Da bambino gli orsetti gommosi facevano felice Ludwig, ed è così ancora oggi che è adulto. Alle elementari arrivò perfino a scriverci un tema, e tuttora passa in rassegna gli scaffali di merendine e caramelle al supermercato con la massima attenzione. Gli orsetti verdi gli sembravano “perfetti”, poi nel 2007 cambiarono gusto, passando dalla fragola alla mela. Da allora è l’orsetto rosso che sa di fragola: “Quelli che mi piacevano quando ero piccolo non torneranno più”, dice Ludwig.
Le cose che mangiamo da piccoli influenzano i nostri comportamenti alimentari e le nostre preferenze in età adulta. È un fatto del tutto naturale, afferma Ulrike Gisch, docente di psicologia della nutrizione all’università di Giessen, in Germania. Spesso associamo le emozioni ai dolci o ad altri cibi.
L’alimentazione ha una componente emotiva e fin dalla nascita cibo e sentimenti s’influenzano a vicenda. Quando i genitori sfamano i figli con il biberon o con l’allattamento al seno c’è anche una vicinanza fisica ed emotiva, e il bambino si sente al sicuro, afferma Gisch: “Da qui deriva il fatto che mangiare sarà per sempre un’esperienza emotivamente significativa”.
I modelli di comportamento alimentare che si hanno da piccoli possono anche diventare patologici quando i genitori non sanno interpretare correttamente i bisogni dei figli, “come quando una bambina piange perché ha un dolore o è stressata, ma la madre la allatta al seno o il padre le dà il biberon, pensando che abbia solo fame”.
Così i genitori insegnano inconsciamente ai propri figli che il dolore e lo stress si possono affrontare mangiando, dice Gisch. La cosiddetta “fame emotiva” che si trasmette in questo modo può creare problemi in età adulta: “Se sono frustrata, annoiata o stressata e compenso le emozioni negative mangiando anche se sono adulta, forse è perché non ho imparato a fare altrimenti”, spiega la psicologa.
A ogni modo, il disappunto di Ludwig per la scomparsa degli orsetti gommosi verdi “perfetti” non è patologico. È piuttosto il simbolo della perdita di un ricordo positivo dell’infanzia, in questo caso di un sapore particolare associato a una bella esperienza, dice Gisch. Ludwig lo conferma: da piccolo lui e la sorella passavano le giornate nell’albergo di famiglia dove i genitori lavoravano. C’era una grande ciotola piena di bustine di orsetti gommosi. “I figli degli ospiti le ricevevano in omaggio, mentre noi le prendevamo di nascosto. Erano attimi di felicità, tempi spensierati che non torneranno”, dice oggi, che ha 24 anni.
Tradizioni di famiglia
Il cibo può anche rafforzare la coesione familiare, spiega Gisch, per esempio tra fratelli. Per i bambini questi rituali legati al mangiare non sono solo piacevoli, sono anche importanti. Per Ludwig lo sono stati tanto che dieci anni fa inviò un reclamo sugli orsetti gommosi all’azienda che li produceva.
Ma non sono necessariamente i dolci ad avere un ruolo importante nell’infanzia. “L’insalata di patate che prepara mia madre è un piatto assolutamente normale qui in Germania, ma per me ancora oggi è unica perché la associo ai ricordi di famiglia. Mia madre la prepara ogni anno il giorno della vigilia di Natale. Una volta, da piccolo, l’ho chiesta anche per il mio compleanno, ma nessuno ha capito questa mia passione”, racconta Niklas, 29 anni.
Gisch non ci vede nulla di strano: molte persone danno un valore particolare a un piatto solo perché nel corso dell’infanzia si preparava in occasioni speciali, magari per alcune tradizioni di famiglia: “Attraverso il cibo si trasmette l’amore e si negoziano i rapporti sociali. Quando mangiamo insieme, comunichiamo che vogliamo prenderci del tempo per stare insieme e condividere la quotidianità, che siamo interessati a quello che gli altri ci possono raccontare nel corso della cena”. Il fatto che la madre di Niklas preparasse personalmente l’insalata di patate, invece di comprarla già fatta al supermercato, rafforza il gesto d’amore.
Anche quando il cibo ha un odore particolare che evoca dei ricordi precisi può generare gioia o tristezza. Il potenziale emotivo infatti è particolarmente potente con l’olfatto: “Gli odori sono elaborati senza filtri e possono innescare delle sensazioni quasi automatiche”, afferma Gisch. L’odore dei piatti che hanno un significato speciale può essere travolgente.
“Il cibo comunica sempre qualcosa”, dice la docente. Ma non è detto che l’alimentazione sia sempre legata all’amore: può essere anche puramente funzionale. “Se un bambino torna a casa e trova un purè di patate che deve mangiare da solo in cucina in fretta prima di andare a letto, allora sta imparando a gestire il cibo in modo funzionale”, afferma Gisch. Non è per forza un problema, purché i bambini scoprano il piacere in altri modi. “Non è obbligatorio vivere il mangiare come un piacere, se impariamo a goderci altre cose. Per alcune persone è divertente fare uno sport o qualcosa di creativo”. Tuttavia, se si provano sensazioni spiacevoli mentre si mangia, può essere d’aiuto una consulenza psicologica.
Anche se ognuno vive il piacere in modo diverso, nelle famiglie le tradizioni alimentari sono importanti, perché quando non si mangia mai insieme e non si hanno particolari tradizioni alimentari di solito non c’è un legame molto forte, sostiene Gisch.
Uno studio dell’università di Mannheim, in Germania, dimostra che nelle famiglie in cui i pasti si consumano insieme, i bambini hanno un’alimentazione più sana. Gli autori dello studio spiegano questo risultato con diverse ipotesi. Da un lato potrebbe dipendere dai genitori, che sfruttano queste occasioni per trasmettere abitudini alimentari sane ai figli o per parlarne con loro. Oppure potrebbe essere dovuto semplicemente alla regolarità dei pasti o al fatto che di solito mangiando insieme si privilegiano piatti preparati in casa rispetto ai cibi pronti.
In sostanza, che si tratti di orsetti gommosi, zuppe o insalate di patate, i bambini dovrebbero divertirsi quando mangiano. Altrimenti, conclude Gisch, “mangeremmo tutti dei liofilizzati come gli astronauti”. ◆ nv
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1589 di Internazionale, a pagina 108. Compra questo numero | Abbonati