Il filosofo francese Henri Bergson ha basato gran parte della sua teoria, detta del “vitalismo”, sulla distinzione tra materia e vita, ammettendo fin da subito, tuttavia, che questa distinzione non funzionava moltissimo e che le zone grigie erano molteplici. La statunitense Jane Bennett, nel suo libro Materia vibrante. Un’ecologia politica delle cose (Timeo 2023), riparte da queste zone grigie, mescolando fisica e filosofia, e presentandoci un universo vivo in ogni sua parte. La nostra stessa idea di vita, quella comune e quella scientifica, è assai limitata: l’universo è un altro animale immenso, si muove in ogni suo elettrone, vive e respira in modi difficili da cogliere con intuizioni antropocentriche, ma plausibili se affiniamo la vista attraverso la nuova chimica dei materiali. La materia non è mai una sostanza inerte, compone un reticolo di entità non umane e “altre”, dotate di potenza propria e dunque esistenziale. Charles Darwin, nel suo saggio La formazione della terra vegetale per l’azione dei lombrici, sosteneva che sono stati i vermi a inaugurare la cultura umana. Oggi, in una specie di eredità culturale, potremmo dire che sono “le cose” a inaugurare la potenza vitale degli “animali”. Tutto è vivo, ogni cosa è viva: e anche i morti, nella prospettiva di Bennett, non sono che materia viva sotto altra forma. Un invito, per nulla new age, a considerare anche la carta che tenete in mano un organismo dotato di respiro e di destino. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1527 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati