Il direttore creativo Daniel Roseberry sta facendo per la casa di moda Schiaparelli un lavoro interessante, ma la recente sfilata ispirata a Dante, con le teste mozzate di animali usate come ornamento per gli abiti indossati da tre modelle, mi è sembrata incomprensibile e immorale. “Ho pensato, con fastidio, alle teste trofeo esposte nelle magioni dei cacciatori a raccontare di grandi imprese in quel continente africano che non siamo ancora riusciti a comprendere”, ha commentato giustamente su Instagram Maria Luisa Frisa, una delle grandi intellettuali della moda italiana. “In un momento in cui si parla di multispecie, ossia considerare tutte le creature allo stesso modo, mi suonava stonato vedere quelle divinità da passerella incedere ostentando la testa preda di quei gloriosi animali”. A volte gli animalisti sono accusati di essere troppo critici verso la sperimentazione nel mondo della moda, ma in questo caso mi sembra che la sperimentazione si freni da sola: vedere una modella vecchia scuola, di una bellezza di un altro tempo, che porta con sé una testa di leone penzolante mi fa solo pensare a una generale mercificazione di corpi inconsapevoli. Come avrebbe detto la filosofa femminista Carol Adams, “una macellazione delle donne e uno stupro degli animali è in atto”. Liberare le donne dagli stereotipi della forma senza passare dalla liberazione animale, con buona pace di tanto femminismo antropocentrico e difeso a colpi di tweet, è impossibile. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1503 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati