che formalmente non esistono vincoli sui vaccini a mRna in nessun paese africano. Significa che per produrre questi vaccini nel continente non servirebbe un passaggio diretto di tecnologia da parte della Pfizer e della Biontech o della Moderna, perché “sul processo di fabbricazione sono disponibili informazioni sufficienti”, ha affermato Marie-Paule Kieny, presidente del consiglio d’amministrazione del Medicines patent pool di Ginevra e del comitato scientifico francese sui vaccini per il covid-19.
Secondo l’ex ministro della salute tedesco Jens Spahn, più che i brevetti in sé il principale ostacolo all’espansione della capacità produttiva è avere “le competenze necessarie per realizzare vaccini complessi e delicati”. Questo è un tema più complicato. Zoltán Kis, ricercatore dell’Imperial college di Londra, afferma che nel settore non ci sono abbastanza esperti di fabbricazione e controllo qualità in grado di seguire la produzione questi nuovi vaccini. “Per un rapido trasferimento della tecnologia ai paesi a basso e medio reddito sarebbe necessario il coinvolgimento attivo di chi l’ha sviluppata”. British Medical Journal ◆bt
“Con i vaccini tradizionali serve un grande impianto per produrre la proteina o il virus, e la coltura richiede molto tempo”, spiegava a dicembre del 2020 Robert Langer, professore al David H. Koch institute del Massachusetts institute of technology e uno dei fondatori della Moderna.
La coltura delle linee cellulari può richiedere mesi, dice Morris, e anche piccole variazioni del processo possono fare la differenza in termini di qualità e resa. A febbraio del 2021 alcuni problemi di filtraggio in uno stabilimento di Seneffe, in Belgio, che aveva un contratto per fabbricare vaccini contro il covid-19 per i paesi europei, hanno ridotto la produzione di 75 milioni di dosi, causando un grave conflitto tra la AstraZeneca e l’Unione europea. Il vantaggio dell’mRna è che non dà queste preoccupazioni, diceva Langer. “Se lo inietti in una persona, l’mRna nanoincapsulato entra nelle cellule e poi la fabbrica diventa il corpo, che si occupa di tutto il resto”.
A luglio la Pfizer ha annunciato che stava collaborando con l’azienda biofarmaceutica sudafricana Biovac per produrre cento milioni di dosi all’anno di vaccino a mRna a partire dal 2022, e che “tutte le dosi sarebbero state distribuite esclusivamente tra i 55 stati dell’Unione Africana”.
◆ L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha reso noto che sono pochi gli stati africani ad aver raggiunto l’obiettivo minimo di immunizzare almeno il 40 per cento della popolazione entro la fine del 2021. Solo le Seychelles, Mauritius e il Marocco hanno superato il 50 per cento, mentre molti paesi dell’Africa centrale sono fermi a meno del 2 per cento. L’Oms ha avvertito che l’obiettivo del 70 per cento potrebbe essere raggiunto solo nel 2024. Bbc
Ad agosto l’azienda brasiliana Eurofarma ha firmato un accordo per la produzione parziale di vaccino a mRna con la Pfizer-Biontech. Si tratta della prima iniziativa delle due aziende in America Latina.
Un portavoce della Pfizer ha dichiarato che la casa farmaceutica “sta collaborando attivamente con i governi di tutto il mondo per garantire un accesso equo ai vaccini contro il covid-19. Stiamo anche offrendo la nostra esperienza e le nostre risorse per esplorare nuovi metodi in grado di rafforzare i sistemi sanitari nei paesi in cui potrebbe essere necessario un maggiore supporto”.
L’azienda bangladese Incepta, che già esporta vaccini per altre malattie, è una delle tante ad aver chiesto l’autorizzazione a fabbricare i vaccini a mRna Pfizer-Biontech.
“Se ci fornissero l’antigene potremmo cominciare immediatamente a produrre circa cinquecento milioni di dosi all’anno”, dichiarava a marzo il presidente della Incepta Abdul Muktadirai. Finora la Pfizer ha respinto la sua richiesta.
Zahid Maleque, il ministro bangladese della salute, ha chiesto alla AstraZeneca di fornire al paese la sua tecnologia “in modo da poter produrre il vaccino localmente”, anche se ha ammesso che bisogna “costruire le strutture necessarie e assumere tecnici qualificati”. Per sfruttare a pieno queste strutture i paesi dovrebbero spendere centinaia di milioni di euro per espandere la ricerca e istituire organismi di regolamentazione che soddisfino gli standard internazionali, oltre che impegnarsi ad acquistare i vaccini e creare le catene di approvvigionamento.
Prendere il controllo
A luglio la Coalition for epidemic preparedness innovations (Cepi), che ha finanziato lo sviluppo del vaccino e ha contribuito alla creazione del Covax, ha annunciato la nascita del mercato Covax, che mette in contatto i produttori di vaccini con i fornitori di componenti, soprattutto di materiali importanti come le sacche per i bioreattori, i terreni di coltura per le cellule, i filtri, i lipidi, le fiale e i tappi. Il Cepi sottolinea che è un obiettivo a breve termine, che fa parte del suo piano d’investimenti da tre miliardi di euro per consentire ai paesi a basso e medio reddito di “assumere il controllo della loro sicurezza sanitaria nazionale”. Quello che serve a lungo termine, afferma, è la produzione locale dei componenti per facilitare l’accesso ai vaccini alle popolazioni che vivono lontano dai principali impianti di produzione.
Jeremy Farrar, che dirige il Wellcome trust, uno degli enti finanziatori del Cepi, a febbraio dichiarava che “l’accesso a livello locale richiede più centri di produzione, non solo per i vaccini ma anche per farmaci essenziali come il desametasone (un antinfiammatorio) e i dispositivi di protezione individuale, fino alle fiale in cui si conservano i vaccini. Questo potrebbe anche creare nuove opportunità”, ha aggiunto. “Paesi con una popolazione ridotta ma una buona capacità produttiva, per esempio Singapore, Danimarca, Senegal ed Ecuador, potrebbero inserirsi nel mercato internazionale”.
La Federazione internazionale dei produttori e delle associazioni farmaceutiche afferma che con l’attuale tasso di produzione di 1,5 miliardi di dosi al mese entro giugno del 2022 potrebbero essere fabbricati più di 24 miliardi di dosi di vaccini contro il covid-19. La prossima sfida è fare in modo che siano prodotte dove servono.◆bt
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Questo articolo è uscito sul numero 1442 di Internazionale, a pagina 66. Compra questo numero | Abbonati