Globalisti, fatevi da parte: da oggi l’uomo forte del terzo paese più importante dell’Unione europea è una donna esile ma tosta. Giorgia Meloni, che ha guidato la destra italiana a una vittoria elettorale senza precedenti, è una spanna più bassa di Matteo Salvini e quarant’anni più giovane di Silvio Berlusconi. “Sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono italiana, sono cristiana!”, ha detto con orgoglio la prima donna che guiderà un governo in Italia, dopo una schiera di uomini, professori e banchieri, quasi sempre più vecchi e con le spalle più curve. Meloni si è presentata come volto nuovo, con un messaggio nuovo, come portavoce di un’Europa delle nazioni che è contro l’immigrazione e a favore della famiglia. La coalizione tra la Lega, Forza Italia e il suo partito, Fratelli d’Italia, è stata votata da dodici milioni di elettori: una batosta per la sinistra.

L’Italia ha dato una lezione all’Unione europea. A Bruxelles, dove al voto delle masse (“populismo” nel lessico dei funzionari europei) si preferiscono gli accordi conclusi nella segretezza di stanze piene di fumo, regna il panico. Alcuni giorni fa la destra italiana è stata costretta a organizzare una manifestazione presso la rappresentanza della Commissione europea a Roma, perché la presidente Ursula von der Leyen si era detta preoccupata per il prevedibile esito delle elezioni italiane. Le aveva poi fatto eco la premier francese Élisabeth Borne, sostenendo che i francesi vigileranno sul rispetto dei diritti umani e del diritto all’aborto in Italia.

Ma chi si credono di essere a Parigi per interferire negli affari di altri paesi? Questo atteggiamento rispecchia una profonda differenza di vedute tra i paesi europei. Un gruppo che si è autoproclamato élite crede di sapere tutto meglio degli altri, non importa chi sia a esprimere un’opinione contraria (di solito proprio i cittadini) e in che occasione (l’ultima è stata il voto italiano). Questi individui erano già preoccupati per il risultato delle elezioni in Svezia, dove la sinistra è stata sconfitta. Ma a Bruxelles oggi sono in subbuglio soprattutto perché il leader ungherese Viktor Orbán e i conservatori polacchi hanno in Giorgia Meloni un’alleata potente, alla guida di un grande paese europeo, fondatore dell’Unione.

Naturalmente, com’è successo nei decenni del cosiddetto socialismo reale, la maggioranza dei cittadini può essere costretta a ballare al ritmo della musica suonata ai piani alti del potere. I soldi dell’Unione europea sono elargiti secondo criteri decisi con ampio margine di discrezionalità dai suoi funzionari. In Ungheria il partito al governo è stato votato da tre milioni di persone? In Italia da dodici milioni? Non importa! I dirigenti di Bruxelles hanno la verità in tasca e sono loro a controllare i rubinetti delle risorse .

L’Italia è vulnerabile anche a causa del suo gigantesco debito pubblico, che la tiene in balia dei mercati finanziari internazionali. Finora il tecnocrate Mario Draghi ha fatto da cuscinetto tra Roma e l’Europa, e con la sua affidabile mano di banchiere ha rassicurato tutti: voi non ci rovesciate e noi non creiamo grandi problemi. Ora, però, a guidare il paese sarà una politica di professione, dotata di carattere e personalità, a capo di un governo nazionalista e contrario all’immigrazione. La destra europea può finalmente contare su un alleato importante. Solo il tempo ci dirà come Bruxelles se la caverà con la lezione di italiano. ◆ ct

Magyar Nemzet è un quotidiano ungherese nazionalista e conservatore. Fondato nel 1938 su posizioni moderate e chiuso nel 2018, è stato rifondato nel 2019 e oggi è molto vicino al governo di Viktor Orbán.

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Questo articolo è uscito sul numero 1480 di Internazionale, a pagina 22. Compra questo numero | Abbonati