Parliamo greco senza saperlo. Durante il mio primo viaggio ad Atene, nel 2012, mi sorpresi vedendo che su un furgone per traslochi c’era scritto “metafora”, perché la parola significa “trasporto” o “trasferimento”. L’etimologia è utile per conoscere l’origine delle cose. Non c’è niente di più logico che le metafore all’inizio trasportassero i mobili da una casa all’altra e oggi servano a fare paragoni.

In Grecia c’è sempre una storia precedente. L’ellenista Carlos García Gual spiega che le tragedie di Euripide, di Eschilo e di Sofocle trattano argomenti che la gente conosceva già. La mitologia ha preceduto la drammaturgia. Edipo era un personaggio leggendario prima ancora di soffrire sul palcoscenico.

L’etimologia è utile per conoscere l’origine delle cose. Non c’è niente di più logico che le metafore all’inizio trasportassero i mobili e oggi servano a fare paragoni

Il viaggiatore contemporaneo si addentra in altri tempi. Una famosa birra si chiama Mythos; un’altra, prodotta artigianalmente a Creta, si chiama Argos (un cameriere di quell’isola mi ha detto che il nome si riferiva non solo alla nave degli Argonauti, ma anche all’ubriachezza che ritardò il loro viaggio).

L’uso dei simboli si estende alle squadre di calcio. Il derby di Atene è Olympiakos-Panathinaikos. L’Olympiakos ha un alloro sullo scudo, il Panathinaikos un trifoglio portafortuna. Nessun altro campionato dà tanta importanza alla vegetazione.

Quando avevo dodici anni, andai con mio padre all’inaugurazione delle Olimpiadi del 1968, a Città del Messico. Mi sorprese che la prima delegazione a sfilare fosse quella greca. Le altre arrivavano in ordine alfabetico. Mio padre mi spiegò che alla Grecia spettava il “diritto dei fondatori”. Un piccolo paese, circondato da isole sparse, aveva inventato quasi tutto: il concetto di bellezza, la democrazia, lo sport, la filosofia. Poco tempo dopo lessi un fumetto in cui si aggiungeva che i greci avevano inventato anche la vite. “Da allora non ne hanno più fatta una giusta”, concludeva il fumettista. La Grecia rappresenta l’anticamera dell’occidente, il retropalco in cui è stato concepito il dramma della modernità. Quando ho cominciato ad apprezzare la lettura, Henry Miller è diventato uno dei miei autori preferiti. In Il colosso di Marussi, Miller racconta il suo fecondo vagabondare per la Grecia. In quel paesaggio gli dèi “vagavano ovunque” ed “erano liberi, elettricamente liberi”. Anche Leonard Cohen fu beatamente triste in Grecia e, alla maniera di Orfeo, ci compose malinconiche ballate d’amore perduto.

Ogni rovina si aggiorna a modo suo. L’oracolo di Delfi esercita un magnetismo verticale: la sua posizione è un delirio fortunato. Il tempio di Apollo è arroccato su una montagna che domina l’orizzonte e i faraglioni di pietra che lo circondano sono essi stessi un altare minerale. Nonostante le orde di turisti che scattano selfie, il sito si presta ai miracoli. Tra i messaggi che decorano il tempio, il più famoso è “Conosci te stesso”, un compito strettamente individuale che non c’impedisce di ricordare che queste colonne sono state toccate anche da Socrate e Platone e, prima ancora, dagli dèi.

La mitologia greca affascina per la condizione drammaticamente umana dei suoi protagonisti, che tramano, invidiano, stringono alleanze, si tradiscono e offrono ricompense sensuali. Miller sottolinea che “la vera gioia dell’archeologo di fronte a una scoperta deve risiedere nella conferma e nella convalida, non nella sorpresa”. Se i precedenti sono forti, lo stupore è una constatazione. Questo vale per le pietre, ma anche per le persone. Quando Miller conobbe il poeta Giorgos Katsimbalis ebbe la sensazione di trovarsi di fronte alla reincarnazione di una divinità. In Grecia il passato non scompare: si aggiorna.

Durante il mio primo viaggio andai sull’isola di Nasso, dove l’ingrato Teseo abbandonò Arianna. L’eroe che entrò nel labirinto per uccidere il Minotauro riuscì a uscirne grazie al filo avuto in dono dall’amata. In cambio, lui la lasciò su una spiaggia con il vento come unica compagnia. Oggi, immensi yacht raggiungono l’isola e mettono alla prova i turisti alla deriva, che rischiano di rivivere il destino di Arianna.

Nella mia quarta visita, nel giugno 2024, ho partecipato a un incontro letterario sull’isola di Lefkada, dove Dasso Saldívar, biografo di Gabriel García Márquez, mi ha spiegato che secondo gli studiosi quella è la vera Itaca di Ulisse. Il paesaggio e i resti di una fonte ne sarebbero stati la prova.

Tuttavia, nelle vicinanze, un’altra isola è chiamata Itaca (c’è chi dice che sia un’invenzione delle agenzie di viaggio per abbindolare i turisti).

Al festival partecipava anche la spagnola María José Solano, che ha scritto sulla cultura dell’antica Grecia. María José voleva raggiungere Itaca a ogni costo, anche se era solo uno scoglio sgraziato. Durante la cena a base di moussakà e melanzane si è discusso sull’autenticità delle cose che vediamo. Quale esperienza è più autentica, scoprire le tracce di Itaca a Lefkada o andare in un luogo che si discosta dalla descrizione di Omero, ma che risponde al nome di Itaca? Entrambe le forme di conoscenza sono valide. Viaggiare dipende da ciò che si guarda, ma anche da quel che aggiunge lo sguardo. Durante la sua presentazione, María José ha detto una frase fortunata: “Viaggiare è la cosa che si avvicina di più a leggere in movimento”. Com’era logico, il giorno dopo ha preso il traghetto per Itaca.

La Grecia attende il viaggiatore come l’affascinante terreno del possibile. Ad Atene, vicino all’Acropoli, si conserva uno spazio più o meno nascosto: la prigione di Socrate. Dopo aver vagato per i sentieri tortuosi di un parco, si arriva a una grotta chiusa da sbarre che sembra concepita per impartire una lezione morale: i prigionieri vivevano in carceri sovraffollate, ma avevano il panorama più bello. Davvero il filosofo condannato a bere la cicuta fu rinchiuso lì? Al di là dei fatti, la storia merita di essere vera.

Lo stesso vale per altre parti del paese. Alcuni luoghi storici sono talmente cambiati che è difficile riconoscerli. Sul sito della battaglia delle Termopili c’è una pianura. Il paesaggio è molto diverso da quello che assistette alla battaglia del 480 aC, quando trecento soldati resistettero all’assalto dell’esercito persiano. La loro resistenza fu possibile perché all’epoca quella era una gola di difficile accesso. I cambiamenti del terreno hanno trasformato la regione in una valle che oggi sconcerta il visitatore.

Lo scrittore guatemalteco Rodrigo Rey Rosa vive ad Atene e parla greco abbastanza bene da riuscire a farsi fare sconti dai tassisti. Grazie alla sua intercessione, un autista di nome Apostolos ha accettato di guidare per noi tutto il giorno. Il nostro obiettivo era trovare la grotta dove Euripide avrebbe scritto le sue tragedie sull’isola di Salamina, luogo di un’altra famosa battaglia, a un paio d’ore da Atene. Apostolos non conosceva la grotta, ma con un atteggiamento tipicamente greco si è entusiasmato più di noi per il progetto. Quando abbiamo raggiunto l’altura che avremmo dovuto scalare, Apostolos ci ha ricordato che la prima maratona non è stata corsa da un atleta, ma da un messaggero che doveva portare una notizia urgente. Fedele a quell’esempio, si è avviato a buon passo verso l’alto. L’abbiamo raggiunto madidi di sudore. Lo sforzo è stato così grande e la vista sul mare così esaltante che abbiamo deciso che quello doveva essere, per forza di cose, lo studio di Euripide.

Obbligato a scegliere i luoghi più affascinanti della Grecia, scelgo la vertigine mistica di Delfi, le acque di lapislazzuli del mar Ionio, i monasteri sulle cime delle gigantesche falesie di Meteora, la città murata di Monemvasia e la spianata che si apre sul mare a Lepanto, dove una statua commemora il maestro che partecipò alla “più grande occasione che i secoli abbiano visto”. Qui Cervantes perse l’uso di una mano, ma guadagnò lo status di eroe.

La Grecia è un testo che affascina per le diverse stesure che l’hanno reso possibile. L’Illisso è più di un semplice fiume, racconta una storia. Le sue acque scorrono grazie a una ninfa che non a caso si chiamava Farmacia. Qui Socrate bagnò i suoi piedi e disse che il linguaggio, come i farmaci, può essere un rimedio o un veleno.

Quello che si osserva in Grecia è stato prima letteratura e, ancora prima, mitologia. Ogni persona e ogni scultura richiamano un’altra presenza: un eroe, una musa, un dio. Non c’è bisogno di essere un esperto per sentirlo perché, in questo luogo eccezionale, viaggiare è come leggere in movimento. ◆ fr

Juan Villoro è uno scrittore e giornalista messicano. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è Il testimone (Gran Vía 2016). Questo articolo è uscito sulla rivista messicana Gatopardo con il titolo Grecia: leer en movimiento.

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Questo articolo è uscito sul numero 1600 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati