Nel novembre 2022 il presidente Vladimir Putin riunì al Cremlino un gruppo accuratamente selezionato di madri di coscritti e soldati russi. La scena di armoniosa convivialità – in cui le donne bevevano il tè in ossequioso ascolto di Putin – contrasta nettamente con le immagini che un tempo avevano reso famose le madri dei soldati russi. Dal 1989 al 1995 la loro organizzazione fu una forza con cui le autorità russe dovettero fare i conti.
Tra le prime organizzazioni indipendenti dell’Unione Sovietica, il comitato era nato durante gli anni della glasnost (trasparenza) per denunciare gli abusi commessi nell’esercito sovietico, noti a tutti ma nascosti dalle autorità. L’organizzazione si guadagnò subito il sostegno dell’opinione pubblica, sconvolta dall’elevatissimo numero di incidenti e di morti causati da violenze interne e negligenza. Le immagini delle proteste delle donne davanti ai cancelli delle caserme russe fecero il giro del mondo. Durante la prima guerra cecena, la famosa “marcia su Groznyj” del 1995 fu una dura presa di posizione contro le autorità militari russe e, grazie al coinvolgimento delle madri cecene, contro la guerra in generale.
Al di là delle differenze, le mobilitazioni degli anni novanta e l’incontro del 2022 al Cremlino sono intimamente legati, sotto il profilo culturale e storico. Il semplice fatto che Putin si sia preoccupato di convocare le madri dei soldati è il risultato del terremoto politico che il comitato provocò nel paese durante e dopo la perestrojka. Fu allora che le madri divennero una forza capace di influenzare la politica.
Il comitato delle madri dei soldati, d’altro canto, poté acquisire una tale rilevanza grazie al culto della maternità che si era affermato nel corso della storia sovietica. Con la svolta conservatrice di Stalin negli anni trenta il ruolo della madre guadagnò una rilevanza di primo piano nel sistema di valori sovietico, in contrasto con la teoria marxista e la pratica rivoluzionaria, che avevano rinnegato la famiglia in quanto struttura di base della società per puntare sulla liberazione della donna dalla schiavitù domestica. Le madri staliniane divennero custodi delle famiglie sovietiche, che rappresentavano il futuro del socialismo. Negli anni trenta ci fu anche una forte militarizzazione della vita quotidiana. Più tardi, l’iconografia della grande guerra patriottica (come i russi ricordano la seconda guerra mondiale) servì a sottolineare e drammatizzare il ruolo delle madri nello sforzo militare sovietico, allo stesso tempo vittime sofferenti e coraggiose vendicatrici.
Ribaltare la propaganda
Le madri continuarono a svolgere un ruolo chiave nella propaganda anche nel dopoguerra. Nella letteratura e nel cinema il momento dell’addio della madre al soldato di leva fu un leitmotiv fondamentale. Ufficialmente simboleggiava il passaggio di consegne dalla madre biologica alla madrepatria, ma in realtà rappresentava il dolore e il senso di perdita delle donne.
Tuttavia, per le autorità fu una sorpresa quando le madri ribaltarono le immagini della propaganda e cominciarono a mettere il benessere dei figli al di sopra delle richieste dello stato. In questo furono aiutate da mezzi d’informazione che simpatizzavano per loro e denunciavano sempre più spesso le brutalità nelle caserme. Secondo dati del 1990, tra il 1985 e il 1989 quindicimila soldati morirono a causa di ferite riportate in incidenti evitabili o a causa del nonnismo, che colpiva soprattutto i ragazzi delle minoranze etniche.
Non a caso le prime leader del movimento delle madri dei soldati appartenevano a popoli nativi, come l’oirata Marija Kirbasova. La sua fede buddista diede al comitato un volto pacifista fin dall’inizio e attirò le madri dei soldati di altre minoranze etniche. Un ramo del movimento particolarmente attivo fu quello ucraino, la cui prima richiesta fu quella di non inviare i coscritti ucraini fuori della repubblica, poiché erano spesso vittime di bullismo da parte dei russi.
Sotto la presidenza di Kirbasova, il comitato assecondò le forze centrifughe che erano emerse nelle diverse repubbliche dell’Unione Sovietica: espresse solidarietà alle madri lituane in occasione della repressione delle manifestazioni del gennaio 1991 e sostenne i movimenti indipendentisti di altre regioni. L’apice si raggiunse quando Kirbasova organizzò la marcia verso Groznyj, in Cecenia, nel 1995. Durante il tragitto, i partecipanti incontrarono e abbracciarono le madri cecene che avevano perso i figli nel massacro del villaggio di Samaški, commesso pochi giorni prima dall’esercito russo.
Tutto questo oggi sembra non solo impossibile, ma del tutto impensabile. Sarebbe come se le madri russe andassero a Buča per abbracciare le donne ucraine.
In Russia ci sono ancora alcuni comitati di madri di soldati , ma non agiscono come forza unitaria e non hanno posizioni pacifiste: si limitano a richieste personali. L’organizzazione è stata costretta alla sottomissione nel 2014, quando la sua sezione di San Pietroburgo è stata bollata come “agente straniero” dopo aver denunciato l’arrivo in un ospedale locale di soldati russi feriti sul fronte ucraino in Donbass.
Dopo l’invasione dell’Ucraina i comitati ancora attivi sono rimasti in silenzio. E lo stesso è successo con la mobilitazione del 2022. La popolarità dell’organizzazione tra gli anni ottanta e novanta era dovuta soprattutto alla capacità delle madri di mobilitare ampie fasce della società con cui condividere un dolore collettivo. Nella Russia di oggi questo non succede.
Eppure lo spirito delle donne che difendono i propri figli è ancora vivo, nonostante la campagna di propaganda per riportare in auge i valori sovietici, sostituendo la madre con la madrepatria. A raccogliere il testimone dell’impegno degli anni ottanta e novanta oggi sono le donne più giovani, che sanno usare i social network e si battono per i mariti più che per i figli. Nel 2022 il consiglio delle madri e delle mogli, un’organizzazione di Samara, ha chiesto conto a Putin della sorte dei soldati scomparsi in Ucraina. L’anno scorso ci sono state manifestazioni di donne in diverse regioni popolate da minoranze etniche, tra cui Baschiria e Dagestan. E più di recente il canale telegram Put domoj (la via di casa) ha organizzato una protesta in occasione del cinquecentesimo giorno della guerra.
Poi c’è stata la morte di Aleksej Navalnyj: sua moglie, Julia Navalnaja, ha giurato pubblicamente di portare avanti la battaglia del marito e di continuare a lottare per una Russia migliore. È l’ultima di una serie di donne che si sono impegnate nel nome dei mariti. Le donne, soprattutto le più giovani, sono state una forza trainante nelle proteste contro la guerra.
Anche se Putin sembra in grado di tenere sotto controllo mobilitazioni come quelle che scossero l’esercito sovietico negli anni ottanta, non può impedire alla questione di genere di entrare nella sua lotta per conservare il potere. È a capo di un gruppo di uomini anziani che devono confrontarsi con donne giovani capaci di guardare in faccia il regime. Le prospettive non sono buone per il Cremlino. Alla fine il culto della madre e della donna come protettrice della madrepatria, recuperato dai tempi dell’Unione Sovietica, potrebbe ritorcersi contro il presidente. ◆ ab
Juliane Fürst insegna storia culturale dell’Unione Sovietica al centro Leibniz per la storia contemporanea di Potsdam, in Germania. The Moscow Times è un giornale online indipendente russo in esilio ad Amsterdam, nei Paesi Bassi.
“La Russia subisce da tempo la pressione senza precedenti dei paesi occidentali. Oggi, in particolare, i politici europei si stanno preparando a interferire nel voto presidenziale”, scrive l’agenzia di stampa russa Federal Press, vicina al Cremlino. “Simili macchinazioni, oltre a essere note ai livelli più alti dello stato e condannate al fallimento, confermano ancora una volta che gli Stati Uniti e l’Unione europea usano tutti gli strumenti possibili per opporsi alla Russia e al suo tentativo di dar vita a un mondo multipolare. Perché temono di perdere una leadership già in gran parte svanita. La loro chiusura al dialogo è esemplificata dal rifiuto dei diplomatici occidentali d’incontrare il ministro degli esteri Sergej Lavrov all’inizio di marzo. Gli occidentali proveranno a sabotare il sistema informatico per il voto elettronico, che riguarda milioni di cittadini russi in diverse regioni. Tuttavia, secondo la politologa Darija Kislitsnaja, grazie al nostro sistema di difesa la sicurezza informatica russa non è a rischio. Neanche le altre provocazioni avranno successo, a causa dell’eccezionale livello di coesione dimostrato dalla società russa. L’occidente usa tre strategie per alimentare la russofobia, spiega il politologo Pavel Danilin. Ci saranno picchetti di fronte alle nostre ambasciate, e tanto i russi espatriati quanto gli agenti stranieri saranno usati per delegittimare il voto. Infine i funzionari europei chiederanno al parlamento europeo di interrompere i rapporti diplomatici con il nuovo presidente russo. Nel frattempo sui mezzi d’informazione la Russia sarà descritta come un paese problematico. Lo scopo principale dell’occidente rimarrà comunque il sabotaggio del sistema di conteggio dei voti, necessario per influenzare la libera scelta dei russi”. ◆ ab
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Questo articolo è uscito sul numero 1554 di Internazionale, a pagina 40. Compra questo numero | Abbonati