A Cuba circolano varie massime sulla politica, conosciute da tutti. Una dice: “La strada è dei rivoluzionari”. Sull’isola la politica – e la tranquillità personale – si misura con l’essere o meno rivoluzionario. Come per Amleto, non esistono vie di mezzo. Dal punto di vista del governo, significa che le persone sono a favore del regime o contro. Perché il governo è la rivoluzione, dato che è composto dai suoi eredi, gli unici a possedere la verità su questo termine.

Quando l’11 luglio 2021 migliaia di persone sono scese in strada per protestare in tutte le province del paese, è successo qualcosa d’importante e inedito negli ultimi sessant’anni. Più che le possibili conseguenze, è stato straordinario il fatto in sé: la gente ha occupato uno spazio pubblico sacralizzato e considerato proprietà esclusiva dei “rivoluzionari”. Verso mezzogiorno, sui social network hanno cominciato a circolare i video delle proteste di San Antonio de los Baños, a sudest della capitale L’Avana. La contestazione ha preso il via nel parco della città ed è arrivata fino alle sedi del Partito comunista e del governo locale. I partecipanti sfilavano in bicicletta, su moto elettriche o a piedi. Si conoscevano, e condividevano le stesse rivendicazioni. Gridavano: “Mancano le medicine”, “Fino a quando durerà tutto questo?”, “Abbasso il governo”, “Libertà”.

Per comprendere le proteste bisogna tenere presente come ci si è arrivati. La rivolta non è nata per reazione, ma per accumulo. Il paese attraversa una profonda crisi economica che influisce sulla vita sociale e politica. A questo si aggiunge un peggioramento della situazione sanitaria a causa di una nuova ondata di contagi di covid-19, nonostante a Cuba sia stato approvato il primo vaccino sudamericano e un secondo sia quasi pronto. Quasi un milione di cubani ha completato l’iter vaccinale. I numeri sono chiari. Fino al 12 aprile del 2021, a poco più di un anno dall’inizio della pandemia nel paese, i decessi erano stati 467, con 87.385 contagi. Tre mesi dopo, il 12 luglio, le vittime erano 1.579, i casi 224.914. La situazione più grave si registra nella provincia di Matanzas, dove si trova Varadero, principale polo turistico del paese. Ma il premier Manuel Marrero Cruz ha ribadito che l’aumento delle infezioni non è legato ai turisti, in maggioranza russi, che continuano ad arrivare sull’isola.

Nelle scorse settimane su Twitter era stata lanciata la campagna #SOSMatanzas per denunciare il collasso degli ospedali e chiedere aiuti umanitari. Avevano aderito varie personalità internazionali, come l’ex attrice pornografica libanese statunitense Mia Kalifha, il cantante spagnolo Alejandro Sanz, il rapper portoricano Daddy Yankee, l’attore e regista spagnolo Paco León e Residente, il cantante del duo di hip-hop portoricano Calle 13. Inoltre il paese affronta una grave carenza di medicinali e generi alimentari e il ritorno delle interruzioni di corrente, causate dai danni alle centrali e dalla mancanza di combustibile.

Troppo tardi

Durante l’amministrazione di Donald Trump il governo degli Stati Uniti ha approvato 243 misure per inasprire l’embargo che soffoca l’economia cubana da più di sessant’anni. Gli effetti sono evidenti non solo sul governo ma anche sulle famiglie. Il divieto d’inviare rimesse e le limitazioni ai voli commerciali tra i paesi sono due esempi. I generi alimenti e i beni di prima necessità si possono comprare solo nei negozi che commerciano in valuta estera. Alla fine del 2019 il governo aveva annunciato l’apertura di questi negozi, per recuperare valuta e acquistare all’estero elettrodomestici e prodotti di alta gamma. A metà del 2021 erano diffusi in tutto il paese e sono quasi l’unica scelta possibile per le famiglie. Eliminarli è una delle richieste dei manifestanti. Negli ultimi mesi è aumentato il tasso di cambio con il dollaro statunitense e altre valute. Il potere d’acquisto delle persone è diminuito e la disuguaglianza sociale è aumentata.

Per questo, quando a San Antonio sono arrivati i rappresentanti del governo, era ormai troppo tardi: le proteste si erano diffuse in più di quaranta città. Non c’è stata alcuna organizzazione né una leadership riconoscibile. La gente ha semplicemente deciso di scendere in strada per far sentire la propria voce, vedere cosa stava succedendo o protestare. Laura Vargas, una ragazza che ha percorso a piedi sette chilometri per raggiungere il centro cittadino da casa sua a Luyanó, racconta che “in strada c’era gente umile, molti giovani. Mi ha sorpreso il numero di adulti. Non sapevamo bene dove andare, e quando siamo arrivati al comune c’erano pattuglie e ufficiali della guardia civil che non volevano farci passare. Lì è cominciata la violenza”.

Da sapere
Arresti a sinistra

◆ Durante le proteste dell’11 luglio 2021 sono state ferite decine di persone e circa cento sono state arrestate. Tra queste ci sono anche esponenti della sinistra cubana. In una dichiarazione congiunta dal titolo “Liberar a Frank García Hernández y a sus compañeros”, intellettuali e personalità di spicco della sinistra internazionale chiedono il rilascio dei giovani marxisti e socialisti arrestati. Tra i firmatari della petizione ci sono il linguista statunitense Noam Chomsky, il filosofo francese Étienne Balibar, la filosofa statunitense di origine bengalese Gayatri Chakravorty Spivak, il politico e giurista ispano-argentino Gerardo Pisarello e lo storico e politologo belga Éric Toussaint. Frank García Hernández, sociologo, storico, giornalista e militante comunista, noto per i suoi studi sulla sinistra cubana, è stato arrestato l’11 luglio all’Avana, con l’accusa di provocare disordine pubblico, e poi messo agli arresti domiciliari. Tra gli altri arrestati ci sono gli studenti Leonardo Romero Negrín e Marcos Antonio Pérez Fernández; Maikel González Vivero, direttore della rivista Tremenda Nota, e Mel Herrera, attivista per i diritti lgbt+. OnCuba


Anche negli altri centri la protesta non è stata organizzata. Sono scese in piazza le persone che non avevano nulla da perdere. C’erano artisti, intellettuali e persone di tutti i livelli d’istruzione, convinte che si stesse presentando un’opportunità di lotta politica. La maggior parte proveniva dai settori popolari e dai quartieri periferici, non aveva legami politici né sindacali. È la gente che si mette in fila per ore davanti ai negozi, che non trova da mangiare né medicinali per i figli, e che non pensa alla politica o alle promesse di cambiamento.

In risposta alle proteste sono scesi in piazza i sostenitori del governo, che poi sono diventati gli “eroi” della storia. I video mostrano azioni pacifiche e violente. Sono stati compiuti atti vandalici e furti. Qualcuno ha scagliato pietre, rovesciato auto della polizia e saccheggiato i negozi. Le forze dell’ordine e i manifestanti filogovernativi hanno risposto picchiando, sparando, fracassando le telecamere, minacciando. Il bilancio è un numero indefinito di arrestati, nessuno tra i manifestanti governativi. Su entrambi i fronti le proteste sono state un’occasione di rivalsa in una società da anni infiammata dalla polarizzazione e dai conflitti.

Il successo della protesta – se di successo si può parlare – sta nella disorganizzazione e nella sorpresa: era difficile credere a quello che stava succedendo. Era altrettanto difficile immaginare che a Cuba la polizia rivoluzionaria e popolare potesse attaccare il popolo. Diubis Laurencio, 36 anni, è la prima vittima confermata.

Con il calare delle notte si è placata la protesta, ma non l’euforia. Nei giorni successivi in alcune aree ci sono stati altri episodi di ribellione. Ma in generale è tornato l’ordine. Alle proteste sono seguite l’interruzione di internet, la criminalizzazione dei partecipanti e la negazione della legittimità delle loro azioni. La versione del presidente Miguel Díaz Canel è che “si è trattato non di manifestazioni pacifiche spontanee ma di disordini che rispondono a un piano esterno e fanno parte di una guerra dell’informazione contro Cuba”. Il 14 luglio il governo ha tolto i limiti alle importazioni di generi alimentari e medicinali e ha eliminato i dazi doganali.

Molte persone hanno pensato che fosse arrivata l’ora di Cuba. Alcuni aspettano da anni di rovesciare il governo, e molti chiedono un cambiamento. Ma la maggior parte non pensava a cosa sarebbe successo in seguito. Prima del luglio 2021 c’è stato il 27 novembre 2020. Quel giorno un gruppo di artisti aveva chiesto di dialogare con le autorità. L’episodio si era concluso con una vittoria a breve termine e una sconfitta a lungo termine. Negli ultimi sei mesi è aumentata la repressione contro quei giovani, molti dei quali erano sulle strade l’11 luglio. Il loro messaggio è stato sconfessato e travisato, e i mezzi d’informazione ufficiali hanno avviato una campagna diffamatoria contro di loro.

Le proteste dell’11 luglio non segnano l’inizio di una nuova rivoluzione. La popolazione non vuole una guerra civile. È solo una fase di apprendistato democratico, una dimostrazione del fatto che il potere dello stato non è infinito, nemmeno a Cuba. La gente si stanca e perde fiducia. La politica non è più un assegno in bianco consegnato al governo. E anche il governo può perdere la strada. ◆ as

Jessica Dominguez _ è una giornalista cubana. Fa parte di Connectas, una piattaforma che promuove la produzione e la diffusione di contenuti sull’America Latina._

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Questo articolo è uscito sul numero 1419 di Internazionale, a pagina 24. Compra questo numero | Abbonati