Forse la forma di autocolonizzazione più dannosa è quella che ti fa misurare i risultati – politici, economici, artistici, ingegneristici o di altro tipo – usando un sistema basato su esempi stranieri. Il Ronaldo ungherese è senza dubbio un giocatore di talento, ma l’appellativo implica che è Ronaldo solo in Ungheria e che fuori da quei confini perde il suo talento. Spesso è così, ma questi soprannomi sembrano escludere l’eventualità che qualcosa possa essere contemporaneamente importante per l’Ungheria, per l’Europa centrale, per tutto il continente e per il mondo.

Sono le riflessioni che faccio pensando alla linea ferroviaria tra Oravița e Anina, conosciuta come Semmering del Banato (la ferrovia di Semmering, nelle montagne austriache, fa parte del patrimonio mondiale dell’Unesco; il Banato è una regione nell’ovest della Romania).

Sulla strada principale di Oravița tra i caseggiati fatiscenti si vede una croce di cemento verniciata di azzurro, un po’ kitsch. Il grande edificio della stazione, costruito durante l’impero austro-ungarico, ha visto di certo giorni migliori. Davanti, i taxi Dacia, la cui tariffa è di 2 leu (0,41 euro) al chilometro, aspettano i passeggeri con il motore acceso, riempiendo l’aria del fumo che esce dal tubo di scappamento. In strada non si vede nessuno.

Da Oravița parte una delle prime ferrovie di montagna europee, la prima nella storia d’Ungheria e dell’attuale Romania, anche se la sua fama è per lo più oscurata dalla linea austriaca del Semmering, costruita all’incirca nello stesso periodo, a metà dell’ottocento. La ferrovia è nata grazie alle estrazioni del carbone nei monti Anina. Questo tipo di carbone era ricercato in tutto l’impero per la sua alta qualità, ma la difficoltà nel farlo arrivare agli utenti rese la produzione poco redditizia. La linea ferroviaria avrebbe dovuto semplificare il trasporto del carbone, ma le caratteristiche del terreno resero molto difficile la sua costruzione. Poi, in epoca comunista, il regime romeno aprì altre miniere nella regione, dove veniva estratto anche l’uranio. Ormai, però, i giorni di gloria di questi binari di montagna erano passati da tempo.

Curve strette

Gli anni successivi alla rivoluzione romena del 1989 e poi la chiusura delle miniere hanno lasciato il segno non solo sulla ferrovia, ma sull’intera regione che è precipitata in quello strano stato tra l’esistenza e l’inesistenza, che s’incontra solo nelle storie dello scrittore ungherese Ádám Bodor. In effetti, non serve sforzare troppo la vista per riconoscere nella città di Anina i luoghi di Jablonska Poljana, che si trovano nel suo romanzo Boscomatto (Il Saggiatore 2019). Oggi lungo i binari di montagna si arrampica solo un treno passeggeri al giorno. Il trasporto merci si è interrotto da tempo.

Quando ho preso il treno, alla stazione di Oravița c’era solo qualche turista proveniente da Bucarest. Per arrivare qui dalle altre zone i passeggeri devono prendere alla stazione di Reșiţa, che dista più di 55 chilometri, un pulmino dall’aspetto poco invitante. Invece da Bucarest di solito le persone vengono qui direttamente in auto e i loro abiti di qualità risaltano sulla banchina. Forse anche loro hanno sentito che le ferrovie romene vogliono sospendere questa linea di montagna. Oppure sono semplicemente curiose di sapere come si sta in provincia? Ad attendere il treno ci sono solo loro e due uomini burberi di mezza età. Devono essere i controllori, penso.

Mentre il treno si avvia e nelle carrozze ultracentenarie le stufe a legna scaldano lentamente l’aria, Florin, il gioviale controllore con un berretto piatto e la borsa di cuoio, controlla i biglietti di tutti. I due uomini burberi lo seguono come dei bassotti, come i paperi grigi dietro Coca Mavrodin nel romanzo _Il distretto di sinistra _(Edizioni e/o 1999), un altro di Bodor. Verificano tutto una seconda volta. Allora sono davvero controllori, ma cosa c’è da controllare su questo treno dove si viaggia con biglietti acquistabili solo in anticipo? Forse anche loro vogliono unicamente godersi il viaggio.

Quando raggiungiamo le colline il treno si muove quasi a passo d’uomo. Passiamo anche accanto a una miniera di uranio abbandonata. Con quelle curve strette e i binari così rovinati non potremmo andare più veloci e del resto, come ci racconta Florin dopo che i paperi grigi sono finalmente scesi a una delle stazioni abbandonate, una volta un treno è caduto in un burrone.

Ma oggi nessuno vuole andare veloce. La linea ferroviaria è lunga una trentina di chilometri, ma la distanza in linea d’aria tra Oravița e Anina è decisamente minore. Gli abitanti locali non usano quasi mai questa linea, la maggior parte dei passeggeri sono turisti.

Per un occhio abituato alla pianura ungherese, il treno attraversa paesaggi vertiginosi: passiamo in mezzo a gole ripide e dirupi scoscesi, finché incontriamo sempre più gallerie e villaggi dall’aspetto poco curato, che potremmo facilmente toccare dal treno.

Avevano cominciato ad ampliare uno di questi villaggi all’epoca in cui la linea non era solo un’attrazione turistica, poi i lavori sono stati interrotti ed è improbabile che saranno conclusi adesso.

In una galleria ci sono ancora gli attrezzi da cantiere. In punta di piedi sbirciamo giù lungo il bordo della voragine, mentre sotto di noi le profondità diventano vertiginose. Il viadotto di Jitin percorre la valle dell’omonimo fiume a quasi quaranta metri di altezza, le bandiere legate alla ringhiera si sfilacciano e schioccano al vento. Il treno continua a procedere lungo lo stretto bordo ricavato nella parete rocciosa. Sembra di viaggiare in un plastico ferroviario realizzato da un perfezionista. Tutto bello ed eccitante come in una favola.

Forse tra poco si chiude

Pian piano dalla foresta compaiono nuove tracce dell’attività umana. Traballando tra edifici fatiscenti e vecchi siti industriali raggiungiamo il capolinea, la grandiosa stazione di Anina, costruita tra case di minatori che si arrampicano sul fianco della montagna. È un piccolo miracolo che durante la manovra la locomotiva non si perda nei binari invasi dalle sterpaglie. Anche questa stazione era stata progettata per un traffico più intenso, di cui oggi non c’è più traccia.

La grande miniera di carbone locale è stata chiusa più di quindici anni fa dopo un grave incidente e da allora anche Anina è entrata a far parte delle città minerarie lasciate andare in rovina senza che nessuno se ne curi. Neanche il treno si ferma molto: dopo un piccolo giro della stazione e la sigaretta d’obbligo, i ferrovieri fanno risalire tutti a bordo.

Non sanno ovviamente per quanto andrà avanti. Florin dice che nella fatiscente rimessa ferroviaria di Oravița lavorano novanta persone, un numero molto più alto di quello che richiederebbe una corsa al giorno. Di tanto in tanto si parla di chiudere la linea o almeno di ridurla a un’attrazione per il fine settimana. Finora la ferrovia l’ha fatta franca. ◆ct

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Questo articolo è uscito sul numero 1501 di Internazionale, a pagina 72. Compra questo numero | Abbonati