Mairín Reyes apre un cassetto e ci trova un tesoro svalutato di monete. Apre una cassaforte e trova anelli che non vanno bene a nessuno. Apre un libro e trova l’immagine di una santa. Apre un armadio e trova i dentini che la fatina dei denti ha messo da parte decine di anni fa. Tira fuori cose, fotografa, fa inventari, districa cavi, protegge bicchieri, imbalsama Barbie in scatole di cartone, infila peluche in sacchi neri, smonta case: è un’officiante della memoria.
La diaspora venezuelana, che secondo le Nazioni Unite ha portato in giro per il mondo più di sette milioni di persone, è il contesto in cui è cresciuta Soluciono por ti, l’azienda che Reyes ha fondato e che l’ha portata nelle case degli emigranti per mettere ordine nei loro ricordi. “Di solito i clienti vivono fuori dal paese. Hanno chiuso a chiave la porta di casa prima di andarsene pensando di tornare, e poi non l’hanno fatto. Ho trovato un’opportunità di lavoro in un fenomeno doloroso. La chiamo ‘organizzazione domestica’”, ammette Reyes, che è nata a Caracas.
Sono milioni le abitazioni venezuelane disabitate. “Una casa morta, tra mille case morte”, scriveva Miguel Otero Silva nel suo romanzo Casas muertas (Brueguera 1982).
“Entrare in questi luoghi è molto triste”, dice Reyes. “Al di là delle ragioni che spingono qualcuno a emigrare, perché ci sono sempre dei motivi per farlo, mi colpisce vedere tutto quello che ci si lascia alle spalle. Immagino quando un tempo la famiglia dei miei clienti rideva in salotto, felice. Si vede quando le cose sono state trattate con amore. Gli oggetti parlano delle persone”.
L’urbanista Lorenzo González Casas chiama questa testimonianza dell’amore che non c’è più “osteoporosi urbana”. González la definisce così per analogia con la malattia in cui “la struttura ossea mantiene la sua forma ma perde sostanza e comincia a sgretolarsi”. Nel 2020 ha scritto della questione, conseguenza dell’emergenza che vive il Venezuela, sulla rivista trimestrale Debates Iesa: “La diaspora venezuelana ha portato a un graduale svuotamento delle città e all’abbandono d’importanti investimenti immobiliari. L’osteoporosi urbana è al tempo stesso un problema e un’opportunità per una nuova concezione urbanistica, in linea con i princìpi della sostenibilità”.
Secondo i suoi calcoli, in Venezuela ci sono più di un milione di case non occupate o sottoccupate, per un valore di cinquanta miliardi di dollari.
L’odore dei mobili è la prima cosa che si nota in una casa disabitata appena si apre la porta. “Entrando ho trovato di tutto: vestiti da bambino appartenuti a chi oggi ha 45 anni, peluche, mazze da golf, case di Barbie con le bambole dentro, stoviglie a non finire, materiale scolastico di decenni fa, libri di ogni genere e gusto, biblioteche che riempivano stanze intere. Quante cose accumuliamo! In ogni casa ci sono prove della svalutazione del bolívar (la moneta venezuelana): scatole di banconote e cassetti pieni di centesimi che dimostrano che il nostro reddito diminuisce ogni giorno di più”, dice Reyes.
Tienilo, rompilo, buttalo
Reyes mostra ai clienti in videochiamata cose che custodiscono i loro segreti. Alcuni sono oggetti di valore che si sono lasciati alle spalle. A volte il cliente si commuove, evoca i ricordi, spiega da dove viene una cosa. E dopo, come se fosse un rasoio usa e getta, dice: “Buttala”.
“Nel 2021, quando ho cominciato a fare un inventario degli oggetti della mia prima cliente, una cara amica con cui avevo lavorato anni prima, mi sono resa conto che aveva lasciato di tutto. Mi sono messa a mandarle delle foto su WhatsApp: ‘Cosa ne faccio di questo?’, le chiedevo. ‘Tienilo, rompilo, buttalo’”, rispondeva lei, a seconda del caso. Forse proprio perché eravamo amiche piangevo ogni volta che vedevo le sue foto. Ma ho continuato a commuovermi con altri clienti: non riesco a capire come si possa far stare una vita in tre valigie. È impossibile non sentirsi coinvolti da quello che la gente ha vissuto in questo paese”, racconta Reyes.
Per la maggior parte dei clienti di Soluciono por ti il vero tesoro sono le fotografie. “Quelle le voglio tenere”, dicono a Reyes quando gliele mostra.
“Ci sono cose di cui le persone si erano dimenticate. Ho trovato vestiti o gioielli che non ricordavano di avere, come un anello di zaffiro. Per fare questo lavoro bisogna creare un legame di fiducia: io sono i loro occhi. Fotografo tutto e lo carico dentro un file su Excel. È un lavoro basato sulla discrezione, perché arriva un momento in cui si diventa custodi di un tesoro”.
Per la maggior parte dei clienti il vero tesoro sono le fotografie. “Quelle le voglio tenere”, le dicono quando gliele mostra
Reyes è nata all’ospedale universitario di Caracas e ha passato l’infanzia nel popoloso quartiere di El Cortijo de Sarría. Ha studiato turismo e amministrazione alberghiera, ma non ha mai lavorato in quel settore. Il suo primo impiego serio, presso la casa editrice Cobo, l’ha avvicinata a un mondo da cui non si è più allontanata: i libri. Li archiviava, e continua a farlo.
“Il lavoro era interessante: mi occupavo della biblioteca, ero a contatto con i volumi e le diapositive. Poi sono passata alla correzione di bozze e all’editing”. Reyes ha raffinato la sua vocazione per il servizio clienti a Cantv Net, un’azienda che offriva connessioni internet in tutto il Venezuela alla fine degli anni novanta. “Andavamo in giro per il paese ad aprire uffici. Organizzavamo conferenze e corsi per spiegare cos’era internet. Il paese stava vivendo un boom”.
Reyes rimase alla Cantv fino al 2004, gestendo allo stesso tempo un salone di parrucchieri. “Mi piace lavorare. È quella la mia natura. Non riesco a concepire la vita senza fare qualcosa. Dalla Cantv ho imparato l’importanza del servizio clienti. L’ho interiorizzato”.
Nell’intimità delle case, Reyes lo ha sviluppato anche sotto altri aspetti: “Con alcune persone nel quartiere di Bello Monte ho stretto un legame fortissimo. Avevano degli scantinati pieni di scatoloni da svuotare.
C’era un professore dell’Università centrale del Venezuela che aveva lavorato anche per la metropolitana di Caracas: conservava perfino le ricevute dei bancomat. Abbiamo riorganizzato la casa insieme, perché non aveva ancora lasciato il paese. Ho visto quanto fosse difficile per lui sistemare tutto. Le persone non pensano di andarsene. Pensano che moriranno qui, dove ci sono le loro cose”.
Ha passato cinque mesi con i clienti, svuotando tre case e tre scantinati. E da lì è nato un altro servizio di Soluciono por ti: “La quantità di oggetti che avevano lasciato mi ha portato ad affittare uno spazio espositivo. Ho un locale di trecento metri quadrati in cui ripongo anche gli oggetti che i clienti vogliono vendere. Molti li donano, altri provano a farci due soldi. L’idea è guadagnare il necessario per pagare i servizi di trasloco o pulizia”. In uno degli appartamenti affidati a Reyes si notano i segni dei quadri sulla carta da parati. Sono linee color ruggine che indicano dove un tempo c’era una natura morta o un Trómpiz, il pittore feticcio della classe media venezuelana degli anni ottanta.
Anche Mairín ha vissuto il lutto della migrazione. Il suo unico figlio vive all’estero e lei non ha ancora conosciuto il nipote. “Solo una piccola percentuale di venezuelani è in grado di attutire i segni della perdita attraverso viaggi e internet; per la maggioranza, la partenza di una persona cara equivale a una separazione definitiva”, ha scritto Ana Teresa Torres sul giornale online La Gran Aldea nel giugno 2023.
“Noi anziani restiamo qui. Vorrei tanto abbracciare mio nipote”, dice Reyes. Ma si riprende subito e torna a parlare di soluzioni. “Considerando quello che mi circonda, mi sento fortunata. Ho amiche con cui bere vino e caffè, ho il mio giardino. Si deve sempre prendere il meglio da quello che si ha. Mio padre, che era un ottimista, diceva sempre: ‘Se non puoi cacciare con un fucile, puoi farlo con una pietra’. Voglio essere una persona utile e autosufficiente. Non tutti ne hanno l’occasione, io me la sono trovata”. ◆ fr
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Questo articolo è uscito sul numero 1561 di Internazionale, a pagina 70. Compra questo numero | Abbonati