L’ultima volta che si è sentito parlare di Marissa Marcel è stato nel 1999. Questa stella di Hollywood, apparsa in film come il thriller erotico Ambrosio del 1968 e in Minsky, un giallo del 1970 mai distribuito, era sul punto di tornare alla ribalta con Two of everything. Ma il film non è mai stato completato. E Marcel è scomparsa, diventando un’enigmatica figura di culto agli occhi dei suoi ammiratori e una nota a piè di pagina nei libri di storia del cinema.
Questa è la premessa di Immortality, l’ultimo gioco di Sam Barlow, l’autore di Her story e Telling lies. Qui il giocatore accede a una grande quantità di filmati che ruotano intorno a Marissa. Accessibile in una sala di montaggio che ricorda una vecchia moviola, la collezione contiene quasi trecento spezzoni. Non sono visualizzati in sequenza cronologica, ma usando una tecnica di montaggio chiamata match cut, con cui si salta da un momento all’altro all’interno di ogni filmato, e da una scena all’altra.
L’archivio dello stalker
In questo modo il giocatore comincia a setacciare l’archivio, ricostruendo gradualmente la vita di Marcel attraverso i suoi film. Ci sono filmati dell’attrice in azione – interpretata in maniera straordinaria da Manon Gage – e momenti extra prima e dopo ogni ciak. Assistiamo a prove e a momenti fugaci di quelli che sembrano filmati di famiglia, mentre le informazioni si accumulano lentamente, attraverso i decenni, senza un ordine preciso. All’inizio Immortality disorienta, associando immagini, oggetti e dialoghi. Poi, passo dopo passo, emerge qualcosa che si avvicina a un significato. Si finisce per comprendere il destino di Marcel e dei suoi due più importanti collaboratori, ed emerge così un ritratto toccante di questi tre artisti.
E lo stesso vale per il lato oscuro di Hollywood, i suoi eccessi, la sua violenza e la sua propensione a masticare e consumare il talento.
Immortality è un videogioco live action, un genere brevemente popolare negli anni novanta che vive una sorta di rinascita. Giochi come The bunker (2016) o Erica (2019) hanno avuto un certo successo, e Netflix ha continuato a sperimentare la programmazione interattiva dopo Bandersnatch (2018), un episodio di Black mirror di Charlie Brooker, che consentiva allo spettatore di decidere come mandare avanti la storia. Ma i lavori di Barlow sono universi completamente diversi: intricati e profondamente interattivi, traggono forza dalla loro ambiguità e dai margini delle strutture non lineari.
I suoi giochi combinano elementi dei film di genere con la flessibilità dei videogiochi. Si guarda e si armeggia cioè con delle interfacce digitali. In Her story e Telling lies, si digitano parole chiave come “coltello” in un’ampia banca dati, dalla quale emergono filmati corrispondenti a questi termini. A quel punto si può interagire con i filmati, selezionando oggetti, personaggi e parti del paesaggio, e li si può abbinare ad altre scene. La meccanica ricorda quella di un’avventura punta e clicca, ma in generale l’azione è più dinamica. In sostanza, si tratta di modificare in corso la storia di Immortality, anche se con l’occhio di un investigatore. Lentamente, nel corso della vostra ricerca (e questo è uno degli effetti inquietanti del gioco), il vostro comportamento ricorderà quello di un ammiratore ossessivo, forse addirittura di uno stalker.
Misoginia hollywoodiana
Immortality è ricco di dettagli su cui indirizzare le proprie ossessioni. Barlow e i suoi collaboratori (un’intera troupe cinematografica) hanno catturato magnificamente l’idiosincrasia degli stili delle epoche di questi film inventati. Ambrosio, il cui regista somiglia ad Alfred Hitchcock (interpretato da John Earl Robinson), è pervaso da luci soffuse e da sontuosi sfondi anni sessanta; Minsky, girato nel 1970, s’ispira alla New Hollywood, aggirandosi per tetri set newyorchesi; le immagini più luminose e dirette di Two of everything, del 1999, evocano atmosfere e temi tipici di David Lynch.
Con Marcel al centro di tutto, diventa chiaro che questi film riflettono l’inquietante misoginia delle loro epoche. “Marissa, il tuo lavoro è essere guardata”, dice il regista durante una lettura del copione di Ambrosio. Se da un lato i filmati criticano questo maschilismo, dall’altro evidenziano una violenza sessuale sempre più inquietante: lo sguardo maschile su Marcel attraversa i decenni. Scopriamo così che questi film sono per lo più guardati con gli occhi di John Durick (Hans Christopher), direttore della fotografia di Ambrosio e regista di Minsky e Two of everything. Si fa strada un senso di strisciante inquietudine: e se tutto questo fosse solo un modo per esplorare la psiche e le ossessioni di Durick? Lo è, ma Durick rappresenta anche altri sguardi. Assaporando le sue ossessioni e quelle degli uomini in generale, il gioco suggerisce che noi, il pubblico, siamo complici. Il problema è che Immortality, diretto da un uomo che è anche uno dei pochi veri autori di videogiochi, non riesce mai a distaccarsi veramente da questo processo. Mentre cerca di fustigare lo sguardo degli uomini, il gioco di Barlow finisce anche per soddisfarlo.
Ma in Immortality si va oltre la riflessione sull’etica della violenza sullo schermo. In alcuni, scioccanti, momenti le sue immagini sfociano in veri e propri atti di violenza fisica, oltre che nella sensazione che finzione e realtà si stiano confondendo. L’inquietudine è moltiplicata dall’aspetto di Marcel: la star è invecchiata a malapena di un giorno tra il suo primo film del 1968 e l’ultimo del 1999, mentre Durick si copre chiaramente di rughe. Questi dettagli turbinano e si depositano nella mente del giocatore fino a quando, magari accidentalmente, la facciata di celluloide è bucata. Senza voler svelare troppi dettagli, questi elementi non fanno altro che amplificare il dolore alla base di Immortality, la sensazione che l’angoscia di Marcel, congelata su pellicola, possa durare per sempre.
Più che un horror o un dramma, Immortality forse si può descrivere come un’elegia. Ciò che rimane impresso nella mente sono i momenti d’interazione umana tra una ripresa e l’altra, quando gli attori guardano direttamente nell’obiettivo o chiacchierano tra loro. Sono così convincenti e interpretati con una tale sensibilità che si dimentica che sia una finzione. Più di ogni altro gioco di Barlow, il fascino di Immortality risiede tanto nella storia quanto nel suo formato. A un certo punto, dopo una scena piena di effetti speciali manuali, Marcel si china verso la telecamera e chiede: “Anche tu hai sentito muoversi il terreno?”. Giocando a Immortality, un’opera ingegnosa, sfuggente e assolutamente coinvolgente, la risposta è un sonoro sì. ◆ ff
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Questo articolo è uscito sul numero 1480 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati