Più di un anno dopo che il grande movimento di protesta Aragalaya ha costretto alla fuga il presidente dello Sri Lanka Gotabaya Rajapaksa e suo fratello, il primo ministro Mahinda Rajapaksa, gli srilanchesi sono di nuovo in piazza. A riaccendere la rabbia dell’opinione pubblica è stato l’accordo di salvataggio siglato a marzo tra il Fondo monetario internazionale (Fmi) e il governo del presidente Ranil Wickremesinghe. Per affrontare l’attuale crisi della bilancia dei pagamenti, l’accordo offre allo Sri Lanka meno di tre miliardi di dollari in quattro anni, una minuscola parte di quello che serve al paese per pagare gli interessi sul debito.
In cambio di questo prestito di emergenza, l’Fmi ha imposto una serie di condizioni che hanno peggiorato la crisi dei salari e ridotto il potere d’acquisto. Il passaggio obbligatorio ai tassi di cambio del mercato, in particolare, ha causato una svalutazione della moneta, ha provocato l’impennata dei prezzi del carburante e dei generi alimentari importati e ha contribuito a un aumento del 165 per cento delle tariffe per l’energia elettrica tra il giugno 2022 e il febbraio 2023. Con l’imposizione di vincoli fiscali, l’economia ha proseguito nella sua spirale verso il basso, con una contrazione di oltre il 7,8 per cento nel 2022 e dell’11,5 per cento nel primo trimestre del 2023. Questo ha avuto un impatto negativo sull’occupazione, sui redditi e sulla sostenibilità di piccole e medie imprese: nel 2022 i salari reali sono crollati del 30-50 per cento e sono rimasti stagnanti.
Prendendo di mira i fondi pensione, il piano di ristrutturazione del debito messo a punto dal governo rischia di aumentare le disuguaglianze etniche, di classe e di genere
Nonostante i proclami sull’importanza della lotta alla corruzione e del contenimento dei flussi finanziari illeciti, il piano dell’Fmi non affronta efficacemente questi problemi. E, anche se include un modesto aumento delle tasse sui profitti delle aziende, trascura la possibilità d’imporre tasse sui patrimoni.
L’attuale ondata di proteste in parte è una reazione alla decisione del governo di rispettare la richiesta dell’Fmi di ristrutturare sia il debito estero sia quello pubblico: invece di concentrarsi sull’abbassamento del debito estero portandolo a livelli sostenibili, infatti, l’accordo punta a contenere quello totale, riducendo di conseguenza il rimborso ai creditori stranieri di un mero 30 per cento. Una scelta difficile da spiegare. Se una valuta non serve da riserva globale, come fa invece il dollaro, per il paese che la usa c’è una netta distinzione tra il debito interno e quello estero. Un governo può coprire il debito pubblico usando la valuta nazionale controllata dalla banca centrale. Ma per onorare il debito estero servono entrate in valuta pregiata o nuovi prestiti.
Lo Sri Lanka non può pagare gli interessi sul debito estero perché le sue riserve in valuta sono insufficienti. Dal 2016 il governo ha preferito contrarre nuovi prestiti internazionali, soprattutto da privati, per rimborsare i creditori esteri. All’inizio del 2022 ha scelto la via dell’insolvenza invece di esplorare soluzioni alternative.
Ridurre il debito pubblico in un’economia già in declino, però, è un’operazione dolorosa e anche inutile. Il debito pubblico dello Sri Lanka è in mano a diversi soggetti, tra cui la banca centrale, la banca commerciale e i fondi pensione. Poiché il sistema bancario del paese è debole, gli effetti più pesanti li subiranno i fondi pensione, in cui i lavoratori hanno versato i risparmi di una vita.
Tanti lavoratori percepiscono salari decisamente al di sotto della soglia minima tassabile. Tra loro ci sono le donne impiegate nel settore tessile e i lavoratori nelle piantagioni di tè, soprattutto quelli appartenenti alla minoranza tamil. Questi gruppi hanno già sperimentato un peggioramento delle condizioni di vita. Oggi quasi il 56 per cento dei 22,2 milioni di srilanchesi è alle prese con la precarietà sociale ed economica e donne e bambine sono le più colpite. Le stime ufficiali suggeriscono che circa il 43 per cento dei bambini al di sotto dei cinque anni soffre di malnutrizione, un fenomeno che colpisce anche le donne in gravidanza o in allattamento.
Prendendo di mira i fondi pensione, il piano di riduzione del debito pubblico deciso dal governo rischia di aumentare le disuguaglianze etniche, di classe e di genere. Con l’erosione dei loro risparmi, i poveri saranno spinti ancora di più verso l’indigenza. Nel frattempo il processo di aggiustamento del debito fa affidamento sul lavoro non retribuito delle donne che continuano a fornire cure e assistenza in questo periodo di austerità e di riduzione dei servizi sociali. Le difficoltà delle srilanchesi operaie evidenziano come la crisi abbia ripercussioni diverse in base al genere.
Per costruire una ripresa solida, allo Sri Lanka servirebbe un cambio di strategia: il governo e l’Fmi dovrebbero sforzarsi di migliorare la vita dei lavoratori, invece di riversare sulle loro spalle il peso dell’aggiustamento del debito. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1531 di Internazionale, a pagina 48. Compra questo numero | Abbonati