Nell’estate del 2021, dopo mesi di negoziati difficili, la proposta di legge del presidente Joe Biden sulle infrastrutture stava per essere approvata dal congresso degli Stati Uniti con il sostegno di entrambi i partiti quando Patrick McHenry, deputato repubblicano del North Carolina, si è accorto di un dettaglio. Tra le 2.700 pagine del testo era stata inserita una clausola che imponeva ai broker (intermediari) delle criptovalute di denunciare alle autorità fiscali tutte le transazioni e le informazioni sui clienti.
Lo scopo era scoraggiare l’evasione fiscale nelle compravendite di asset digitali – titoli e strumenti finanziari legati a un bene digitale – ma la definizione di broker era così larga che poteva essere applicata facilmente anche agli sviluppatori di software per la crittografia. Secondo McHenry, che da tempo s’interessava di blockchain, la tecnologia sfruttata dalle criptovalute, il provvedimento rischiava di danneggiare seriamente il settore. Non era l’unico a pensarla così. Nelle settimane successive un piccolo gruppo di parlamentari democratici e repubblicani si è attivato per eliminare dal testo finale la clausola sui broker.
I vertici del Partito democratico, che controlla la maggioranza in entrambe le camere del parlamento statunitense, si sono rifiutati di farlo spiegando che i trenta miliardi di dollari di guadagni garantiti dal provvedimento servivano a finanziare le altre spese elencate nella legge, che alla fine è stata approvata senza modifiche. Nonostante questo, la battaglia al congresso è stata un momento importante per un eclettico gruppo di paladini delle criptotecnologie, composto da libertari, conservatori vicini al mondo delle imprese e utopisti di sinistra. Nei prossimi anni questo gruppo è destinato a diventare uno dei più influenti al parlamento statunitense, in una fase in cui la politica dovrà regolamentare uno dei settori più in crescita dell’economia mondiale.
Negli ultimi anni le criptovalute sono diventate molto popolari, e le più diffuse in cinque anni sono passate da un valore di quattordici miliardi di dollari a duemila miliardi. I sondaggi mostrano che circa il 16 per cento degli statunitensi adulti ha comprato, usato o scambiato criptovalute, e più di cento paesi stanno valutando se lanciare una propria moneta digitale emessa dalla banca centrale.
Tutto questo è successo praticamente in assenza di regole. Gary Gensler, presidente della Securities and exchange commission (Sec, l’autorità di vigilanza della borsa statunitense) ha paragonato questo mercato al far west, mettendo in guardia i cittadini da “frodi, truffe e abusi”. Mentre i regolatori come Gensler provano ad applicare le leggi in vigore sugli investimenti a un nuovo tipo di strumento finanziario, nel congresso si fa strada l’idea di approvare nuove norme per mettere in chiaro cos’è legale e cosa non lo è.
I politici che la pensano così si stanno accordando su una serie di proposte di legge sulle criptovalute che aiuterebbero a stabilire che tipo di bene sia una moneta digitale e quali sono le responsabilità di chi la emette e di chi la scambia nei confronti dei consumatori e del mercato. Il testo proposto da McHenry insieme al democratico Tim Ryan si chiama Keep innovation in America act, manteniamo l’innovazione in America. Al senato la proposta è sostenuta da Kyrsten Sinema, democratica centrista, e Cynthia Lummis, senatrice repubblicana, nota per aver comprato bitcoin per un valore tra i 150mila e i 350mila dollari. A loro si aggiunge anche Ron Wyden, deputato progressista che si batte da anni per la neutralità della rete e per le libertà su internet.
Messo sotto pressione sia dai democratici sia dei repubblicani, a marzo il presidente Biden ha firmato un decreto sulle criptovalute
Se i parlamentari riusciranno a trovare un accordo, potremmo trovarci di fronte a un momento spartiacque simile a quello vissuto alla metà degli anni novanta, quando il congresso statunitense stabilì le regole per lo sviluppo di internet. Leggi come il Communications decency act del 1996, che poi hanno permesso a Google, Amazon, Facebook e altre aziende di conquistare il mondo.
I sostenitori delle criptovalute sono convinti che le aziende statunitensi possano dominare allo stesso modo il mondo degli asset digitali, ma solo se saranno introdotte regole chiare che permetteranno al settore di crescere.
Cambia il vento
Per anni a Washington gli asset digitali sono stati visti con sospetto, se non con aperta ostilità. Nel 2019 l’ex presidente Donald Trump ha scritto su Twitter: “Non sono un fan di bitcoin e di altre critpovalute, che non sono monete e hanno un valore molto instabile e basato sul nulla”. Il dipartimento del tesoro e la Federal reserve (Fed, la banca centrale statunitense) sostengono da tempo che le criptovalute sono usate in attività illegali e nel riciclaggio di denaro. A questo si aggiunge il rischio che i consumatori poco esperti possano perdere soldi a causa di improvvisi crolli di valore delle valute digitali. Ma fino a poco tempo fa il settore era troppo piccolo per essere considerato una minaccia. In una relazione del 2019 del consiglio per la stabilità finanziaria, un comitato internazionale di regolatori finanziari, si legge che “i crypto-asset non rappresentano allo stato attuale un rischio materiale per la stabilità finanziaria mondiale”.
Poco dopo la pubblicazione del rapporto, Facebook ha annunciato il lancio di una sua criptovaluta. In un secondo momento, quando il dipartimento del tesoro ha fatto capire che non avrebbe dato il via libera, l’azienda californiana ha abbandonato il progetto. Ma anche se la moneta di Facebook è stata bloccata, la proposta ha costretto i politici di Washington a occuparsi della questione. “È stato imbarazzante pubblicare un rapporto in cui dicevamo che le criptovalute non rappresentavano un rischio mondiale e subito dopo accorgerci che una delle più grandi aziende del mondo stava per lanciarne una”, dice un funzionario statunitense. “Ma almeno ci ha obbligato a prendere sul serio il problema”.
In quel periodo il valore delle criptovalute stava crescendo velocemente, e cominciava a svilupparsi un’industria di dimensioni notevoli. Quando il consiglio per la stabilità finanziaria ha pubblicato la sua relazione il valore delle principali criptovalute era di 275 miliardi di dollari. Quando Joe Biden è diventato presidente era salito a mille miliardi.
Biden ha subito fatto capire di voler regolamentare il settore, nominando Gary Gensler a capo della Sec. Gensler è stato presidente di un’autorità di vigilanza durante l’amministrazione Obama e tiene di un corso sulla blockchain al Massachusetts institute of technology. Dopo essere entrato in carica si è rivolto alle aziende che gestiscono le piattaforme per lo scambio di criptovalute, dicendo che sarebbero state costrette a chiudere se non si fossero attenute alle leggi. A settembre del 2021 la Sec ha richiamato Coinbase, una piattaforma per lo scambio di asset digitali che all’epoca aveva una capitalizzazione di mercato di 41 miliardi di dollari, minacciando di portare l’azienda in tribunale se avesse deciso di lanciare un nuovo prodotto per l’emissione di prestiti in criptovaluta. Coinbase ha subito rinunciato al progetto.
Ma sia tra gli imprenditori del settore sia tra i parlamentari statunitensi c’è il timore che le autorità di vigilanza vogliano regolamentare il settore senza prima discuterne, secondo il principio del rulemaking by enforcement, legiferazione per esecuzione. “Non è un modo efficiente per garantire chiarezza e certezza”, dice Josh Gottheimer, politico democratico del New Jersey. “Senza questi presupposti, il settore si sposterà altrove, e sarà una perdita enorme per l’economia statunitense”.
Su questo sono d’accordo anche politici scettici nei confronti delle cripto-tecnologie. Elizabeth Warren – senatrice progressista del Massachusetts che tempo fa ha accusato le aziende del settore di truffare i consumatori, danneggiare l’ambiente e favorire il riciclaggio del denaro – sostiene che la mancanza di regole sia un problema da affrontare con urgenza.
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Messo sotto pressione sia dai democratici sia dai repubblicani, a marzo il presidente Biden ha firmato un decreto sulle criptovalute. Il provvedimento contiene una serie di semplici istruzioni per le agenzie governative che dovranno vigilare sul settore e riferire all’amministrazione. Per i sostenitori della tecnologia blockchain è stato un atto fortemente simbolico. La Casa Bianca ha riconosciuto che gli asset digitali non sono una moda passeggera ma “un’opportunità per rafforzare la leadership statunitense nel sistema finanziario mondiale e nel settore tecnologico”.
“Il decreto è stato importante perché ha parlato del ruolo di guida degli Stati Uniti in questo campo”, osserva Ari Redbord, responsabile degli affari governativi della Trm Labs, un’azienda al servizio delle istituzioni finanziarie che usa la blockchain per indagare sulle frodi nel mondo delle criptovalute. “Forse gli Stati Uniti si stanno allontanando dall’idea di vietare le valute digitali e cominciano a pensare a come diventare leader in questo campo”.
Mentre le agenzie per la regolamentazione finanziaria preparano i loro rapporti per il presidente, i parlamentari hanno già cominciato a presentare le loro proposte di legge. Gottheimer, che in passato ha lavorato alla Federal communications commission (Fcc) e alla Microsoft, si sta occupando dell’aspetto legislativo più delicato: capire come regolamentare il gigantesco settore delle stablecoin. A differenza delle valute digitali puramente decentralizzate come bitcoin o ethereum, le stablecoin sono agganciate a valute come il dollaro. Questo meccanismo rassicura i consumatori e mantiene stabile il valore. La promessa di stabilità ha attirato milioni di investitori: a fine marzo le due stablecoin più grandi, tether e usd coin, avevano un valore di 1.300 miliardi di dollari in totale.
Ma da mesi gli istituti di vigilanza si preoccupano del valore reale che c’è dietro queste criptovalute. Davvero ogni moneta digitale è garantita da un dollaro? Se non è così, come ipotizzano alcuni, un’eventuale perdita di valore potrebbe scatenare una fuga degli investitori, che a sua volta innescherebbe una serie di perdite nel sistema bancario tradizionale. “Tether è una Chernobyl finanziaria pronta a esplodere”, dice un ex regolatore finanziario statunitense. “Non avrebbero mai dovuto permettere che crescesse tanto senza controlli”. Tether ha definito queste critiche “fuorvianti e male informate”, spiegando che la sua moneta è “la stablecoin più grande e affidabile del mondo”.
Gottheimer sta lavorando a una proposta di legge in base alla quale le stablecoin saranno emesse da istituzioni finanziarie riconosciute in grado di assicurare che ogni dollaro digitale sia garantito da dollari reali, buoni del tesoro degli Stati Uniti o altri asset liquidi e stabili. Questo, spiega il parlamentare, aiuterebbe sia i clienti sia gli operatori del settore: “Bisogna dare subito certezze al mercato”.
Altri si concentrano su questioni di lungo respiro, per esempio definire finalmente che tipo di bene sia una criptovaluta. Quando acquistiamo un bitcoin stiamo comprando una merce assimilabile a una vera moneta o un titolo, quindi la quota di un’azienda controllata da Satoshi Nakamoto, misterioso inventore dei bitcoin?
Tom Emmer, repubblicano del Minnesota, e Ro Khanna, democratico della California, hanno presentato una proposta di legge che darebbe una risposta definitiva: le criptovalute non sono titoli finanziari e quindi non dovrebbero essere sottoposte a regolamentazione dalle autorità.
Questo potrebbe avere implicazioni importanti per il futuro del settore. Se le criptovalute dovessero essere considerate dei titoli, allora potrebbero esserci persone o gruppi che rivendicherebbero il controllo degli asset digitali. Ma questo comprometterebbe uno dei principali punti di forza delle monete digitali: la decentralizzazione. “Per me la criptovaluta è un modo per togliere potere alle grandi banche di New York e alle grandi aziende tecnologiche della Silicon valley”, dice Khanna, che ha sostenuto la candidatura alla presidenza del senatore di sinistra Bernie Sanders.
Emmer ha un’altra priorità: tenere le criptovalute fuori delle grinfie di Gensler. “Le sue azioni stanno causando più danni che benefici”, sostiene. “Come capo della Sec dovrebbe difendere gli investitori statunitensi. Non è scritto da nessuna parte che debba essere il re della finanza”. La Sec non ha risposto alle richieste di commento del Financial Times.
◆ Il mercato delle criptovalute sta vivendo una delle peggiori crisi della sua storia. Negli ultimi giorni ha perso circa un terzo del valore che aveva a novembre: al momento è di circa 1.100 miliardi di dollari. Il 13 maggio un bitcoin valeva 27mila dollari. Il prezzo massimo registrato nel 2021 è stato di settantamila dollari. Ethereum, la seconda criptovaluta più diffusa, ha perso il 20 per cento del suo valore in 24 ore. “L’aspetto più preoccupante di questa situazione è che il calo è partito dai cosiddetti stablecoin, cioè le criptovalute legate a una valuta reale – di solito il dollaro – in modo da prevenire le oscillazioni tipiche di questo mercato”, scrive la Bbc. Negli ultimi giorni le più importanti stablecoin, come terra, usd coin e tether: hanno perso il loro peg (aggancio) alla valuta di riferimento, creando enormi perdite a cascata. “Da tempo ci sono molti dubbi sul fatto che le stablecoin siano effettivamente sostenute da valuta reale”, scrive Euronews, “e il crollo degli ultimi giorni farà aumentare le pressioni sulle autorità finanziarie per regolamentare in modo più rigido il settore”. Il 10 maggio Janet Yellen, segretaria al tesoro degli Stati Uniti, ha detto durante un’audizione al congresso che il crollo delle stablecoin “dimostra quanto questi nuovi prodotti siano pericolosi per la stabilità del sistema finanziario, e quanto ci sia bisogno di un quadro normativo adeguato”.
Moneta politica
Il settore delle criptovalute sta cominciando a sostenere i politici disposti a difendere i suoi interessi a Washington. Secondo le cifre raccolte da OpenSecrets, che tiene traccia delle donazioni al congresso, quelle di persone legate al mondo delle criptovalute ammontano a 169mila dollari nel 2017-2018, a 359mila dollari nel 2019-2020 e a seicentomila in questa legislatura. Si tratta di somme relativamente piccole, ma buona parte va direttamente ai paladini delle criptovalute. Secondo un’analisi di Roll Call, un’organizzazione che monitora le attività del congresso, nel 2021 Wyden ha ricevuto almeno 63mila dollari, Sinema 67mila, Lummis 34mila.
Alcuni parlamentari si spingono fino ad accettare contributi in criptovalute, anche se le cifre sono ancora relativamente basse data la complessità delle regole per la denuncia di questo tipo di donazioni alle autorità fiscali.
Il settore ha anche avviato una fiorente e ben organizzata attività di pressione a Washington. Negli ultimi anni sono nate associazioni come la Blockchain association e la Chamber of digital commerce, che spendono cifre importanti per fare pressioni su temi come le nuove normative fiscali. Secondo OpenSecrets, nel 2021 il settore ha investito 7,2 milioni di dollari per fare pressione sui politici, contro i due milioni dell’anno precedente e appena gli 80mila del 2016.
La spesa riflette la crescita dall’influenza di questo gruppo di parlamentari, oltre alla consapevolezza che le decisioni prese oggi determineranno per decenni il modo in cui saranno regolamentati gli asset digitali.
A sorprendere i parlamentari di questo gruppo è che il sostegno al settore va oltre l’appartenenza di partito. “Democratici tradizionali o progressisti radicali, conservatori vecchia scuola o libertari, è evidente che questa tecnologia innovativa rappresenta una grandissima opportunità”, spiega McHenry.
Quest’alleanza tra destra e sinistra, ovviamente, non consentirà di accordarsi su tutto. “Non sono un libertario al cento per cento”, dice Khanna. “Dobbiamo trovare uno schema per regolare gli asset digitali in modo da essere sicuri di poter tassare le transazioni”.
Se l’accordo reggerà, sarà uno dei rari casi di collaborazione istituzionale in un sistema politico in cui spesso la polarizzazione blocca qualsiasi progetto. “I nostri uffici lavorano quasi a braccetto”, dice Emmer della sua collaborazione con Khanna. “Non direi che siamo amici, ma è molto interessante che due persone con orientamenti politici così diversi possano trovare una convergenza totale su questo tema”. ◆ fas
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Questo articolo è uscito sul numero 1461 di Internazionale, a pagina 66. Compra questo numero | Abbonati