In una frizzante mattina di settembre, i passi di Brian Palik cadono silenziosamente su un sentiero, sotto la luce tremolante che penetra attraverso le chiome dei pini rossi nella regione dei Northwoods, in Minnesota. Il pino rosso (Pinus resinosa) è un albero alto e dritto che ama gli inverni freddi e le estati non troppo calde. È l’albero ufficiale dello stato del Minnesota, ed è importante per la sua industria del legname.

Ma il suo regno potrebbe essere vicino alla fine. Nei prossimi decenni il cambiamento climatico renderà il pino rosso e altri alberi dei Northwoods sempre più vulnerabili alla combinazione di estati più lunghe e calde e inverni meno freddi, nonché alla siccità, alle tempeste di vento, agli incendi e agli insetti. Il cambiamento climatico sta alterando le condizioni ecologiche delle regioni fredde troppo velocemente perché gli alberi possano adattarsi o migrare.

Palik, un ecologo forestale che lavora per il dipartimento dell’agricoltura statunitense, si ferma e indica un nuovo arrivato sotto le fronde dei pini rossi: un albero deciduo, un noce americano di otto anni alto circa tre metri. “Se la sta cavando molto bene”, dice.

Questo albero in teoria non dovrebbe sopravvivere nella Foresta sperimentale di Cutfoot, nel Minnesota centrosettentrionale, vicino a Grand Rapids. Probabilmente è nato in un vivaio dell’Illinois, più a sud, dove il gelo invernale è meno intenso. Normalmente, se si trasferisce in un clima freddo come questo una piantina adattata al sud, può essere danneggiata dalle gelate e rischia di non sopravvivere. Ma il fogliame verde e fitto del nuovo arrivato dimostra che è in buona salute.

È un segnale incoraggiante per un progetto che mira a mantenere in vita le foreste in un mondo che si riscalda.

Nel 2016, nell’ambito di un progetto diretto da Palik, il Servizio forestale ha piantato nella foresta di Cutfoot otto specie di alberi nati da semi raccolti fino a diverse centinaia di chilometri più a sud. Quattro specie sono originarie di questa regione: il pino strobo, la quercia rossa, la quercia muscosa e l’acero rosso. Le altre quattro sono rare o non autoctone: la quercia bianca, il noce americano, il ciliegio nero e il pino ponderosa. Vent’anni fa queste ultime avrebbero avuto difficoltà a sopravvivere quassù. Oggi Palik e il suo team vedono prosperare quasi tutti gli alberi che hanno piantato. “Stanno crescendo alla grande”, dice, “e questo dimostra che il clima è adatto a loro”, anche se i ricercatori non sanno ancora come se la caveranno a lungo termine. Per sette delle otto specie, il tasso di sopravvivenza è stato dell’85-90 per cento.

“Il clima che un tempo era tipico del Minnesota meridionale oggi si trova nel Minnesota settentrionale”, spiega Palik. Le condizioni climatiche si sono spostate di circa 300 chilometri a nord in soli vent’anni.

Il progetto di Palik è un esperimento di migrazione assistita delle foreste, cioè il trasferimento degli alberi per fare in modo che gli ecosistemi boschivi si adattino al cambiamento climatico. Queste iniziative di solito non mirano a salvare delle specie in particolare, ma a mantenere in salute le foreste per vari motivi, come l’assorbimento del carbonio, il filtraggio dell’acqua, l’habitat per la fauna selvatica, la bellezza del paesaggio e la produzione di legname.

La migrazione assistita si basa su un modo diverso di pensare alla natura. Mentre la conservazione in genere guarda al passato per capire come ripristinare le zone degradate, questo metodo prevede di piantare alberi tipici di climi più caldi perché potrebbero avere più probabilità di sopravvivere nelle condizioni future.

Uno studio sugli effetti del riscaldamento sugli alberi in Minnesota (Salwan Georges, The Washington Post/Getty)

Da molti anni le aziende forestali private piantano specie alloctone di alberi per migliorare la produzione di legname. Ma le autorità pubbliche sono state caute nei confronti della migrazione assistita a scopo di conservazione. Finora sono stati approvati soprattutto progetti sperimentali e su piccola scala, che prevedono di spostare le popolazioni arboree a distanze relativamente brevi verso le zone più settentrionali dei loro habitat originari.

Tuttavia le crescenti preoccupazioni per gli effetti del cambiamento climatico sulle foreste hanno reso più audace la ricerca sulla migrazione assistita. Questa tendenza sta prendendo piede anche a livello internazionale, con ricerche in corso in Spagna, Canada e Messico. Lo studio di Palik è uno dei 14 progetti di ricerca di una rete denominata Adaptive silviculture for climate change (Ascc). La maggior parte delle iniziative consiste nel piantare alberi più a nord o ad altitudini più elevate rispetto alla loro area d’origine.

Tra i siti scelti in Nordamerica ci sono le foreste miste di larici e conifere di Flat­head, nel Montana, i boschi di pini e latifoglie a Ichauway, in Georgia, le foreste di pecci e abeti del Colorado e i boschi misti di pini e latifoglie dell’Ontario, in Canada. Alcuni scienziati del Servizio forestale federale, tra cui Palik, prevedono che la migrazione assistita passerà da oggetto di studio a normale strategia di gestione.

In linea con questa tendenza, il Servizio forestale statunitense e molte altre agenzie federali e statali stanno rivedendo le loro politiche per includere questa strategia. Il Fish and wildlife service, per esempio, valuta la possibilità di consentire ai gestori delle foreste di trasferire le specie al di fuori del loro habitat storico.

Spostare artificialmente una foresta, dicono alcuni biologi, comporta dei rischi. Le specie trasferite potrebbero diventare invasive o sconvolgere l’equilibrio ecologico locale. Ma secondo Palik “il rischio che si corre non facendo nulla è maggiore”.

Diversificarsi per sopravvivere

La migrazione assistita è stata proposta per la prima volta negli anni ottanta, quando alcuni biologi hanno previsto che le condizioni degli habitat avrebbero potuto cambiare troppo velocemente perché le specie potessero stare al passo. Recentemente qualcuno ha proposto di trasferire le specie in via di estinzione in nuovi habitat dove avrebbero maggiori possibilità di sopravvivere: per esempio i lupi grigi messicani in Arizona, New Mexico e Texas, o le farfalle di Karner più a nord rispetto al Michigan meridionale.

Palik e altri scienziati, tuttavia, stanno lavorando a una soluzione diversa. Vogliono salvare le foreste in declino o a rischio di scomparsa piantando un gran numero di alberi già adattati al clima meridionale, diversificando i boschi in modo che possano sopravvivere.

Grandi aree di foresta potrebbero collassare nel giro di pochi anni, a causa della combinazione tra siccità, infestazioni di insetti e altri fattori

“Le foreste muoiono velocemente e crescono lentamente”, avverte Lee E. Frelich, un ecologo forestale dell’università del Minnesota. Con l’aggravarsi della crisi climatica, dice, alcune foreste potrebbero scomparire ed essere sostituite dall’espansione delle praterie, che non garantiscono lo stesso tipo di habitat per la fauna selvatica e gli altri benefici delle foreste sane. “La scelta”, dice, “è tra introdurre nuove specie o affidarci a quello che produce la natura”, che in caso di cambiamenti climatici estremi “probabilmente per un bel po’ di tempo sarà una vegetazione cespugliosa e non una foresta”.

La crisi climatica ha già provocato gravi perdite. Negli ultimi decenni le foreste di tutti i continenti hanno subìto intense ondate di calore e siccità, afferma il tedesco Henrik Hartmann, ecofisiologo dell’Istituto Julius Kühn per la protezione delle foreste e autore principale di una panoramica sulle morie forestali pubblicata nel 2022 sull’Annual Review of Plant Biology.

Gli estremi climatici fanno naturalmente parte della vita di una foresta, e gli alberi in genere si adattano. Ma ora è diverso. “Questi estremi sono stati sufficienti per portare gli alberi oltre il limite della sopravvivenza”, dice Hartmann.

Le zone in cui gli inverni sono freddi come i Northwoods del Minnesota sono più colpite di altre dal cambiamento climatico, che rende gli inverni più brevi, le estati più aride e le stagioni degli incendi più lunghe.

Il Minnesota ha uno dei climi più freddi degli Stati Uniti perché è influenzato dalla vicinanza dell’Artico. Ma dal 1979 questa regione si è riscaldata a una velocità quadrupla rispetto al resto del pianeta, e ora ha inverni più caldi. Dal 1970 le temperature medie invernali in Minnesota sono aumentate di quasi tre gradi.

Nel territorio del Minnesota corrono i confini tra diversi biomi: le foreste di conifere dei Northwoods, le foreste decidue del centro e del sudest, le praterie a ovest e sudovest, oggi in gran parte trasformate in terreni agricoli.

Ora questi confini stanno scomparendo. Le latifoglie favorite dal riscaldamento hanno cominciato a invadere le foreste di conifere, ed è probabile che molte specie dei Northwoods, come il pino rosso, continueranno a perdere terreno. I ricercatori temono che quando questi alberi scompariranno dalla zona la migrazione degli alberi decidui sarà troppo lenta per sostituirli e garantire la presenza di foreste sane.

Allo stesso tempo, l’ecologia dei North­woods sta diventando più fragile. Con il perdurare del cambiamento climatico, è sempre più probabile che grandi aree di foresta collassino nel giro di pochi anni, a causa della combinazione tra siccità, infestazioni di insetti e altri fattori. Molte specie arboree autoctone potrebbero non ricrescere perché non sarebbero più adatte al clima della regione.

Recentemente, Frelich e i suoi colleghi hanno studiato i possibili effetti del riscaldamento dovuto alle emissioni di gas serra nelle foreste del Minnesota da qui al 2070. Un aumento di un grado rispetto al periodo 1979-2013 consentirebbe alle latifoglie di invadere ulteriormente i Northwoods. Con un aumento di 6 gradi la prateria coprirebbe la maggior parte dello stato, e le foreste di latifoglie resisterebbero solo nell’angolo nordorientale.

Paesaggio lunare

In tutto il mondo gli alberi si spostano a nord e a sud e su e giù per le montagne in risposta ai cambiamenti climatici, sfruttando la dispersione dei semi da parte del vento e degli animali.

Secondo Hartmann, può volerci un millennio prima che molte foreste raggiungano l’equilibrio in una nuova posizione. Questo non è un problema per le foreste, che alla fine migrano, ma lo è per gli esseri umani. In Germania passeggiare nei boschi è uno svago molto popolare, dice Hartmann, ma ora “gli escursionisti sono sconvolti: gli alberi sono tutti morti, sembra di stare sulla Luna”.

Aspettare che crescano nuovi alberi richiede troppo tempo: alcune specie arboree non producono semi prima di 25 anni. “Se vogliamo tutti i vantaggi delle foreste di una decina di anni fa, dovremmo cercare qualcos’altro”, dice Hartmann. “Dovremmo pensare alla conservazione di una foresta, non della foresta come la conosciamo”.

È quello che aveva in mente Julie Etterson, una genetista evoluzionista dell’università del Minnesota a Duluth, quando ha fondato il Forest assisted migration project con i colleghi Meredith Cornett e David Abazs. Etterson temeva che il declino degli alberi autoctoni avrebbe lasciato spazio a specie vegetali invasive e cercava un modo per preservare le foreste spostando gradualmente a nord gli alberi del sud. Il Forest assisted migration project mira a costruire un mercato regionale per piantine di alberi meridionali, coltivate da aziende agricole e vivai locali sulla base delle ricerche di Etterson e Cornett.

Per uno dei loro studi, Etterson e i suoi colleghi hanno preso piantine di quercia rossa e quercia muscosa coltivate da semi raccolti in due zone climatiche diverse: una nel nord del Minnesota e una più meridionale. Gli esemplari sono stati piantati in 16 siti diversi in due zone di semina a nord, e sono stati misurati per tre anni. Le querce rosse provenienti da semi meridionali, abituate a un clima leggermente più caldo, sono sopravvissute più a lungo rispetto al tipo nordico. I risultati delle querce muscose meridionali, sebbene meno omogenei, sono stati generalmente migliori rispetto a quelle settentrionali.

Gli esperimenti di Etterson sulla migrazione assistita forniscono una base scientifica per includere gli alberi adattati al clima nei tentativi di riforestazione in corso nello stato: nel 2023, per esempio, la Nature conservancy ha piantato 1,4 milioni di alberelli nel Minnesota settentrionale nell’ambito di un progetto che punta ad avere dieci milioni di piantine su terreni pubblici entro la fine del 2024. Gli operatori selezionano circa tre quarti delle piantine in modo tradizionale: i semi vengono raccolti da una certa zona climatica, lasciati crescere e ripiantati nella stessa zona. Il resto delle piantine proviene da semi raccolti nelle foreste più a sud.

“Stiamo usando quelle che secondo la scienza sono nelle condizioni migliori per adattarsi al cambiamento climatico”, afferma Chris Dunham, direttore associato per la resilienza delle foreste della Nature conservancy di Duluth. Ma stiamo procedendo lentamente, spiega, “perché ci sono ancora molte cose che non sappiamo dei sistemi naturali”.

Le ricerche vanno a rilento anche per un altro motivo: i vivai dello stato non hanno abbastanza piantine locali per soddisfare la domanda. Così Abazs ha cominciato a organizzare una catena di approvvigionamento più ampia di raccoglitori di semi, coltivatori e acquirenti. L’obiettivo è costruire una rete di cento aziende agricole e vivai, ognuno dei quali coltiverà ogni anno diecimila piantine adattate al sud.

Il Forest assisted migration project suggerirà quali alberi piantare nelle varie zone, definendoli come verdi, gialli o rossi in base ai risultati della ricerca di Etterson e alle esperienze precedenti.

Le specie designate come verdi si possono piantare senza problemi nel nord del Minnesota perché vivono già lì. Gli esemplari di varietà autoctone provenienti dal sud del loro areale verrebbero piantati più a nord, ma sempre all’interno del loro habitat storico. In questo caso si parla di migrazione assistita di una popolazione.

Con gli alberi contrassegnati come gialli è necessaria maggiore cautela. Si tratta di spostare alcune specie oltre il loro habitat attuale perché possano stare al passo con il cambiamento climatico. Questo processo imita la dispersione naturale dei semi. “Sono specie che possono aver cominciato a migrare nella zona o che sono già presenti in piccoli numeri”, spiega Abazs.

Queste piantine meridionali hanno più probabilità di diventare alberi resistenti. Tra le altre cose, gli alberi adattati al clima possono mettere le foglie prima e continuare a crescere più a lungo in autunno, sfruttando un periodo più lungo di fotosintesi.

Infine, gli alberi designati come rossi sono quelli che non potrebbero disperdere naturalmente i loro semi nel nord del Minnesota perché la distanza è eccessiva. Il trasferimento di questa categoria di alberi è definito migrazione assistita di una specie. “Per ora non stiamo prendendo in considerazione questa ipotesi”, dice Abazs.

Una scelta difficile

In base a queste linee guida, una delle specie trasferite nella Cutfoot experimental forest sarebbe stata etichettata come rossa. Ma Palik è convinto che questa conifera avrà un valore inestimabile per il Minnesota settentrionale.

Palik ha preso delle piantine di pino ponderosa ottenute da semi raccolti nel nordovest del Nebraska, centinaia di chilometri più a sud e a ovest, e le ha piantate in appezzamenti sperimentali a scopo di ricerca. Solo un quinto è sopravvissuto, ma i superstiti hanno cominciato a crescere.

L’esperimento fa pensare che il pino ponderosa – un albero ad alto fusto usato dall’industria del legname e già adattato a estati più calde e secche e a inverni più miti – potrebbe un giorno prosperare nel nord del Minnesota se il pino rosso dovesse scomparire. Le latifoglie dei climi temperati continueranno a colonizzare i Northwoods, ma non potranno mai sostituire le pinete che gli abitanti del Minnesota considerano caratteristiche della regione, dice Palik.

Molti gestori forestali potrebbero trovarsi di fronte a una scelta: prendere in considerazione lo spostamento degli alberi meridionali nelle aree settentrionali o ritrovarsi con boschi meno produttivi per il legname e altri usi.

Secondo Palik garantire la continuità delle aree forestali è una priorità assoluta. “Le foreste della fine del secolo non saranno quelle dei nostri nonni”, dice. “Ma saranno le foreste che i nostri nipoti erediteranno”.◆ bt

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Questo articolo è uscito sul numero 1566 di Internazionale, a pagina 68. Compra questo numero | Abbonati