Ai tavolini di un bar sulla piazza davanti alla stazione di Erfurt, capitale del land tedesco della Turingia, mi aspetta un uomo che per quanto ne so è un ex esponente del partito di estrema destra Alternative für Deutschland (Afd). Klaus Stöber ha con sé una busta di documenti che vuole consegnarmi. Riguardano il leader locale dell’Afd, Björn Höcke. Poco tempo prima del nostro incontro Stöber ha chiesto pubblicamente alla segreteria del partito di estromettere Höcke perché troppo estremista, ma la sua richiesta non ha avuto seguito. Era il settembre del 2024: Stöber era iscritto al partito da nove anni e da tre era deputato al parlamento federale, ma ora sembra essersi allontanato dall’Afd.

Sessantatré anni, nato e cresciuto in Turingia, subito dopo la caduta del muro di Berlino Stöber si era iscritto al Partito socialdemocratico (Spd), candidandosi anche alle elezioni amministrative. Nel 2010 lo aveva lasciato perché gli sembrava troppo vicino alla sinistra, ma ancora oggi dice che il suo modello politico è l’ex cancelliere socialdemocratico Helmut Schmidt, di cui ha perfino una foto appesa alla parete del suo ufficio. Stöber è stato attivo nell’associazione della scuola di sua figlia, è presidente del club di tennis del paese vicino al suo e a volte nel weekend accompagna la squadra in trasferta, guidando di persona. Fa il commercialista ed è stato uno dei suoi clienti a fargli conoscere l’Afd. Un partito nuovo basato sulla democrazia dal basso, liberista in economia e socialmente conservatore: faceva proprio al caso suo. Anche se Stöber, a differenza dell’Afd e del suo programma, è contrario all’uscita dall’Unione europea. Inoltre quasi un terzo dei suoi clienti sono turchi o vietnamiti, tutti piccoli imprenditori, e c’è anche qualche afgano. Senza gli immigrati, precisa, in Germania il problema della carenza di manodopera specializzata sarebbe impossibile da risolvere.

Un paese modello

Pensavo che quest’uomo avesse finalmente capito che l’Afd non è più quello che credeva. Ero convinta che avrebbe lasciato il partito. E invece, lì in piazza, Klaus Stöber mi spiega che a voltare le spalle all’Afd non ci pensa proprio. Certo, è contro Höcke ma, anche se Höcke rimanesse nel partito, lui continuerebbe a considerare l’Afd la sua casa politica. Alla fine dell’incontro mi sento un po’ confusa. Non so come le due cose si possano conciliare. Ma poi capisco: persone come Klaus Stöber ne ho già incontrate, negli Stati Uniti.

Per sette anni sono stata corrispondente dagli Stati Uniti e in quel periodo ho assistito all’ascesa di Donald Trump. Mi è capitato spesso di incontrare persone gentili e all’apparenza assolutamente ragionevoli, proprio come Stöber: si impegnavano nella loro comunità, nella scuola, nei circoli sportivi. Persone sempre pronte a dare una mano a un vicino in difficoltà. Eppure anche loro ammiravano Donald Trump, uno nei cui discorsi a volte si contano più bugie che verità, uno che aizza le folle contro le minoranze e che il 6 gennaio 2021, dopo aver perso le elezioni, ha incitato migliaia di persone ad assaltare il congresso. E che l’autunno scorso è stato rieletto alla presidenza degli Stati Uniti.

Can ancora non sa a chi darà il suo voto. Ma la leader dell’Afd parla degli argomenti giusti: la politica migratoria e il reddito di cittadinanza

Fino a pochi anni fa, visto dalla Germania, quel paese era il futuro. Gli Stati Uniti ci hanno dato i supermercati e i fast-food, la musica rock e lo skateboard, la tv via cavo e il web, il movimento femminista e quello pacifista. Gli statunitensi ci hanno indicato la strada e noi tedeschi l’abbiamo percorsa.

Per molto tempo ho creduto che nel caso dell’ascesa del populismo e dell’estrema destra le cose sarebbero andate diversamente, che questo fenomeno in Germania non avrebbe attecchito, non foss’altro per il passato del paese. Ma poi, dopo aver incontrato Klaus Stöber, mentre me ne tornavo a casa in treno, ho avuto la sensazione di aver già vissuto tutto questo. Stöber si sente più a casa in un partito in larga parte di estrema destra come l’Afd che in uno moderato come l’Unione cristianodemocratica (Cdu) o nel Partito liberaldemocratico (Fdp), anche se condivide molti dei contenuti che questi due partiti portano avanti. È esattamente quello che avevo osservato negli Stati Uniti in tanti sostenitori del Partito repubblicano che avevano smesso di fidarsi dei vecchi dirigenti per appoggiare invece Trump, pur criticandolo su molte cose.

Per il suo successo ci sono molte spiegazioni, ma portano tutte alla stessa conclusione: Trump ha raggiunto il suo obiettivo perché sa suscitare entusiasmi inaspettati. Se piacesse solo a razzisti, nazionalisti e antidemocratici non avrebbe vinto neppure le primarie. E invece negli Stati Uniti è da tempo che anche conservatori moderati, immigrati, sindacalisti e giovani laureati si sentono attratti dalla destra populista. E temo che in Germania possa succedere la stessa cosa.

Klaus Stöber, deputato dell’Afd - Hannes Jung
Klaus Stöber, deputato dell’Afd (Hannes Jung)

Incontro Cemal Can in uno dei suoi due ristoranti a Hannover, quello sulla riva del fiume Leine. Dentro la sala regna un piacevole tepore. Cemal Can, 57 anni, figlio di lavoratori immigrati dalla Turchia, è da molto tempo cittadino tedesco. Calvo e con un paio di occhiali dalla montatura importante, ricorda l’attore Telly Savalas, che in tv impersonava il tenente Kojak. I suoi genitori sono arrivati nella Repubblica Federale Tedesca nel 1968. La madre lavorava in un’azienda che produceva apparecchi radiofonici e televisivi, il padre faceva le pulizie nei campi sportivi della città. Da giovane Can ha fatto un corso da posatore di tubi e ha lavorato nei cantieri. Poco più che ventenne ha preso in gestione con il fratello maggiore il primo ristorante, a cui se n’è poi aggiunto un secondo, dove ci incontriamo. Indicando la sala da pranzo spiega che all’epoca ha eseguito personalmente i lavori di ristrutturazione, posando il pavimento di assi di legno dalle splendide venature. Una scala a chiocciola in ferro battuto conduce alla cantina: “Con trentamila bottiglie è la più grande della regione”. Oggi Cemal Can ha venti dipendenti e una seconda casa in Spagna.

Negli Stati Uniti c’è sempre stata l’idea che chiunque, con le proprie forze, può fare fortuna: è l’american dream. Se esistesse anche il german dream, direi che nel caso di Cemal Can è diventato realtà. E ora, seduto di fronte a me, dice che ancora non sa a chi darà il suo voto, ma anche che “Alice Weidel è una brava politica”. La leader dell’Afd parla degli argomenti giusti: la politica migratoria e il reddito di cittadinanza.

Secondo Cemal Can oggi i migranti sono troppi. Indica il proprio viso dalla carnagione olivastra e gli occhi scuri: “Ho l’aspetto di uno straniero”, dice. Poi si batte la mano sul cuore: “Ma dentro sono tedesco”. Teme però che i tedeschi smettano di rendersene conto e lo considerino corresponsabile di attentati come quelli degli ultimi mesi. Teme che non facciano più differenza tra i migranti che commettono crimini terribili e lui, che invece è un gran lavoratore. E poi c’è la questione del lavoro in generale. Can dice che non trova praticamente più nessuno disposto a lavorare sodo, perché la Germania è diventata un paese che penalizza chi lavora e premia gli scansafatiche. Dice “reddito di cittadinanza” come se fosse una parolaccia. Lui questo paese ha smesso di capirlo. Le politiche del governo Merkel? Le politiche del governo Scholz? “Un disastro”, commenta.

Cemal Can, ristoratore ad Hannover - Jana Mai
Cemal Can, ristoratore ad Hannover (Jana Mai)

Ascoltandolo, mi sembra di sentire qualcun altro, uno che non parla tedesco ma inglese, che non si chiama Cemal Can ma Abel Ornelas e non vive in Bassa Sassonia ma in Iowa, Stati Uniti, in una piccola località chiamata Dennison. Ho conosciuto Abel Ornelas nel 2016. Originario del Messico, da adolescente è entrato illegalmente negli Stati Uniti insieme ai suoi due fratelli. Per anni ha sgobbato in uno stabilimento per la lavorazione della carne, facendo i doppi turni e vivendo in una roulotte. Ma, passo dopo passo, si è fatto strada e oggi affitta appartamenti, possiede una grande casa e un passaporto statunitense. Ornelas ha votato Donald Trump, l’uomo che si vanta di voler costruire un muro per blindare il confine col Messico. Ma in questo non vede nessuna contraddizione. Come Cemal Can in Germania, anche Abel Ornelas negli Stati Uniti è riuscito a diventare parte della classe media. E ora in Trump non vede l’uomo che chiama i latinoamericani stupratori e criminali, ma quello che lo aiuterà a difendere il benessere che si è tanto sudato. Come molti messicani, in cuor suo Ornelas è un conservatore: va in chiesa, è contrario all’aborto, il dibattito sulle identità di genere gli è del tutto estraneo e il suo mondo gira intorno al lavoro e alla famiglia.

Inoltre, mi ha spiegato, non è neanche sicuro che chi oggi arriva negli Stati Uniti sia gente perbene: magari è vero che ci sono molti criminali. Ricorda che il presidente Joe Biden ha dato molti permessi di soggiorno a immigrati provenienti da Haiti, Venezuela e Honduras. A lui è sembrata un’ingiustizia, visto che per anni ha dovuto cavarsela senza documenti. Se ad Hannover Cemal Can osserva allibito il reddito di cittadinanza, negli Stati Uniti Abel Ornelas osserva altrettanto allibito l’aiuto e il sostegno ricevuto nel recente passato dai migranti.

Negli Stati Uniti, tradizionalmente, la stragrande maggioranza degli immigrati latinoamericani ha sempre votato il Partito democratico e perciò, inizialmente, credevo che Ornelas fosse un’eccezione. Ma non è più così. Nel 2016, il 28 per cento degli immigrati latinoamericani ha votato Donald Trump, mentre nel 2020 a fare questa scelta è stato il 32 per cento e alle ultime elezioni addirittura il 46 per cento.

La Germania però non è come gli Stati Uniti: qui i dati sul comportamento elettorale delle persone con un retroterra migratorio mancano quasi del tutto. Ma, dalle poche analisi di cui disponiamo, emerge una cosa: proprio come negli Stati Uniti, più una persona di origine straniera si avvicina al benessere più si sposta politicamente a destra e più il suo comportamento elettorale finisce per somigliare a quello di chi quelle origini non ce l’ha. Oltre agli immigrati, negli Stati Uniti c’è un altro gruppo che per decenni ha votato i democratici ma ora si schiera ampiamente con Donald Trump: operai e sindacalisti. Da quando esiste la distinzione tra destra e sinistra, sono sempre stati a sinistra e ora all’improvviso si spostano a destra.

E in Germania?

Dirk Rothe, 47 anni, indossa una giacca di pile e un berretto di lana e sembra uno che sta per andare in montagna. Fa il meccanico industriale e si occupa della manutenzione dei macchinari alla cooperativa casearia Dmk in Turingia. Da sette anni fa parte del consiglio di fabbrica, composto da nove persone. In tutti questi anni Rothe è stato iscritto al sindacato dell’industria alimentare e della ristorazione Ngg (Nahrung-Genuss-Gaststät­ten) e, con il sostegno dell’organizzazione, il consiglio di fabbrica è riuscito a imporre salari più alti per i dipendenti del caseificio. Eppure il 1 febbraio 2024 Dirk Rothe si è seduto davanti al computer e ha aperto la posta. Ha sbucciato una delle ottime arance che si fa mandare dalla Sardegna e ha cominciato a scrivere un’email al sindacato: “Oggetto: rinuncia alla tessera”. Poco prima, come quasi ogni giorno, aveva dato un’occhiata alla pagina Facebook dell’Ngg e, come sempre, quasi ogni post conteneva un hashtag del tipo #noafd, #keinFußbreitan-Faschisten (neanche un centimetro ai fascisti) o aveva titoli come “Ngg si schiera contro l’Afd”. All’ultima riunione del consiglio di fabbrica, un sindacalista si era rivolto come sempre ai 320 dipendenti del caseificio per dire che alle prossime elezioni per nessuna ragione al mondo avrebbero dovuto mettere la crocetta sul simbolo dell’Afd: non si vota per l’estrema destra. Solo che stavolta, racconta Rothe, i lavoratori non l’hanno presa bene: molti si sono alzati e hanno lasciato la sala. E dodici di loro, in seguito, sono usciti dal sindacato. Rothe li capisce: li conosce, lavora con loro, mangia e beve con loro, discute con loro, anche di politica. Negli ultimi anni, spiega, tutti hanno accumulato molti malumori, lui compreso. Ma sulla pagina Facebook del sindacato di tutto questo non c’è traccia. “Non voterò né i rossi né i verdi! Un’opportunità l’hanno avuta e l’hanno sprecata!”.

Al termine del nostro incontro Rothe sale in macchina per andare al lavoro. Ne ha fatte di cose nella vita: è stato lavoratore interinale e per arrotondare anche buttafuori. Ha lavorato come montatore anche in Cina ed è fiero di essersi comprato una casetta in un paesino vicino Erfurt, di aver combinato qualcosa alla fin fine. E, per poterselo permettere, ora alla Dmk fa anche tripli turni.

Dirk Rothe, operaio e sindacalista in Turingia - Jana Mai
Dirk Rothe, operaio e sindacalista in Turingia (Jana Mai)

Quando si è capito chi avrebbe votato Donald Trump, io ancora pensavo che gli operai di destra fossero un fenomeno tutto statunitense, possibile solo nel paese più capitalista e individualista del mondo. Ma Dirk Roth sembra proprio uno di quei sostenitori di Trump che lavorano nelle fabbriche della rust belt, la regione industriale nel nordest degli Stati Uniti.

Uno che conosce bene il modo di pensare dei lavoratori tedeschi è il sociologo Klaus Dörre, che fino all’anno scorso, quando è andato in pensione, è stato professore all’università di Jena. Per decenni Dörre ha studiato le opinioni degli operai tedeschi e si è reso conto di una cosa: molti di loro non credono più nella ridistribuzione della ricchezza, non perché all’improvviso siano convinti che un manager debba guadagnare quaranta o cinquanta volte più di loro, ma perché hanno perso la speranza: non credono più che ci sarà mai una vera ridistribuzione, perché è da decenni che i governi di tutti gli schieramenti fanno promesse senza che nulla cambi.

Negli ultimi trent’anni il tasso di crescita delle famiglie di reddito medio è stato la metà di quello del 10 per cento più ricco. Secondo Dörre molti lavoratori ormai non si aspettano più niente dai governi. Non funziona più neanche la contrapposizione tra ricchi e poveri su cui la sinistra faceva tradizionalmente leva per mobilitare i suoi sostenitori. Ormai i lavoratori pensano di poter contare solo su se stessi e vogliono che lo stato li lasci in pace.

Max Mannhart, fondatore del sito Apollo News - Hannes Jung
Max Mannhart, fondatore del sito Apollo News (Hannes Jung)

E poi c’è stato il covid. Molti dipendenti del caseificio non volevano vaccinarsi e quindi sono stati divisi in due gruppi, i vaccinati e i non vaccinati. I primi potevano usare l’ingresso principale, mentre i secondi dovevano entrare dal retro. “E lì qualcosa si è rotto”, dice Rothe. “C’erano i buoni e i cattivi”. Neanche Rothe si è vaccinato. Perché? È successo tutto troppo in fretta, spiega. Un vaccino appena messo a punto, somministrato in enormi centri vaccinali da medici che non conosceva. Rothe ha espresso la sua opinione anche in azienda. “E mi hanno bollato come un piantagrane”. Quando poi nel caseificio solo i vaccinati hanno ricevuto il primo bonus covid, Rothe ha fatto causa. Ma ha perso. Allora ha cominciato a partecipare alle manifestazioni contro le misure anticovid e ha capito che a scendere in piazza “era gente normalissima, gente con cui si riusciva a parlare” e non solo di covid. Anche della “neolingua”, come la chiama lui, cioè del linguaggio inclusivo che da qualche tempo usano anche i sindacalisti. Quando il consiglio di fabbrica del caseificio ha negoziato con la dirigenza il nuovo contratto collettivo e ne ha inviato la bozza al sindacato, questo l’ha rimandata al mittente con la richiesta di riscriverla in linguaggio inclusivo. Rothe dice che alle elezioni politiche voterà per l’Afd e crede che come lui si comporterà circa la metà dei suoi colleghi.

Chiedo al sociologo Klaus Dörre se il gran numero di simpatizzanti dell’Afd tra i lavoratori sia un fenomeno tipico della Germania orientale. “No”, risponde lui: è solo che i lavoratori dell’est, come Dirk Rothe, tendono ad ammettere con più facilità le loro simpatie per l’Afd. Rothe alla fine non ha lasciato il sindacato. Dopo quell’email ha fatto una lunga chiacchierata con il suo sindacalista di riferimento che lo ha pregato di restare; e lui ha accettato. In cambio, alla riunione aziendale successiva il sindacalista ha evitato la solita tirata contro l’Afd.

Nuovi mezzi

Proprio come Cemal Can e come molti statunitensi elettori di Trump, Dirk Rothe non mi sembra un razzista e neanche uno di estrema destra. Ma una cosa mi colpisce: durante la nostra conversazione mi racconta di un collega afgano, gran lavoratore, che parla tedesco ed è integratissimo ma che comunque non ha un permesso di soggiorno permanente. Rothe dice di non riuscire a capire perché. Allora gli chiedo che ne pensa in generale dell’immigrazione ed ecco che si mette a parlare di una Germania “invasa” dagli stranieri e del fatto che ormai nel paese entra solo la “feccia”. Tra feccia e invasioni, Dirk Rothe parla proprio come l’Afd o come Donald Trump. Gli chiedo perché usi questi termini: non trova che veicolino un certo disprezzo? Rothe ci pensa. “Sì, ha ragione”, ammette. “Ma come potrei dire se no?”. Intorno a lui tutti usano termini come feccia e invasione.

Spesso quando cambiano i mezzi di comunicazione cambia anche la cultura politica. Con l’invenzione della radio è diventato possibile fare propaganda su una scala fino a quel momento sconosciuta. La televisione, invece, ha trasformato quasi tutto in una forma d’intrattenimento e, soprattutto negli Stati Uniti, ha portato all’ascesa di politici che sono anche intrattenitori carismatici.

E internet? Molti esperti erano convinti che i social media avrebbero dato a ciascuno la possibilità di esprimersi pubblicamente e di ottenere visibilità e che avrebbero reso la società più intelligente, più gentile e con meno pregiudizi. Invece lo spirito dei social media si è rivelato tutt’altro, perché i loro algoritmi premiano tutto quello che riesce ad attirare l’attenzione. E per attirare l’attenzione non c’è niente di meglio della rabbia: la tipologia di politico che ottiene più successo sui social è il populista aggressivo.

Ad Hannover, al termine del nostro colloquio, il ristoratore Cemal Cam mi presenta sua figlia, che lavora con lui. Sara ha 24 anni, è commercialista e nei ristoranti di famiglia si occupa di tutto quello che ha a che fare con i numeri. Racconta che segue la politica soprattutto in un modo: attraverso TikTok. Telefono in mano, Sara apre l’app e spiega che un video su tre fra quelli che le vengono proposti è dell’Afd. Questo però non la disturba, anzi: potrebbe decidere di votare proprio per questo partito. Dice che come donna non si sente più tanto sicura a girare per le strade di Hannover, perché c’è sempre qualche giovane immigrato che la molesta e intanto il governo distribuisce passaporti tedeschi agli stranieri neanche fossero biglietti del cinema.

La redazione del sito d’informazione Apollo News, Berlino, 2 febbraio 2025 - Hannes Jung
La redazione del sito d’informazione Apollo News, Berlino, 2 febbraio 2025 (Hannes Jung)

Allora ho passato anche io qualche serata a scrollare TikTok e ho realizzato che in effetti è difficile sfuggire all’Afd e alla sua candidata cancelliera Alice Weidel, che ormai ha superato ogni record riuscendo a concentrare tutta l’attenzione su di sé. Basta indugiare qualche secondo in più su un paio dei suoi video e l’algoritmo ipotizza un interesse verso questi contenuti cominciando a proporli uno dopo l’altro: Alice Weidel a un talkshow, Alice Weidel in parlamento, Alice Weidel che parla guardando direttamente in camera.

Ancora una volta ho la sensazione di aver già vissuto queste cose. Weidel, infatti, ha adottato quasi in blocco la strategia comunicativa di Donald Trump e, come lui, ha cominciato a costruirsi il suo personaggio. Se Trump si racconta come un uomo d’affari di successo, capace di concludere accordi che a tutti gli altri sembrano impossibili, Alice Weidel si vende come una donna lesbica che combatte per quella libertà che, sostiene lei, gli immigrati arabi vorrebbero togliere ai tedeschi. Un video di Weidel e sua moglie che si scatenano al ritmo di musica rock è diventato virale su TikTok. In un podcast ha raccontato il disagio che sentiva in piscina, lei ragazzina bionda, in mezzo a giovani immigrati. E tutto questo condito con le offese, l’aggressività e soprattutto la retorica apocalittica di Trump. Secondo Alice Weidel la Germania è al capolinea, è una democrazia di facciata. Dipinge un quadro della Germania che mescola verità e menzogna. E proprio come Trump, Weidel promette di riportarla ai passati splendori: “Make Germany great again!”.

Giovani, istruiti, di destra

Negli Stati Uniti l’ascesa di Donald Trump è stata accompagnata dalla fioritura di un intero ecosistema di piattaforme e siti internet della destra conservatrice: Breitbart, InfoWars, The Daily Caller, The Daily Wire, The Blaze, The Gate­way Pundit e ovviamente il sito di Fox News, il canale televisivo di destra. Tutti rappresentano il mondo come lo vede Trump. Senza di loro ce l’avrebbe fatta a diventare presidente? Non credo. I nuovi mezzi d’informazione digitali lo hanno aiutato a trasformarsi da intrattenitore a demagogo.

Un ecosistema simile sta sorgendo anche in Germania. È piccolo, sta ancora muovendo i primi passi, ma già comincia delinearsi. Un esempio è la piattaforma Apollo News di Berlino.

Da sapere
La scommessa di Alice Weidel

◆ Alice Weidel, 45 anni, leader del partito di estrema destra Alternative für Deutschland (Afd) si considera una persona educata. Eppure nella maggior parte delle sue apparizioni pubbliche è piuttosto sprezzante. Nei suoi discorsi al Bundestag si presenta con uno chignon, una collana di perle e un fazzoletto nel taschino della giacca, ed è spesso tagliente e aggressiva. Al congresso del suo partito, all’inizio di febbraio, ha parlato innanzitutto di migrazione. Afferma di voler “chiudere completamente le frontiere”, imporre rimpatri su larga scala e mettere immediatamente fine alla “svalutazione” del passaporto tedesco. Vuole che siano aboliti i sussidi per la protezione del clima e che si rallenti la transizione energetica. Nelle università chiuderebbe tutti i corsi di “studi di genere” e licenzierebbe i professori. Un manifesto elettorale che suona come una vendetta. Eppure è proprio la parte moderata del partito ad adorare la candidata cancelliera. Non è affatto scontato ricevere dei complimenti in questo partito, soprattutto non per Weidel, una candidata piuttosto improbabile per l’Afd: una donna omosessuale in un partito dominato dagli uomini, che difende l’immagine della famiglia tradizionale pur vivendo con una donna proveniente dallo Sri Lanka, un paese che non solo gli estremisti di destra considerano “culturalmente alieno”. Weidel ha lavorato per società finanziarie internazionali, per la banca d’investimenti Goldman Sachs e per la Allianz Global Investors. Non sono proprio le stesse presunte “élite globaliste” che l’Afd considera dei nemici? Eppure al congresso i delegati l’hanno acclamata soprattutto quando è stata pungente, divisiva e per niente conciliante. Tanto che la salutano sventolando le bandiere tedesche e cantando “Alice per la Germania”.Süddeutsche Zeitung


Nel palazzo del quartiere di Treptow la targhetta del nome sulla cassetta della posta è stata staccata e nel corridoio che porta agli ascensori per il piano degli uffici qualcuno ha tracciato una scritta sul muro a caratteri cubitali: “Destra”. Gli altri inquilini non sembrano molto contenti dei nuovi vicini. Al penultimo piano ci apre la porta Max Mannhart, 22 anni, in giacca e maglione a collo alto. L’ufficio open space di Apollo News è grande e vuoto, al centro ci sono sei scrivanie bianche. Mannhart ha fondato il sito nell’estate del 2024 e ha già dodici dipendenti, tutti giovani come lui. La maggior parte prima lavorava per riviste online della nuova destra, come Tichys Einblick, Die Achse des Guten e Nius. Sono gli altri componenti di questo nuovo ecosistema.

Apollo News si rivolge soprattutto ai giovani. Per molto tempo negli Stati Uniti e in Germania essere giovani ha significato essere di sinistra, mettere in discussione lo stato delle cose. Oggi però la critica al sistema viene spesso da destra. Alle elezioni di novembre negli Stati Uniti quasi la metà dei giovani tra i 18 e i 29 anni ha votato per Donald Trump.

Gli ultimi sondaggi
Le rilevazioni e le variazioni rispetto alle elezioni del 2021, 18 febbraio 2025 - fonte: Yougov
Le rilevazioni e le variazioni rispetto alle elezioni del 2021, 18 febbraio 2025 (fonte: Yougov)

La scorsa primavera ho dato un’occhiata al sito berlinese Girls’ und boys’ day, una piattaforma per studenti che offre la possibilità di fare una sorta di stage della durata di un solo giorno. A Berlino, tra le varie possibilità, c’era anche quella di fare uno stage presso i gruppi parlamentari. In quelli dell’Spd e dei Verdi, però, c’erano pochi posti, meno di dieci. L’Afd, invece, per farsi conoscere dai ragazzi metteva a disposizione quaranta posti, in buona parte assegnati rapidamente. Poco tempo dopo il figlio sedicenne di una mia parente mi ha raccontato che nella sua classe l’insegnante aveva fatto un sondaggio elettorale: il 25 per cento dei ragazzi avrebbe votato l’Afd, il 20 per cento i Verdi. Gli altri partiti restavano molto indietro.

Negli uffici di Apollo News a Berlino, Max Mannhart mi dice che, come giornalista, vuole mettere il dito nella piaga, criticare i mezzi d’informazione e i partiti tradizionali, l’establishment politico. Quando mi dice che “a volte bisogna essere duri” sembra quasi un sessantottino. Mannhart è cresciuto a Berlino. I suoi genitori sono psicologi, racconta, e il loro ambiente è la “borghesia di sinistra”. Lui, però, ben presto ha cominciato a provare un certo fastidio per il fatto che in quell’ambiente tutti sono sempre totalmente comprensivi verso ogni genere di problema, tutto è giustificato: le droghe, le occupazioni abusive, i discorsi dei compagni di scuola favorevoli a un islam radicale.

Su Apollo News non si urla e non si incita né all’odio né alla violenza. Ma anche se i toni sono civili e borghesi, le questioni sono sempre quelle: Trump, i Verdi, gli errori della radiotelevisione pubblica. E soprattutto i temi tanto cari all’Afd: immigrati, criminali e immigrati criminali. Chi scrive gli articoli di Apollo News non solo è giovane ma è anche istruito, ha studiato informatica aziendale, giurisprudenza, scienze politiche, psicologia.

I candidati

◆Il 23 febbraio 2025 ci sono in Germania le elezioni legislative anticipate, dopo la sfiducia votata il 16 dicembre 2024 dal Bundestag, il parlamento federale. Il cancelliere uscente, Olaf Scholz, è ancora il candidato del Partito socialdemocratico (Spd). Gli altri partiti della coalizione dimissionaria erano i Verdi (che candida Robert Habeck ) e il Partito liberaldemocratico (Fdp, con Christian Lindner). In testa ai sondaggi c’è l’Unione cristianodemocratica (Cdu/Csu) con il suo leader Friedrich Merz. Tutti escludono una possibile alleanza con l’estrema destra di Alternative für Deutschland (Afd) e la sua leader Alice Wiedel. La sinistra di Die Link (con due candidati, Jan van Aken e Heidi Reichinnek) e l’Alleanza Sahra Wagenknecht (Bsw, sinistra-populista) lottano per superare la soglia del 5 per cento necessaria per entrare in parlamento.


Quando incontro Max Mannhart sta lavorando a un’inchiesta su Stephan Kramer, il capo dei servizi segreti della Turingia. Kramer ha classificato l’Afd della Turingia come organizzazione di estrema destra e ha detto di essere favorevole alla messa al bando del partito. Il pezzo su Kramer sarà un successone: sul sito l’articolo avrà più di 113mila visualizzazioni e l’annesso documentario su YouTube 180mila. Tra donazioni e monetizzazioni di YouTube, Apollo News ormai incassa talmente tanto che Mannhart riesce a pagare non solo l’affitto del loft, ma anche gli stipendi dei dipendenti, che guadagnano tra i duemila e i seimila euro al mese. In media, Apollo News registra sette milioni di visualizzazioni al mese e dai commenti agli articoli si capiscono chiaramente le tendenze politiche dei lettori: sono tutti simpatizzanti dell’Afd.

Conquistare i cuori

Se davvero la Germania sta facendo lo stesso percorso degli Stati Uniti, allora in mezzo a tutti gli aspetti negativi ce ne sarebbe anche uno positivo: potremmo fare tesoro dei loro errori.

La sconfitta dei democratici contro Donald Trump è stata clamorosa: l’intero arsenale che hanno provato a opporre al populismo della destra si è rivelato inutile. Hanno chiamato Trump nemico della democrazia, razzista, provocatore. Tutto vero, ma ai suoi sostenitori non importa più di tanto. Hanno provato a evitare i cavalli di battaglia della destra populista – immigrazione e criminalità – per cercare di guadagnare punti con temi di sinistra come il diritto all’aborto, il cambiamento climatico, la situazione della comunità lgbt+. Senza successo.

I democratici ce l’hanno messa tutta per smontare con i fatti il quadro cupo degli Stati Uniti dipinto dalla destra populista. Ma nemmeno questo ha funzionato. Nemmeno a New York con i miei vicini: avevano sempre votato per il Partito democratico e vivevano in città da decenni, ma ora pensavano di trasferirsi, perché si sentivano sempre meno al sicuro. La sfiducia ha preso il posto della fiducia. E a New York, tradizionalmente di sinistra, alle ultime presidenziali i democratici hanno perso un milione di voti rispetto a quattro anni prima. Insicurezza, sfiducia, paura: sono le stesse sensazioni che descriveva Sara, la figlia del ristoratore di Hannover. Nel ristorante, dopo aver subìto vari furti, hanno deciso di mettere una telecamera di sorveglianza.

Le sensazioni si possono ignorare e si può provare a combatterle con le cifre. I democratici, infatti, ci hanno provato. E hanno perso le elezioni. Penso possa essere questo l’insegnamento più importante che possiamo trarre dalla storia recente degli Stati Uniti: i democratici moderati devono sbrigarsi a capire come fare per vincere le elezioni in un mondo in cui a volte le sensazioni contano più dei fatti. ◆ sk

Kerstin Kohlenberg è una giornalista del settimanale tedesco Die Zeit. Fino al 2021 è stata corrispondente dagli Stati Uniti.

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Questo articolo è uscito sul numero 1602 di Internazionale, a pagina 40. Compra questo numero | Abbonati