Nel 1788 i primi 850 coloni inglesi al seguito del comandante Arthur Phillip sbarcarono sulle coste sudoccidentali dell’Australia portando con sé sementi per insediamenti agricoli, animali per l’allevamento e cani da caccia. Non avevano fatto i conti con i canguri: erano aggressivi, per nulla spaventati dall’uomo e muscolosi. Non era facile catturarli. In realtà le popolazioni che abitavano il continente prima della colonia britannica gestivano questi animali da millenni usando principalmente il fuoco, ma nessuno era interessato a imparare da loro. I coloni decisero così di ibridare due delle razze di cani che si erano portati al seguito: il levriero scozzese e il levriero tradizionale. Il primo avrebbe contribuito alla nuova specie con la sua forza fisica e la sua resistenza, il secondo con la sua velocità. Nacque così il cane da canguri o kangaroo dog: le cronache dell’epoca lo descrivevano come il cane più brutto che l’uomo avesse creato, ma al tempo stesso era efficace, poteva catturare e uccidere fino a otto canguri al giorno. La sua fortuna è durata qualche decennio, fino a quando il cane da canguri si è dimostrato più utile nel sottomettere le popolazioni autoctone. La documentarista Jane Curtis attraversa quattro aree dell’Australia per trovare i pochi esemplari rimasti oggi di una razza che nel suo dna contiene una storia di dominio e sopraffazione umana. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1578 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati