Una mattina d’autunno del 2023, poco prima dell’alba, su vaste distese dell’Europa orientale è scesa la nebbia. In qualunque altro mercato finanziario il meteo non avrebbe avuto particolare importanza. Forse qualche volo in ritardo o magari degli ingorghi di traffico, per lo più con poche conseguenze. Ma nel mercato europeo dell’elettricità brutto tempo significa soldi. A più di mille chilometri di distanza dalla nebbia un gruppetto di aziende danesi di intermediazione finanziaria, in gran parte anonime, era pronto a entrare in azione. Appena gli è arrivata l’immagine a infrarossi di un satellite Meteosat, i computer l’hanno analizzata automaticamente, inserendo i dati in complessi algoritmi. Con l’intervento umano ridotto al minimo, le macchine hanno comprato una serie di contratti per l’energia elettrica per un valore di milioni di euro.
La loro scommessa? In Ungheria i prezzi dell’elettricità a breve termine sarebbero aumentati subito dopo l’alba, perché a causa della nebbia la produzione degli impianti solari sarebbe stata molto inferiore al previsto. Ed è andata così. Per qualche minuto, prima che la nebbia si diradasse, i prezzi dell’elettricità sono schizzati in alto, e i computer hanno fatto soldi.
Questa scena – che mi è stata raccontata da chi quella mattina controllava i computer – descrive bene una nuova categoria di operatori che sta sovvertendo i mercati europei dell’energia senza farsi notare. Combinano le meraviglie dell’informatica e le previsioni meteorologiche più avanzate con gli sconvolgimenti prodotti dalla transizione all’energia verde e dall’invasione russa dell’Ucraina. E stanno facendo soldi a palate.
“È assurdo quanto guadagnano”, dice Mogens P. Sorensen, ex operatore del mercato dell’energia e oggi consulente. “In Europa con il trading dell’elettricità si fanno miliardi”.
Dove un tempo dominavano le aziende statali, ora gli affari sono gestiti da startup ambiziose piene di laureati geniali e giovani ingegneri in felpa e cappuccio. Si può dire che siamo davanti alla Silicon valley dello scambio di contratti dell’energia in Europa. Come nella sua controparte californiana, anche qui dominano i computer, i trading desk automatizzati, come li chiamano nel settore. Ma in questo caso il quartier generale sono due pittoresche cittadine nella Danimarca rurale del nord, Aarhus e Aalborg, a più di tre ore di treno da Copenaghen.
Cinque anni fa l’industria aveva dimensioni ridotte, con le maggiori aziende che nell’insieme registravano utili netti per cento milioni di dollari all’anno al massimo. Oggi è un colosso: secondo un’analisi realizzata da Bloomberg, nel 2022 le stesse aziende hanno prodotto circa cinque miliardi di profitti.
Una mattina di nebbia
Nonostante cifre così alte, queste imprese sono sconosciute. Al di fuori degli addetti ai lavori, pochi hanno sentito nominare la Danske Commodities, la Norlys Energy Trading, la Mft Energy, la Centrica Energy Trading, la InCommodities e la Nitor Energy. Quasi mai quotate, sono controllate da una manciata di alti dirigenti e valgono decine e, in alcuni casi, centinaia di milioni di dollari. Gli europei dovrebbero sapere che queste aziende li aiutano a tenere accese le luci. Sono quelle che avvicinano la domanda e l’offerta, rispondendo alle oscillazioni del meteo e comprando e vendendo energia in anticipo, con i consumatori che spesso ne pagano il prezzo.
Questo scambio di contratti elettrici a breve termine è una componente cruciale della spinta europea verso l’energia rinnovabile e della lotta alla crisi climatica. Ma con i governi che spendono miliardi in sussidi energetici, sostenendo di fatto la domanda e gli affari degli operatori, c’è il rischio reale di privatizzare i guadagni e socializzare le perdite, anche se l’industria lo nega.
Nonostante la crescita sbalorditiva, le aziende indipendenti di trading energetico hanno ricevuto poca attenzione dai politici. Forse molti le considerano solo un problema danese, ma in Europa tutti dovrebbero occuparsene. Il punto sarà garantire che questo settore contribuisca allo sviluppo dell’energia rinnovabile e alla stabilizzazione dei prezzi dell’energia per le famiglie e le imprese. Fare profitti con il trading è legittimo, ma non devono accumulare guadagni a spese dell’efficienza della rete.
Le origini degli speculatori danesi risalgono agli anni novanta, quando i paesi nordici si lanciarono nell’esperimento molto liberale di affrancare il mercato dell’energia dal controllo dello stato. Altri, dal Regno Unito alla Spagna fino alla Germania, seguirono il loro esempio negli anni successivi. Per la prima volta le aziende private potevano comprare e vendere elettricità senza problemi in tutto il continente. Ma all’inizio le opportunità erano rare. Il mercato era ancora dominato dalle grandi compagnie pubbliche e i prezzi dell’elettricità all’ingrosso erano relativamente stabili.
L’espansione dell’eolico e del solare ha cambiato la situazione. Tradizionalmente le aziende pubbliche pianificavano la produzione di elettricità per ogni stagione, basandosi prevalentemente sul carbone, sul nucleare e sul gas. Il mercato all’ingrosso era un affare tranquillo, con acquisti e vendite organizzati per tempo. Il contratto più popolare era quello a un anno. Il ruolo degli intermediari finanziari era residuale e i prezzi s’impennavano solo quando un periodo di freddo faceva aumentare la domanda di elettricità per il riscaldamento.
All’inizio le opportunità erano rare. Il mercato era ancora dominato dalle aziende pubbliche e i prezzi dell’elettricità erano stabili
Con l’aumento delle fonti rinnovabili è cambiata la natura del mercato. Se in passato le condizioni meteorologiche influenzavano soprattutto la domanda, con l’impetuosa crescita delle rinnovabili hanno cominciato a condizionare l’offerta: una mattina di nebbia significava poca energia solare; una settimana serena equivaleva a zero energia eolica. E viceversa: a volte il problema era troppo sole o troppo vento, e quindi i prezzi potevano scendere sottozero, con i produttori che dovevano pagare i consumatori perché usassero l’energia. La rete elettrica europea era diventata molto più soggetta alle forti oscillazioni di prezzo.
Le aziende di trading nate durante la liberalizzazione dell’industria energetica intuirono l’opportunità. La variabilità dell’energia eolica e solare richiedeva un nuovo insieme di competenze. Gli operatori dovevano lavorare insieme ai meteorologi per anticipare l’equilibrio tra domanda e offerta in tempo reale. Invece di vendere e comprare energia con mesi o perfino anni di anticipo, come si faceva in passato, si specializzarono nei contratti a breve termine. Anzi, in quello più breve in assoluto: i prossimi trenta minuti.
A fare da apripista è stata la Danske Commodities, che nel 2009 ha creato la prima azienda di trading dell’elettricità ad Aarhus. La cittadina offriva tre vantaggi: si trovava in Scandinavia, la regione che per prima aveva aperto i mercati dell’energia; la Danimarca è stata pioniera nel campo delle rinnovabili, con la Vestas Wind Systems, uno dei più grandi produttori di turbine eoliche, con sede sempre ad Aarhus; e in quanto città universitaria, Aarhus aveva un flusso continuo di laureati. La Danske Commodities, oggi di proprietà della compagnia petrolifera norvegese Equinor, poteva essere un’incubatrice di talenti. Molti operatori cresciuti nell’azienda avrebbero poi lanciato una propria impresa.
Il tranquillo mercato degli ultimi anni novanta e dei primi anni duemila volgeva al termine. In quel periodo il prezzo all’ingrosso dell’elettricità per il giorno successivo in Scandinavia non aveva mai avuto oscillazioni superiori ai 125 euro per megawattora. Tra il 2020 e il 2023, tra valore massimo e minimo, i prezzi hanno fluttuato di quasi 500 euro per megawattora. In appena un anno nella regione i prezzi per il giorno successivo hanno raggiunto il massimo storico di 462,10 euro nell’agosto del 2022 per crollare al record minimo di -4,14 euro nell’agosto del 2023.
Le oscillazioni ora possono essere enormi, perfino nell’arco di una serata, creando opportunità di trading a breve termine per miliardi di dollari. Più o meno nello stesso periodo in cui la nebbia avvolgeva l’Ungheria, nell’autunno del 2023, sulle isole britanniche si registravano condizioni meteorologiche variabili. Il 21 dicembre è prevalso il bel tempo, e la quasi totale assenza di vento ha costretto il paese ad affidarsi prevalentemente al gas per generare energia. Il costo dell’elettricità sul mercato all’ingrosso ha raggiunto un massimo di 216 sterline per megawattora intorno alle ore 18, perché la domanda è cresciuta quando il paese si è messo ai fornelli per preparare la cena. Solo qualche ora dopo una tempesta ha attraversato le isole britanniche e la velocità del vento è cresciuta, proprio mentre la popolazione andava a letto e quindi diminuiva nettamente la domanda di elettricità. I prezzi dell’energia sono crollati di quasi il 99 per cento, fino a 3,20 sterline per megawattora.
Per gli operatori specializzati nelle materie prime la ricetta per fare soldi è semplice: comprare le risorse naturali in un certo posto e in un certo momento, e venderle da qualche altra parte successivamente, con la speranza di ricavare qualcosa sfruttando la differenza di prezzo. Il “ma” è che questo tipo di operazioni ha margini sottili come una lama.
Di solito i profitti di singoli scambi, come sfruttare una fluttuazione del 99 per cento nel prezzo dell’elettricità all’ingrosso britannica, si misurano in migliaia, e non in milioni di euro. Per avere successo, le aziende devono comprare e vendere molte volte.
E qui entrano in scena i trading desk automatizzati. Gli operatori danesi sono stati i primi a puntare sulla finanza online, approfittando della digitalizzazione del mercato (chi tratta il petrolio, invece, ha ancora a che fare con i fax; anche nel caso dei metalli bisogna maneggiare documenti di spedizione cartacei). Quindi si sono trovati nella posizione migliore per approfittare delle enormi fluttuazioni del prezzo del gas e dell’elettricità negli ultimi tre anni. Lo dimostrano i profitti. Prendiamo la Danske Commodities, guidata dall’amministratrice delegata Helle Østergaard Kristiansen. Fino al 2020 l’azienda non aveva mai registrato un utile netto superiore ai 75 milioni di euro all’anno. La prima volta che i suoi guadagni hanno superato la barriera dei cento milioni è stata nel 2021, quando ha incassato un utile netto di 302 milioni; un anno dopo la cifra è schizzata a 1,47 miliardi.
Una storia simile si è ripetuta per altre aziende nel nord rurale della Danimarca. Quelle che nel 2019 o nel 2020 facevano due o tre milioni di euro di profitto, dando lavoro ad appena dieci persone, nel 2022 guadagnavano decine di milioni. All’improvviso le imprese più grandi sono passate da profitti per qualche decina di milioni a parecchie centinaia di milioni o perfino un miliardo di euro.
È stato uno dei più grandi boom che lo scambio di materie prime abbia mai conosciuto. E ancora più significativo è il fatto che tutto questo non è avvenuto a Londra, Francoforte, Parigi o Ginevra, ma in un angolo remoto e pittoresco della mappa finanziaria europea.
Stando ai loro bilanci, in diverse aziende il return on equity (roe, redditività del capitale proprio), una misura del profitto simile ai guadagni di un fondo speculativo, è cresciuto di più del 100 per cento. Lo dimostra bene la InCommodities, che sta registrando una crescita particolarmente veloce. È stata fondata solo sette anni fa da un gruppo di operatori che volevano applicare la tecnologia d’avanguardia alla speculazione sull’energia. Nel 2021 ha venduto una quota di capitale del 5,5 per cento alla Goldman Sachs. Nel 2022 ha registrato un roe del 260,8 per cento e i suoi utili netti sono lievitati a 1,05 miliardi di euro, dieci volte il massimo storico. L’azienda, che è guidata da Jesper Johanson e ha poco più di cento dipendenti, ha attribuito gli straordinari profitti del 2022 alle “notevoli fluttuazioni dei prezzi” sui mercati europei dell’energia e del gas.
Ciò che distingue la Danske, la InCommodities e gli altri nuovi operatori è che quasi sempre non producono elettricità. A differenza delle unità dedicate alla borsa di grandi gruppi come la Rwe Supply & Trading e l’Ef Trading, si occupano solo di comprare e vendere, senza avere alle spalle una grande azienda che gestisce centrali termoelettriche, impianti nucleari, fattorie solari o turbine eoliche. Meno proprietà significa meno denaro vincolato e un tasso di rendimento molto più alto.
Un errore
Finora pochi governi hanno prestato attenzione alla rivoluzione europea del trading di elettricità. È un errore. In primo luogo, perché è una questione importante: tenere accese le luci e agevolare gli investimenti nell’energia pulita sono fattori cruciali per il benessere economico. In secondo luogo, perché oggi sono in gioco somme molto consistenti e quindi anche il potenziale di un rischio sistemico è alto. E infine, perché questo è solo l’inizio. Se la transizione ecologica avrà successo, le oscillazioni nell’offerta e nella domanda di energia – e quindi il prezzo dell’elettricità – diventeranno necessariamente maggiori.
Fortunatamente, i politici europei partono da una posizione di forza: tra tutti i mercati di beni materiali del continente, quello dell’elettricità e del gas ha forse la migliore regolamentazione, grazie a una legge chiamata Remit. Il Regolamento sull’integrità e la trasparenza dei mercati energetici all’ingrosso (Remit) è entrato in vigore nel 2011 e riguarda i mercati del metano e dell’elettricità. Proibisce lo sfruttamento di informazioni riservate per la compravendita – cosa che, sorprendentemente, è legale in molti altri mercati di materie prime, petrolio compreso – e obbliga anche i partecipanti al mercato a condividere pubblicamente le informazioni. Vieta gli abusi e la manipolazione del mercato.
Ma serve più vigilanza. Nel giugno del 2023 Joachim Nagel, presidente della Bundesbank, la banca centrale tedesca, ha lanciato un avvertimento su questo rischio dichiarando seccamente: “È evidente che il mercato dell’energia è molto opaco, non trasparente, e richiede una regolamentazione più stringente”.
La proliferazione di trading desk automatizzati, con cui il processo di compravendita è superveloce, è un elemento di preoccupazione. Nel 2022 l’Agenzia per la cooperazione tra i regolatori nazionali dell’energia (Acer) ha riferito di aver monitorato 4,4 miliardi di transazioni nei mercati dell’elettricità e del gas durante tutto l’anno, cioè 139 al secondo. Se il mercato dell’elettricità è così veloce che solo i computer possono operarvi, sicuramente solo i computer possono monitorare e trovare eventuali illeciti. E dubito che gli algoritmi usati dalle autorità di vigilanza siano anche solo lontanamente efficaci come quelli usati dagli operatori.
L’Acer e le autorità nazionali devono investire nella capacità dei loro computer per tenere il passo del mercato. Il quadro normativo aggiornato, noto come Remit 2.0, dovrebbe focalizzarsi anche sul trading ad alta frequenza. Dal momento che una grossa parte degli scambi supera i confini nazionali, le autorità devono anche rafforzare le squadre investigative transfrontaliere in grado di perseguire infrazioni in tutta Europa.
La combinazione di grosse somme di denaro, regolamentazione blanda e mercati giovani ha creato opportunità per comportamenti scorretti e criminalità. Nell’aprile 2023 la polizia danese ha accusato otto operatori attivi ad Aarhus di manipolare i mercati dell’energia elettrica (si sono dichiarati non colpevoli). Il caso, ancora in corso, ha fatto tremare la Silicon valley del trading europeo dell’energia.
L’industria danese, in particolare, ha un altro problema. La concentrazione di attività in due cittadine, con l’appoggio di una manciata di banche, mette a rischio l’intero sistema. Quando i prezzi dell’elettricità e del gas si sono impennati, nel 2022, gran parte delle aziende di Aarhus e Aalborg ha faticato a trovare il denaro necessario per non restare indietro. Si parlava di somme enormi. La Equinor, per esempio, ha dovuto iniettare 3,5 miliardi di euro nella Danske Commodities per aumentarne la liquidità. In privato molte aziende hanno ammesso di aver superato i limiti di credito.
I danesi non sono stati gli unici in difficoltà. Lo erano anche molti altri operatori, compresi quelli controllati da grandi gruppi in altri paesi d’Europa, perché dovevano affrontare una carenza di liquidità dovuta all’aumento dei prezzi alla fine del 2021 e per tutto il 2022. La crisi era così grave che la Federazione europea dei trader di energia, una lobby dell’industria, si è spinta a chiedere alla Banca centrale europea e alla Banca d’Inghilterra di fornire denaro dei contribuenti per tenere a galla il settore. La Bce ha respinto la richiesta, mentre il governo britannico ha creato un programma per iniettare liquidità.
I politici europei dovrebbero considerarlo un segnale d’allarme. Il trading dell’elettricità non ha capitali sufficienti rispetto alle dimensioni delle sue scommesse. Imporre requisiti sul capitale minimo è una misura che l’industria detesterebbe, soprattutto le aziende piccole e medie di Aarhus e Aalborg, ma è un provvedimento che le autorità di vigilanza dovrebbero valutare. Il pericolo è che una compagnia di trading fallisca, scatenando una cascata di insolvenze in tutto il settore e minacciando la stabilità della rete elettrica.
Gli operatori specializzati nelle materie prime di regola si arricchiscono in segreto. Seguendo la tradizione, anche i trader di elettricità danese sono discreti, ma non si nascondono. Pubblicano i loro bilanci annuali, specificando quanto guadagnano e quanto pagano di tasse. Quando sono andato ad Aarhus e Aalborg, alla fine del 2023, molti dirigenti con cui ho parlato erano sorpresi dallo scarso interesse dei politici europei per le loro attività.
A differenza del settore bancario, l’industria del trading di materie prime non è troppo grande per fallire. Ma è troppo grande per essere ignorata. Cinque anni fa gli operatori danesi erano abbastanza piccoli da non attirare molto interesse. Oggi non è più così. ◆ gc
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1550 di Internazionale, a pagina 58. Compra questo numero | Abbonati