Se i suoi amici vogliono sapere cosa vedere o dove andare a Milano o a Londra lo chiedono a Emilia Petrarca, 32 anni, di giorno scrittrice e di notte appassionata selezionatrice dei luoghi e delle città che ha visitato. “Così come c’è chi è dipendente dai siti per cercare casa, io passo il tempo libero su Airbnb. Leggo ogni recensione, incrocio i dati con quelli di altri siti”, racconta.

Il risultato è un Google doc pieno di consigli personali, scrupolosamente vagliati, su ristoranti, negozi e alberghi. In un mondo dominato da TikTok, in cui le guide turistiche online acquistano visibilità in base all’ottimizzazione per i motori di ricerca o sono generate con un’intelligenza artificiale, questi file sono una risorsa preziosa se si sa dove cercare.

Petrarca è una delle tante persone che passano il tempo a compilare file con consigli di viaggio o a provare sul campo i suggerimenti.

“È il mio impero romano”, dice Emma Bates, 31 anni, del suo Google doc su New York, compilato e aggiornato negli ultimi otto anni. I dati vengono passati agli amici che cercano qualcosa di più autentico delle solite attrazioni elencate nelle classifiche sui migliori posti da visitare. Sono di vario tipo: si va dalle mappe di Google che offrono un colpo d’occhio dei luoghi dove fare tappa ai file di word pieni di raccomandazioni su Parigi, passati attraverso tante mani che non si sa più chi li ha creati.

“Ero stufa delle persone che si lamentavano di non essersi divertite a Londra, raccontando di essere finite in un bar noioso recensito positivamente da qualche boomer su Time Out o da un ragazzo su The Infatuation (una guida online statunitense di ristoranti)”, spiega Mia de Graaf, 33 anni, di Brooklyn e cresciuta nel Regno Unito. Dal 2016 ha creato file con consigli su New York, Londra, Città del Messico, Parigi e Rotterdam, nella speranza di far stare gli amici lontano dalle rotte più battute. I vecchi modi di avere consigli di viaggio, compresi quelli usati pochi anni fa, oggi sono guardati con scetticismo. “Niente è più imbarazzante di essere in coda per comprare un dolce diventato famoso dopo che qualche influencer l’ha definito delizioso senza averlo pagato”, dice Kristen Talman, che vive a Washington e viaggia usando i consigli online degli amici. Un ristorante può diventare popolarissimo sui social o arrivare in cima alla lista dei posti da vedere di un sito, ma è improbabile che chi l’ha consigliato si rivolga a un lettore specifico. Il più delle volte lotta per raggiungere il numero massimo di clic o un’altissima visibilità, senza tenere conto dei gusti personali.

Proteggere i luoghi

“Cerco i consigli di chi ama viaggiare e passare il tempo in modo simile al mio”, spiega Petrarca. Anche per Natalie Held, 24 anni, i Google doc di viaggio sono un po’ come gli appuntamenti: “Di solito è meglio uscire con un amico di amici che con un ragazzo conosciuto su Hinge (un’app di incontri)”.

Anche se i Google doc e le mappe sono facilmente condivisibili, alcuni creatori se li tengono stretti. “Nei miei documenti di solito raccolgo suggerimenti dei miei amici e delle persone che ho amato o le scoperte che ho fatto nelle città dove sono stata”, afferma Held. “Per questo per me sono quasi sacri”. Apprezza il tempo, lo sforzo e l’idea che c’è dietro un buon file e in genere cerca di ricambiare il favore: se qualcuno condivide un documento con lei, Held ne offre uno in cambio.

Anche Bates ha ricevuto un documento con l’esplicita raccomandazione di non condividerlo. De Graaf decide quanto farli circolare, in base alle condizioni delle città. Per esempio Città del Messico “è invasa da statunitensi ed europei ed è meglio non alimentare il flusso”. E i luoghi che ama davvero, quelli che non vuole veder diventare i prossimi posti alla moda dove è impossibile entrare, li toglie dalle liste. “Quelli li condivido solo con gli amici più stretti”, dice.Questo non significa che i documenti siano solo per pochi eletti. “Quando me ne arriva uno nuovo a volte non ho nemmeno idea di chi l’abbia creato”, afferma Talman. Ora che stanno diventando sempre più popolari sta crescendo anche il numero dei loro compilatori, al punto che si rischia di replicare l’eccesso d’informazione tipico di altri canali di consigli di viaggio. Recentemente Petrarca ha pubblicato un post in cui diceva di essere a Marsiglia e nei messaggi diretti è stata inondata di documenti inviati dai suoi contatti, senza averli chiesti. “Ma non volevo tutti quei consigli”, dice. “Ci sono documenti Google di alcune persone che desidero più di altri”.

Il punto è ricevere quelli giusti, da persone che condividono i tuoi gusti e che sono rimaste in città abbastanza da aver raccolto informazioni affidabili.

Kennedy Monique, 28 anni, di Los Angeles, va in Francia ogni tre mesi e il suo doc su Parigi è composto quasi esclusivamente da posti che ha provato lei, come il ristorante nascosto in cui si è imbattuta per caso. I consigli di Petrarca arrivano dalla frequentazione delle settimane della moda, dai tanti viaggi a Londra e Milano che le hanno fatto conoscere la vita delle due città, compresi gli aspetti meno noti. “I suggerimenti che cerco sono quelli tipo: ‘Scegli la stanza numero otto perché la numero sei è molto rumorosa’, oppure ‘in questo posto serve la prenotazione’, ‘questo è il posto di cui tutti parlano, ma non è un granché’”. Dettagli troppo specifici o sinceri che difficilmente si trovano nei suggerimenti più comuni.

I selezionatori come Petrarca dedicano molto tempo e impegno alle loro liste di consigli e non considerano la condivisione dei file un lavoro, ma un dono. “Sento che i buoni consigli, quelli davvero speciali che ti salvano dalle trappole per turisti, sono così personali e preziosi che rappresentano una svolta”, dice De Graaf. “Se ti passo il mio Google doc, per me è un gesto d’amore”. È proprio questo il vantaggio dei Google doc: portano umanità in un settore che appare sempre più tecnologico e attento ai risultati. “E poi, quando torna, ho qualcosa di cui parlare con la persona con cui ho condiviso il documento”, dice Brendan Klinkenburg, 33 anni, di New York con un doc sul Giappone. “Sento che abbiamo qualcosa in comune”. ◆ nv

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Questo articolo è uscito sul numero 1589 di Internazionale, a pagina 76. Compra questo numero | Abbonati