Le donne curde, in prima linea nelle proteste in tutto l’Iran, hanno creato organizzazioni spontanee di resistenza nelle loro città del Kurdistan iraniano. Costruiscono barricate, dietro le quali curano i feriti; offrono da mangiare e da bere ai manifestanti e riparo e protezione a chi resta coinvolto negli scontri con la polizia.
La regione del Kurdistan, nel nordovest dell’Iran, è molto attiva nella rivolta contro il regime. Praticamente tutte le città e i villaggi hanno preso parte alla mobilitazione. Secondo molti testimoni, in questa zona il governo ha usato armi da guerra per sopprimere le manifestazioni. Le immagini provenienti da Mahabad, Piranshahr, Bukan e Javanrud sembrano confermare l’uso di fucili d’assalto e kalashnikov contro i manifestanti (almeno 42 persone sono state uccise nella regione dal 15 novembre). Nonostante la repressione, in Kurdistan la resistenza continua, portata avanti da donne e uomini di tutte le età e le classi sociali.
Nella città di Mahabad sono scoppiati molti incendi. Le proteste riguardano soprattutto i quartieri del centro, dove i manifestanti, con il volto coperto ma disarmati, costruiscono barricate di pietra e argilla.
Senza paura
Dietro una barricata, una donna offre pane e formaggio ai manifestanti. A casa sua quattro o cinque donne cucinano e preparano le confezioni da distribuire. Una di loro dice: “Ho due figli. Ora sono in mezzo alla folla con il padre. La maggior parte dei miei parenti partecipa alle manifestazioni. La Repubblica islamica non ha pietà per il Kurdistan. Siamo oppressi dall’inizio della rivoluzione del 1979. A quei tempi Mahabad era un bagno di sangue. Come molti curdi, anche mio padre fu ucciso. Mia madre non ha mai smesso di lottare e ci ha insegnato a non avere paura e a non arrenderci mai. Ora è il momento di mettere in pratica i suoi insegnamenti. Le forze della Repubblica islamica sono tornate, e vogliono massacrare di nuovo i curdi”.
Un’altra donna racconta che lei stessa esorta i figli a manifestare: “Ormai non cambia nulla se restano a casa, la possibilità che i Guardiani della rivoluzione li uccidano è comunque alta. Sono preoccupatissima, ma non c’è altro da fare, non possiamo starcene con le mani in mano”.
Il livello della resistenza è sempre più alto. Gli abitanti si organizzano per soccorrere i manifestanti feriti, che non possono ricevere medicine e cure adeguate. Una ragazza ferita racconta: “Mia madre conosce la medicina e i rimedi tradizionali, li ha imparati da suo padre. Sa rimettere a posto le ossa, estrarre i proiettili, fermare un’emorragia e mettere i punti. Noi non possiamo andare in ospedale, perché lì dovremmo dare troppe informazioni e rischiamo di essere arrestati. Ora anch’io sto imparando le tecniche di pronto soccorso, per rendermi utile”.
Armi pesanti
I mezzi d’informazione del governo accusano i partiti politici curdi di alimentare le proteste, di usare le armi e promuovere il separatismo. I partiti curdi hanno invitato le persone a protestare pacificamente, nonostante i missili dell’esercito iraniano abbiano colpito le loro sedi nella regione del Kurdistan iracheno. Una manifestante conferma: “Non abbiamo armi e non intendiamo usarle. Le nostre ‘armi pesanti’ sono pezzi di legno e sassi che usiamo per difenderci, non per attaccare”. Negli ultimi quarant’anni il regime di Teheran ha accusato sistematicamente il Kurdistan iraniano di separatismo.
Un’altra donna di Bukan spiega la resistenza curda: “Non c’è differenza tra uomo e donna, lottiamo fianco a fianco. Questa rivoluzione vuole far sparire tutte le discriminazioni”. Molti giovani non tornano a casa perché hanno paura di essere seguiti e identificati, per questo sono stati organizzati dei rifugi. “Io non torno a casa da cinque giorni”, conferma la donna di Bukan. “Le forze dell’ordine si sono messe in contatto con mio padre e hanno minacciato di arrestarmi. Prima, però, devono trovarmi”.
La donna spiega che è molto difficile procurarsi i medicinali per curare i feriti: “Per fortuna un paio di farmacie ci riforniscono di nascosto, ma alcuni prodotti proprio non si trovano. Abbiamo un problema soprattutto con le trasfusioni, quando qualcuno perde sangue non sappiamo cosa fare. Ma le donne del Kurdistan continuano a lottare. Il loro motto è Berxûdan jîane, la resistenza è vita. ◆av, mv
◆ Il 29 novembre 2022 le autorità iraniane hanno fatto sapere che più di trecento persone sono morte in due mesi e mezzo di proteste. Secondo l’ong Iran human rights i morti sono 416, mentre quindicimila persone, tra cui quaranta stranieri, sono state arrestate e più di duemila incriminate. Tra loro c’è anche il rapper Toomaj Salehi, 31 anni, che è stato arrestato alla fine di ottobre dopo aver pubblicato alcuni video delle proteste. È accusato di “corruzione sulla Terra”, diffusione di propaganda, collaborazione con un governo ostile e incitamento alla violenza. Rischia la pena di morte. Il 23 novembre è stata arrestata anche Farideh Moradkhani, un’attivista per i diritti umani e nipote della guida suprema Ali Khamenei, che in un video pubblicato due giorni dopo l’arresto chiede ai governi stranieri di tagliare tutti i legami con il regime iraniano. Intanto più di seimila esponenti del settore culturale iraniano hanno firmato una dichiarazione a sostegno degli studenti di arte che stanno subendo intimidazioni e arresti. Decine di artisti iraniani invece hanno chiesto un boicottaggio internazionale delle istituzioni culturali legate alla Repubblica islamica.
◆Il 29 novembre la nazionale iraniana è stata esclusa dai mondiali di calcio maschile in Qatar, dopo aver perso 1 a 0 contro gli Stati Uniti. A Teheran e in altre città molti manifestanti sono scesi in strada per celebrare la sconfitta. Bbc
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Questo articolo è uscito sul numero 1489 di Internazionale, a pagina 26. Compra questo numero | Abbonati