L a città pachistana di Karak, che si trova nella provincia del Khyber Pakhtunkhwa, è nota per il suo rispetto delle tradizioni tribali, anche quando impongono un costo umano enorme. Anche lì, però, le cose stanno cambiando. E sono le donne il motore del cambiamento.
Tra loro c’è Zahida Parveen. Suo padre lavorava alla scuola primaria femminile statale di Karak. Parveen voleva fare l’insegnante e alla morte del padre ha chiesto di prendere il suo posto nell’istituto, sulla base di una legge locale che prevede delle quote riservate ai figli o alle figlie dei dipendenti pubblici. La donna, che era sposata al momento della richiesta, all’inizio ha ottenuto il lavoro. Poco dopo, però, il funzionario distrettuale per l’istruzione di Karak l’ha rimossa dall’incarico, dichiarando che una figlia ha diritto al posto solo se è nubile e condivide la casa con i suoi genitori o se è separata dal marito. Il concetto alla base della decisione del funzionario era che se una donna è sposata allora è da considerarsi sotto la tutela del marito e non può beneficiare del posto di lavoro statale del padre.
Due sentenze recenti della corte suprema di Islamabad rappresentano delle tappe cruciali nel riconoscimento dell’autonomia economica femminile
Il caso è arrivato davanti alla corte suprema. La questione al centro della vicenda era la seguente: una donna sposata è da considerarsi finanziariamente dipendente dal marito oppure no? Nella sua lunga sentenza la corte ha sostenuto che l’interpretazione della legge adottata dal governo del Khyber Pakhtunkhwa era sbagliata. Al contrario, il tribunale ha stabilito che una donna pachistana è un soggetto finanziariamente indipendente anche quando ha un marito. Di conseguenza ha decretato che Parveen è idonea a ricevere i benefici previsti dalla legge a prescindere dal suo stato coniugale o dal fatto che il marito provveda economicamente al suo sostentamento.
Si tratta di una decisione molto significativa. Il primo aspetto, e il più ovvio, è che la sentenza riconosce le donne come soggetti finanziariamente indipendenti. In secondo luogo stabilisce un precedente in base al quale possono ottenere dei benefici a prescindere dal loro stato coniugale. Infine ribadisce il principio che sono cittadine a pieno titolo e con pari diritti. Quest’ultimo punto è importante perché in passato la situazione matrimoniale delle donne – e il potere del marito sulle scelte di vita della moglie – aveva avuto un peso preponderante sull’esercizio dei loro diritti. Zahida Parveen è un’insegnante di una scuola pubblica in un’area remota del paese, ma il suo rifiuto di piegarsi alla volontà del governo ha prodotto un passo avanti decisivo per le donne di tutto il Pakistan.
E questo non è l’unico caso di resistenza alla cultura patriarcale nella provincia del Khyber Pakhtunkhwa. Di recente Syeda Fouzia Jalaal Shah ha presentato un ricorso sulla base dell’articolo 203-D della costituzione pachistana. Nella sua istanza presso il tribunale sciaraitico federale (una corte religiosa che fa riferimento alla legge islamica) Shah ha affermato che a lei e ad altre donne del distretto di Bannu era stato negato il diritto di ereditare delle proprietà di famiglia a causa delle usanze tribali locali. Shah ha citato una forma di pressione nota nella zona come parchi o chaddar, in base alla quale le donne sono costrette a rinunciare ai loro diritti. Il ricorso citava anche alcuni versetti religiosi che stabiliscono il diritto delle donne musulmane di ereditare proprietà.
Nel corso del procedimento il tribunale ha esaminato le risposte di tutte e quattro le province del Pakistan su queste pratiche. Anche se tutte le province hanno negato l’esistenza di consuetudini simili, hanno comunque riconosciuto che le donne erano sistematicamente private dei loro diritti di successione. Il tribunale quindi ha decretato che negare alle donne la loro legittima quota di eredità è illegale e contrario all’islam. Tuttavia la corte non ha riconosciuto a Shah alcun risarcimento, perché questo non rientrava nelle sue competenze. Questa è una distinzione cruciale. Ma anche se la corte non ha risolto il reclamo personale di Shah, ha stabilito un precedente giuridico e morale: le consuetudini tribali che costringono le donne a rinunciare ai loro diritti di proprietà non hanno alcun fondamento legale né religioso.
Queste due sentenze sono delle tappe cruciali nel riconoscimento dell’autonomia economica delle donne. Il fatto che siano state due donne a contribuire in prima persona a questo cambiamento, rifiutandosi di cedere di fronte alle pressioni maschili, dimostra che si stanno alfabetizzando in campo economico e giuridico e che non hanno paura di alzare la voce.
Stiamo vivendo grandi cambiamenti, che possono produrre ansia e paura per il futuro. Anche istituzioni o consuetudini un tempo considerate impenetrabili e inattaccabili possono essere trasformate per un futuro più giusto. A volte il cambiamento può essere una cosa buona. ◆ fdl
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Questo articolo è uscito sul numero 1609 di Internazionale, a pagina 46. Compra questo numero | Abbonati