L’Europa è alle prese con una decisa diminuzione delle forniture di energia, che fa aumentare i prezzi e contribuisce a far salire l’inflazione, mettendo a rischio la ripresa economica e danneggiando le famiglie e le aziende. Se sfocerà in una crisi energetica in piena regola dipenderà dalla fortuna e da quanto sarà rigido l’inverno in Europa e nelle altre regioni che competono con il vecchio continente per avere elettricità, gas e carburante. Le improvvise variazioni dei prezzi nel settore energetico non sono una novità, ovviamente, ma gli aumenti registrati in Europa arrivano mentre il mondo affronta le conseguenze del cambiamento climatico e sta accelerando il passaggio verso l’energia pulita. Per difendere sia l’economia sia il clima, i politici dovrebbero usare strumenti più efficaci per controllare le oscillazioni del mercato e facilitare il processo di transizione, che sarà inevitabilmente caotico.
Nelle ultime settimane si è parlato molto della tempesta che si sta addensando sul mercato energetico europeo, perché i consumatori e le aziende cominciano a pagare prezzi sbalorditivi per l’elettricità a causa del rincaro del gas naturale, del carbone e dei crediti di carbonio (un sistema che permette ad aziende e istituzioni di compensare le emissioni di anidride carbonica promuovendo progetti verdi in tutto il mondo). A settembre i prezzi spot (con consegna immediata) del gas naturale erano circa sei volte superiori a quelli del 2019, cioè prima dell’inizio della pandemia. I prezzi europei sono strettamente collegati a quelli asiatici: devono aumentare abbastanza per attirare forniture che altrimenti andrebbero all’Asia, dove tra l’altro il costo dell’energia è quadruplicato rispetto al 2019. Ultimamente i prezzi di riferimento del gas naturale in entrambi i continenti hanno superato i venti dollari per milione di British thermal unit (Btu, un’unità di misura che indica quanta energia si può ricavare da un combustibile). Anche i prezzi del carbone sono saliti alle stelle per vari motivi, tra cui il fatto che la domanda di questo combustibile è aumentata perché può sostituire il gas nella produzione di elettricità.
Di conseguenza il prezzo dell’elettricità, che si ottiene ancora in gran parte con le centrali alimentate a gas e carbone, sta aumentando vertiginosamente. Nel Regno Unito i prezzi all’ingrosso delle forniture elettriche sono più che decuplicati rispetto alla media dell’ultimo decennio. Quest’anno il contratto energetico di riferimento dell’Unione europea è raddoppiato. In Spagna l’aumento dei prezzi è finito sulle prime pagine dei giornali e ha suscitato proteste contro il governo. In Germania ha superato il picco del 2008. Le aziende stanno riducendo la produzione, mentre aumenta anche il prezzo delle materie prime che per essere lavorate richiedono molta energia, come l’alluminio. Nel Regno Unito diverse piccole aziende elettriche sono fallite e le fabbriche con sistemi produttivi ad alto consumo d’energia hanno chiuso. Anche le famiglie ne risentono: l’autorità britannica che regola il mercato dell’energia, per esempio, ha aumentato il prezzo massimo che può essere addebitato ai consumatori adeguandolo alla crescita delle tariffe all’ingrosso.
La crisi energetica europea è dovuta a una combinazione di fattori. Innanzitutto, una serie di eventi meteorologici estremi e di andamenti stagionali insoliti ha influenzato sia la domanda sia l’offerta di gas. In gran parte dell’emisfero settentrionale, in particolare in Asia, l’inizio del 2021 è stato eccezionalmente rigido, ed è stato seguito da una primavera particolarmente fredda in Europa, che ha aumentato la domanda di riscaldamento a gas. Negli Stati Uniti le temperature gelide registrate in Texas a febbraio hanno ostacolato la produzione di energia, con la conseguente riduzione delle esportazioni di gas naturale liquefatto (gnl) in Asia e in altre regioni. Poi con l’estate le temperature insolitamente alte in Cina, Europa, Stati Uniti e altre parti del mondo hanno fatto aumentare la domanda di elettricità usata per i sistemi di raffreddamento.
In secondo luogo, ci sono state difficoltà anche con altre fonti. Quest’anno in Europa la produzione di energia eolica è stata molto al di sotto della media, perché per lunghi periodi è mancato il vento. Quindi la domanda di gas e carbone è aumentata anche per compensare la ridotta produzione di energie rinnovabili. Ed è destinata a salire ulteriormente, visto che nei prossimi mesi la Germania chiuderà altri tre reattori nell’ambito del suo programma di rinuncia al nucleare. Nel frattempo la siccità in Cina e Sudamerica ha fatto diminuire la produzione di energia idroelettrica, attirando anche in quei mercati le forniture di gas.
Terzo, la ripresa economica dalla pandemia è stata forte sia in Europa sia in Asia, e questo ha spinto verso l’alto la domanda d’energia per le abitazioni private e per le attività produttive. Nei primi sei mesi del 2021 la domanda cinese di gnl è cresciuta di più del 25 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, e la Cina è diventata la più grande importatrice mondiale di gnl superando il Giappone.
Quarto, nonostante le restrizioni del mercato e l’aumento dei prezzi, l’azienda statale russa del gas Gazprom non ha garantito all’Unione europea più forniture di quelle previste dai contratti a lungo termine, perché non è in grado di farlo o perché non vuole (un argomento molto dibattuto tra gli analisti). Questo appare evidente dal forte calo delle scorte di gas della Gazprom nell’Unione europea. Ora che l’azienda russa ha annunciato il completamento del suo contestato gasdotto Nord stream 2 (che collega la Russia alla Germania attraverso il mar Baltico), quanto saliranno i prezzi del gas naturale in Europa il prossimo inverno potrebbe dipendere dalla rapidità con cui Mosca avvierà le consegne con la nuova arteria o aumenterà le spedizioni attraverso quella vecchia, che passa per l’Ucraina. Le forniture all’Europa sono state ulteriormente ostacolate da problemi di produzione e manutenzione in altri paesi produttori di gas, mentre la produzione interna sta diminuendo.
Quinto, in Europa incidono anche le politiche sul clima. L’Unione europea prevede che fabbriche e centrali elettriche chiedano un permesso di emissione per ogni tonnellata di anidride carbonica prodotta e rispettino una quota massima di emissioni; queste quote si comprano all’asta. Ora una serie di riforme ha ridotto i permessi disponibili, così il loro prezzo ha raggiunto livelli record, e si prevede che continuerà a salire per il resto del 2021. I prezzi più alti dei permessi hanno fatto salire anche quelli del gas naturale, impedendo il passaggio dal gas al carbone. Poiché il carbone produce più anidride carbonica, e quindi richiede più permessi, anche il prezzo delle quote è aumentato, creando un circolo vizioso che fa salire il costo dell’elettricità.
A causa di tutti questi fattori gli impianti di stoccaggio di gas naturale europei sono ai livelli più bassi degli ultimi dieci anni. Normalmente in questo periodo dell’anno le riserve aumentano in vista dell’inverno. Anche se la Russia consegnasse più gas, resterebbe poco tempo per portare le scorte al livello degli ultimi anni. Se l’inverno europeo sarà particolarmente freddo, le riserve di gas naturale potrebbero non essere sufficienti per soddisfare la domanda: questo farebbe salire i prezzi e costringerebbe i consumatori, in particolare le aziende che hanno bisogno di molta energia, a ridurre l’uso di elettricità e la produzione manifatturiera, perché i fornitori europei sarebbero in competizione con quelli di altre parti del mondo per assicurarsi l’approvvigionamento. Nel Regno Unito alcuni grandi impianti industriali hanno già chiuso a causa dell’aumento dei prezzi dell’energia. E anche le imprese cinesi corrono lo stesso rischio.
Di conseguenza la Russia si troverà in una posizione particolarmente forte, soprattutto quando il Nord stream 2 sarà a pieno regime, e potrà dettare i suoi termini a un mercato europeo alla disperata ricerca di gas naturale. Se l’Europa dovesse affrontare una carenza di gas, la Russia potrebbe chiedere alla Germania di far passare il carburante attraverso il nuovo gasdotto anche prima della certificazione definitiva, che viene concessa solo se si rispettano i requisiti stabiliti dall’Unione per impedire i monopoli. Dopo l’impennata del costo del gas il Cremlino ha dichiarato che un via libera rallenterebbe l’aumento dei prezzi, alimentando i sospetti che Mosca abbia ridotto le forniture per accelerare l’approvazione del gasdotto. Anche se alcuni analisti sostengono che la Russia non abbia gas in più da inviare in Europa, l’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) ha invitato Mosca ad aumentare le spedizioni, i parlamentari europei hanno chiesto l’apertura di un’indagine sulla Gazprom e gli Stati Uniti hanno denunciato una possibile manipolazione del mercato.
Inoltre, in un mercato globale del gas naturale sempre più interconnesso, con l’aumento del gas trasportato dalle navi cisterna e i prezzi fissati nei centri del commercio globale, quello che succede in Europa produce effetti anche fuori dal continente. Gli alti prezzi necessari per rifornire di gas il mercato europeo si faranno sentire anche in altri mercati che vorrebbero quelle forniture. Negli Stati Uniti il prezzo è già salito a cinque dollari per milione di Btu, il livello più alto in sette anni. In parte, questo è dovuto al fatto che le esportazioni statunitensi di gas naturale stanno aumentando: con gli alti prezzi all’estero i nuovi impianti di liquefazione funzionano a pieno regime. Tuttavia, i produttori statunitensi non rispondono abbastanza rapidamente ai rincari del petrolio e del gas perché subiscono la crescente pressione di Wall street, dove gli investitori sono attenti all’equilibrio di bilancio più che all’aumento della produzione e stanno abbandonando i combustibili fossili a causa delle pressioni sociali favorevoli al passaggio verso l’energia pulita.
Attenzione al consenso
I mercati dell’energia, ovviamente, sono da sempre soggetti a periodiche crisi di approvvigionamento, ma i politici dovrebbero fare attenzione ai nuovi aspetti che caratterizzano la crisi energetica attuale: molti dei fattori che contribuiscono allo squilibrio derivano dall’impatto del cambiamento climatico e dagli sforzi per limitarlo passando all’energia pulita. Il cambiamento climatico significa temperature più estreme. Quindi porterà estati più calde e, anche se comporta in media inverni più caldi, potrebbe anche produrre ondate di freddo. Il riscaldamento globale aggrava la siccità, che riduce l’energia idroelettrica e rende più difficile l’uso di acqua dolce per raffreddare gli impianti nucleari e quelli a combustibili fossili. Le politiche per affrontare il cambiamento climatico possono rendere instabile il prezzo delle emissioni di anidride carbonica, e questo a sua volta potrebbe alimentare la volatilità dei prezzi dell’energia. Se gli impianti per la lavorazione dei combustibili fossili saranno chiusi prima che le fonti alternative possano compensarne la mancanza, come forse sta succedendo già oggi, l’incertezza sul ritmo della transizione potrebbe portare a periodiche carenze dell’offerta. E se l’offerta di combustibili fossili diminuisce più velocemente della domanda, le carenze possono provocare crisi di mercato che fanno salire i prezzi e aggravano i rischi geopolitici. Secondo l’Iea, sta succedendo proprio questo sui mercati petroliferi. Eppure pochi mesi fa l’agenzia aveva affermato che se i paesi avessero seguito la tabella di marcia per eliminare le emissioni nette entro il 2050, non sarebbero state necessarie ulteriori forniture di combustibili fossili.
Prevedere e gestire la crescente volatilità dei mercati che accompagnerà la transizione energetica è importante non solo per proteggere i consumatori e le imprese, ma anche per continuare a introdurre misure più concrete nella lotta al cambiamento climatico, quanto mai necessaria per contenere l’aumento della temperatura, come suggerito dai climatologi. Di fronte alle crescenti conseguenze del riscaldamento globale, come l’intensificazione delle ondate di calore, delle inondazioni, delle siccità e degli uragani, il sostegno pubblico a un’azione più decisa si sta rafforzando, e questo è incoraggiante. Tuttavia, se l’affidabilità delle forniture e i prezzi da pagare saranno influenzati, anche solo in apparenza, dalle misure per frenare il riscaldamento globale, il sostegno dell’opinione pubblica a un’azione più decisa diminuirà sicuramente. Quando sulla costa orientale degli Stati Uniti il sistema di oleodotti Colonial pipeline è andato in tilt o quando si sono spente le luci in Texas e in Louisiana, quello che contava era distribuire carburante e far tornare la corrente al più presto. L’opinione pubblica avrà le stesse priorità se la volatilità dei prezzi danneggerà i consumatori. Questo non vuol dire che bisogna rallentare il ritmo del passaggio all’energia pulita. Al contrario, dev’essere accelerato. Il punto è che molte previsioni sulla possibilità di aumentare l’energia pulita si basano su modelli incentrati su ciò che è tecnicamente ed economicamente possibile. Il problema è che nessuno costruirà il sistema energetico in questo modo. La transizione procederà a singhiozzo, in base a scelte imprevedibili e a una miriade di decisioni da parte dei singoli cittadini e delle aziende su quale tipo di auto comprare, quanta elettricità produrre o quali impianti costruire. È sempre stato difficile mantenere l’equilibrio tra l’offerta e la domanda di energia, e lo sarà ancora di più durante un passaggio senza precedenti verso l’energia pulita, caratterizzato dall’incertezza sui tempi, sui costi delle varie fonti di energia, sul ritmo dell’adozione di nuove tecnologie, come le auto elettriche, e sul rigore e la durata delle politiche sul clima. La storia ci ricorda che le transizioni sono più difficili da realizzare e richiedono più tempo di quanto l’ambizione e la retorica suggeriscono.
Il problema non riguarda solo l’Europa. La California, per esempio, ha difficoltà a mantenere le luci accese perché sta rapidamente aumentando l’uso di fonti intermittenti come l’energia solare ed eolica. Per garantire l’affidabilità del sistema, alcuni impianti per la produzione di combustibili fossili dovrebbero restare in funzione e le restrizioni sull’inquinamento dovrebbero essere allentate. La California propone di costruire diversi impianti temporanei di gas naturale per evitare i blackout, mentre sta chiudendo la centrale nucleare di Diablo Canyon, che produce più elettricità a zero emissioni di tutte le turbine eoliche dello stato messe insieme.
I governi svolgono da tempo un ruolo importante nel tentativo di gestire le inevitabili espansioni e contrazioni dell’offerta di energia. L’esempio più notevole sono i paesi produttori di petrolio dell’Opec, che a volte intervengono per aumentare o diminuire l’offerta in base ai loro interessi geopolitici. In risposta all’embargo petrolifero arabo del 1973, gli stati consumatori di petrolio si accordarono per istituire riserve d’emergenza, che avrebbero poi usato in caso di gravi interruzioni delle forniture come quelle durante la guerra del Golfo negli anni novanta e in seguito all’uragano Katrina nel 2005. Negli Stati Uniti il governo federale sovvenziona il costo del gasolio da riscaldamento per le famiglie a basso reddito. Alcuni paesi, come la Corea del Sud, chiedono ai fornitori di gas naturale di mantenere un livello minimo di riserve.
Tuttavia, il ruolo dei governi non è semplice. Prezzi più alti aiutano i mercati a riequilibrarsi, incentivando i produttori ad aumentare l’offerta o i consumatori a ridurre l’uso di energia. Ma questo approccio liberista ha i suoi limiti. In primo luogo, i mercati possono subire scossoni, come si è visto all’inizio di quest’anno nel caso del mercato elettrico durante l’ondata di gelo in Texas. In un sistema progettato per lasciare che i mercati risolvano i problemi dell’offerta, i prezzi vanno fuori controllo in caso di scarsità. In secondo luogo, il danno economico derivante dall’aumento dei prezzi dell’energia non è solo causato dai maggiori costi, ma dalla volatilità stessa del mercato, che crea incertezza e quindi scoraggia la spesa dei consumatori e gli investimenti delle aziende. Infine, affidarsi ai mercati presuppone un livello di accettazione dell’aumento dei prezzi che raramente si vede nella realtà.
◆La brusca riduzione dell’offerta d’energia sta mettendo in difficoltà famiglie e aziende in molte zone della Cina, scrive Nikkei Asia. La situazione riflette la difficoltà del maggior consumatore di carbone del mondo a conciliare il fabbisogno energetico della sua economia con l’obiettivo di ridurre le emissioni di anidride carbonica. Con la ripresa dalla pandemia, la Cina sta consumando più energia del previsto per assicurare il funzionamento delle sue fabbriche. Ma la decisione di Pechino di eliminare le emissioni di anidride carbonica entro il 2060 sta facendo rallentare la produzione di carbone, per anni la principale fonte nella produzione di elettricità (contribuisce al 70 per cento del totale). Nei primi otto mesi del 2021 la Cina ha prodotto quasi 2,6 miliardi di tonnellate di carbone, appena il 4,4 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2020, quando la produzione era stata ridotta a causa dell’emergenza sanitaria e dei timori per l’inquinamento. Allo stesso tempo, però, il consumo di elettricità è aumentato del 13,8 per cento.
Questa discrepanza ha provocato carenze nell’offerta di carbone e quindi nella capacità di soddisfare la domanda d’energia elettrica. Il prezzo del carbone in Cina è in costante ascesa dal febbraio 2021: il 28 settembre alla borsa merci di Zhengzhou ha raggiunto i 1.253,8 yuan (168 euro) alla tonnellata, il 90 per cento in più rispetto all’inizio dell’anno. Per questo le autorità cinesi hanno ordinato ai produttori di carbone di aumentare la produzione, mettendo da parte gli impegni presi per combattere il cambiamento climatico, spiega il Financial Times. La minore disponibilità di energia ha costretto diverse grandi aziende dell’alta tecnologia a rallentare o perfino a bloccare la produzione, mentre in alcune zone della Cina nordorientale sono frequenti le interruzioni di corrente.
Inoltre Pechino teme che la situazione possa colpire anche settori essenziali come quello alimentare. Gli effetti della crisi si vedono sui dati del pil cinese: nel terzo trimestre del 2021 l’economia è cresciuta del 4,9 per cento, un dato inferiore alle previsioni degli esperti e un netto rallentamento rispetto alla crescita del 7,9 per cento registrata nel secondo trimestre.
In Europa i governi stanno intervenendo per proteggere i consumatori, per esempio imponendo un tetto agli aumenti come in Spagna o erogando sussidi come in Grecia. Ma sostenere gli sforzi per frenare il cambiamento climatico diventerà sempre più difficile, soprattutto se questi sforzi aggraveranno la volatilità dei prezzi, causeranno carenze energetiche o comunque influiranno negativamente sulla sicurezza, l’accessibilità o l’affidabilità delle forniture energetiche, un rischio riconosciuto anche dal commissario europeo per il clima Frans Timmermans.
Meccanismi di mercato
Mentre il mondo accelera il passaggio dai combustibili fossili all’energia verde, i governi devono avere più strumenti per affrontare l’instabilità dei prezzi. Innanzitutto, sarebbe stupido sbarazzarsi di quelli esistenti, come la riserva strategica di petrolio degli Stati Uniti. Sarebbe utile, invece, migliorare i meccanismi del mercato in modo da premiare i fornitori disposti a soddisfare i picchi della domanda. Strutture di mercato più efficienti, inoltre, premierebbero le fonti d’energia che funzionano meglio nei periodi di massimo stress del sistema. E l’uso esteso di batterie o di altre forme di stoccaggio, una volta che saranno disponibili su larga scala, garantirebbe una maggiore stabilità della rete mentre le risorse rinnovabili, che sono più variabili, continuano a crescere. Esistono anche strumenti per regolare l’uso dell’energia, come i programmi di gestione della domanda, che incentivano a ridurre il consumo di elettricità durante le ore di punta. Infine, le norme e le infrastrutture possono facilitare una maggiore integrazione, flessibilità e interconnessione del sistema energetico, dalle reti elettriche ai gasdotti e oleodotti, in modo da avere più alternative in caso di bisogno. Durante la transizione energetica i politici non dovrebbero abbandonare prematuramente questi strumenti, mentre i loro paesi rinunciano gradualmente ai combustibili fossili. Altri strumenti forse non mitigheranno la volatilità dei prezzi, ma possono ridurne l’impatto sui consumatori e sulle imprese. Per esempio, le tasse sull’energia possono aumentare o diminuire in risposta a oscillazioni estreme dei prezzi di mercato. La Spagna ha appena ridotto dal 21 al 10 per cento la tassa sull’elettricità per i consumatori. Anche i maggiori ricavi ottenuti con l’aumento del prezzo delle quote di emissione possono essere distribuiti alle famiglie per compensare gli effetti della tassa più alta sulle emissioni. Inoltre la maggiore efficienza energetica e il risparmio di carburante possono ridurre l’esposizione dei consumatori, e dell’economia in generale, agli aumenti improvvisi dei prezzi riducendo allo stesso tempo le emissioni.
Ma, cosa ancora più importante, i politici dovrebbero accelerare la transizione verso l’energia pulita. Migliorare l’efficienza energetica, passare al riscaldamento elettrico e aumentare l’uso di combustibili a basse emissioni di carbonio come il biometano e l’idrogeno, distribuiti attraverso le infrastrutture del gas naturale esistenti, ridurrà le emissioni ma anche la domanda di gas naturale e, quindi, l’esposizione alla volatilità dei prezzi. Su quest’ultimo punto può influire la rapida diffusione delle fonti di energia rinnovabile. Il costo del solare e dell’eolico è in gran parte stabilito in fase di realizzazione dei progetti, e non dipende dalle oscillazioni dei mercati delle materie prime, legate a conflitti, attacchi alle infrastrutture, incidenti e altro. L’urgenza della lotta al cambiamento climatico significa che gli sforzi per aumentare la produzione di energia pulita devono accelerare, ma l’attuale crisi europea è un assaggio di quello che succederà in futuro, perché gli interventi per frenare i cambiamenti climatici e le loro conseguenze daranno vita a un processo potenzialmente imprevedibile e dirompente. ◆ bt
Jason Bordoff è un esperto statunitense di politiche energetiche. È tra i fondatori della Columbia climate school e del Center on global energy policy della Columbia university.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1432 di Internazionale, a pagina 46. Compra questo numero | Abbonati