Il calcolo dei soldi che mancano è diventato una fissazione nel settore dello sviluppo internazionale. Non passa giorno senza che vengano fatte nuove stime sui fondi di cui i paesi a basso e medio reddito hanno bisogno per raggiungere gli obiettivi sul clima e quelli di sviluppo sostenibile (sdg) stabiliti dalle Nazioni Unite. Secondo le stime dell’Independent high-level expert group on climate finance le economie emergenti e in via di sviluppo (esclusa la Cina) dovranno trovare 2.400 miliardi di dollari (circa 2.210 miliardi di euro) all’anno da qui al 2030 per sostenere misure di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici. Per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile servirebbero altri 3.500 miliardi di dollari all’anno. Anche il rapporto delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo del 2023 suggerisce che gli stati a basso e medio reddito hanno bisogno più o meno di quattromila miliardi di dollari all’anno per raggiungere gli obiettivi sul clima e lo sviluppo.
Stime di questo tipo possono suscitare reazioni diverse. In teoria dovrebbero incoraggiare politiche nazionali e internazionali più ambiziose. Ma possono anche distrarre e demoralizzare, soprattutto alla luce del fatto che i finanziamenti attuali per il clima e lo sviluppo sono insufficienti. Un numero crescente di esperti è convinto che i governi e gli organi internazionali da soli non possono soddisfare i bisogni dei paesi in via di sviluppo.
Bisogna aumentare le entrate pubbliche dei paesi a basso e medio reddito, facilitando la riduzione dei debiti sovrani per assicurarsi che le multinazionali e i ricchi siano tassati
A prima vista è difficile contraddire questa argomentazione. La stragrande maggioranza dei patrimoni finanziari mondiali, stimati oggi intorno ai 470mila miliardi di dollari, è privata. Se anche solo l’1 per cento di queste risorse fosse reindirizzato verso iniziative per il clima e lo sviluppo si potrebbero realizzare anche gli obiettivi più ambiziosi. Questi calcoli hanno contribuito a rendere popolare lo slogan “dai miliardi ai trilioni”, con cui si chiede a governi e banche di sviluppo di puntare soprattutto sugli investimenti dei privati.
Questo approccio è soprattutto la linea della Banca mondiale, in particolare del suo presidente Ajay Banga, che ha passato gran parte della carriera nel settore privato. La nuova strategia della banca si concentra su quattro priorità: garantire la certezza delle norme, fornire assicurazioni contro i rischi politici, mitigare quelli legati ai cambi di valuta e attuare un modello basato sul “concedere per distribuire”, cioè un sistema per trasformare i prestiti in titoli trasferibili in modo da poterli vendere più facilmente agli investitori.
Alcune di queste priorità non sono nuove. La Banca mondiale sostiene da tempo la necessità di regole certe, che spesso vuol dire deregolamentazione, e di stabilità politica, anche se è difficile misurare la loro efficacia.
Lascia perplessi il sostegno della banca al modello “concedere per distribuire”, tenuto conto di tutte le volte che la cartolarizzazione (la trasformazione dei prestiti in titoli di borsa) ha scatenato crisi finanziarie sia nei paesi ricchi sia in quelli in via di sviluppo.
Com’era prevedibile, i vari fondi creati dall’istituto per incoraggiare gli investimenti privati hanno avuto fin qui un impatto limitato.
I problemi dell’approccio “dai miliardi ai trilioni” però non si limitano certo alla Banca mondiale. Tanto per cominciare, non è chiaro l’impatto che questa strategia potrebbe avere sulla disponibilità di fondi per la spesa pubblica. Ed è difficile garantire che il capitale privato raggiunga i risultati attesi.
Gli organismi internazionali come le banche multilaterali di sviluppo hanno ridotto i prestiti proprio quando ce ne sarebbe stato più bisogno. Se impegneranno ulteriori risorse per limitare i rischi degli investitori privati, i fondi disponibili per i servizi pubblici si ridurranno ancora di più. Se i governi e le istituzioni internazionali continueranno a tagliare le risorse, è poco probabile che i privati si facciano avanti per colmare il divario.
Il problema è aggravato dal fatto che è difficile assicurarsi che i soggetti privati rispettino gli impegni presi. Secondo la linea prevalente, si offrono incentivi, per esempio sussidi e copertura dei rischi, senza però stabilire condizioni chiare, meccanismi di attuazione e norme per punire comportamenti monopolistici.
È il momento di superare questa mentalità e far sì che i miliardi che abbiamo siano spesi in modo più saggio. Bisogna aumentare le entrate pubbliche dei paesi a basso e medio reddito, facilitando la riduzione dei debiti sovrani e rafforzando la cooperazione per assicurarsi che le multinazionali e gli straricchi siano tassati in modo adeguato. Prese insieme, queste misure hanno molte più probabilità di generare le migliaia di miliardi di dollari necessari ai fondi per il clima e alla crescita nel mondo in via di sviluppo. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1564 di Internazionale, a pagina 44. Compra questo numero | Abbonati